Le rimesse degli emigranti: il maggiore aiuto nei confronti dei paesi di origine
Maurizio Ambrosini | 28 Marzo 2024
La recente visita al Cairo di Giorgia Meloni, insieme a Ursula von der Leyen e ad altri leader europei, ha rilanciato l’attenzione sullo sviluppo come alternativa all’emigrazione, e per il caso italiano all’iniziativa del piano Mattei. In sostanza, il tentativo di attuare il noto slogan “aiutiamoli a casa loro”.
In realtà, secondo le ricerche sul tema, lo sviluppo economico di un territorio in una prima e non breve fase suscita nuove partenze: più persone accedono alle risorse economiche per partire, all’istruzione, che favorisce la mobilità, a nuove aspirazioni e stili di vita che non trovano risposte in loco. Ma c’è un’altra seria ragione che mantiene le persone all’estero e ne spinge altre a partire: l’importanza delle rimesse economiche degli emigranti per le condizioni di vita di famiglie e comunità locali. In altri termini, sono gli emigranti ad aiutare casa loro, molto di più di quanto facciano le istituzioni internazionali o i governi dei paesi sviluppati.
Le rimesse aiutano a migliorare l’alimentazione e le condizioni abitative, consentono di accedere all’istruzione di qualità, che in gran parte del mondo è privata, a cure mediche se necessarie, anch’esse perlopiù private. Integrano o rimpiazzano la pensione degli anziani. Elevano l’immagine e lo status sociale delle famiglie che le ricevono.
Stiamo parlando per il 2021, secondo la Banca mondiale, di un flusso di 791 miliardi di dollari, per il 2022 di una stima di 831, mentre per il 2023 la previsione è di una cifra di 840 miliardi, e per il 2024 di 858 (Dossier immigrazione 2023). Per di più queste cifre riguardano soltanto i canali ufficiali, non le somme che gli emigranti spediscono informalmente mediante corrieri o altri mezzi, oppure portano con sé quando rientrano in patria per una visita o un periodo di vacanza. Dall’Italia le rimesse hanno raggiunto nel 2022 l’ammontare di 8,2 miliardi di euro, 473 milioni in più rispetto al 2021 e +62% rispetto al 2016. Il primo paese a beneficiarne è, un po’ a sorpresa, il Bangladesh, che non figura tra le prime nazionalità per numero di residenti nel nostro paese. Ha ricevuto quasi 1,2 miliardi di euro. Segue il Pakistan con circa 700 milioni, mentre al terzo posto figurano le Filippine, con 623 milioni, poi altre componenti storiche dell’immigrazione verso l’Italia, ossia Marocco, Romania e Senegal.
Le rimesse sono particolarmente consistenti quando gli emigranti partono da soli, lasciando in patria il/la coniuge, e soprattutto i figli. La partenza è anzi motivata principalmente dall’aspirazione a offrire loro una vita migliore, o più drammaticamente dalla necessità di provvedere ai loro bisogni essenziali: per esempio nel caso di madri sole, che si separano dai figli per amore nei loro confronti. Quando poi avvengono i ricongiungimenti familiari, i flussi di rimesse diminuiscono: la famiglia riunificata qui comporta spese molto maggiori, mentre diminuisce il numero di coloro che in patria si attendono aiuti dal genitore emigrato, o cala la loro titolarità a riceverne, trattandosi di parenti verso cui gli obblighi sono meno cogenti: genitori, sorelle, fratelli, nipoti… Inoltre di solito quando le donne emigrano da sole dispongono di una certa autonomia nelle decisioni relative alle rimesse: sono impegnate a sostenere principalmente i figli, a ricompensare chi eventualmente li accudisce (soprattutto le loro madri), ma per il resto hanno la possibilità di scegliere, almeno in una certa misura, chi aiutare tra i loro parenti. Nelle famiglie ricongiunte invece di solito i flussi di rimesse vanno nella direzione della famiglia del marito. Sul lato femminile, si riducono a invii occasionali, sotto forma soprattutto di doni, oppure al recapito di qualche somma che le mogli riescono a risparmiare e a mandare soprattutto alle loro madri.
Questa complessa e variegata mappa degli invii rivela i significati sottostanti alle rimesse: sono soprattutto restituzioni, quando raggiungono chi sostituisce i genitori lontani occupandosi dei loro figli. Si connotano come obbligazioni morali, quando sono indirizzate ai genitori anziani, e soprattutto alle madri. Sono concepite come doni, quando assumono un carattere più occasionale e legato a qualche evento (un matrimonio, la nascita di un bambino) o a una festa (il Natale, la fine del Ramadan). Possono anche assumere il senso di un investimento, quando gli emigranti inviano denaro destinato all’acquisto di un’abitazione, la più tipica forma d’impiego dei loro risparmi.
Possono nascere anche delle tensioni, tra chi invia e chi riceve o vorrebbe ricevere degli aiuti. Gli emigranti non di rado lamentano che i parenti in patria misconoscono la fatica richiesta dall’accantonamento di somme da spedire, fanno richieste esorbitanti, inventano persino storie di malattie o eventi catastrofici per farsi inviare denaro: si sentono “l’albero dei soldi” agli occhi dei familiari. Sull’altro versante i parenti invece sono inclini ad accusare gli emigranti di avarizia, di insensibilità, di egoismo. Sarebbero riluttanti a condividere il benessere che hanno acquisito. Giustificano quindi le esagerazioni e anche le storie raccontate come un modo legittimo per sollecitare questi familiari ingenerosi ad aprire il portafoglio e a renderli partecipi della loro agiatezza.
Un altro interessante profilo delle rimesse consiste nei loro effetti sociali. Gli emigranti non trasferiscono verso la madrepatria soltanto denaro o doni, ma anche fotografie, racconti, esempi di ciò che hanno incontrato, appreso, subito, vivendo all’estero. Anche soltanto il modo di vestire, di acconciarsi, di parlare, di entrare in relazione con gli altri, può trasmettere un cambiamento di mentalità. Si parla in proposito di “rimesse sociali”. Un primo filone si riferisce alle strutture normative: ossia nuove idee sul mondo, visioni politiche, valori etici. Per esempio, una diversa concezione della donna, del suo ruolo, dei suoi diritti. Oppure una nuova configurazione della paternità e del rapporto tra padri e figli.
Una seconda dimensione riguarda le pratiche sociali, ossia la traduzione delle nuove idee acquisite in comportamenti effettivi. Dunque, per stare agli esempi introdotti, più condivisione dei compiti domestici, più tempo trascorso con i figli da parte dei padri.
Una terza ricaduta delle rimesse coinvolge il prestigio e la posizione delle famiglie che le ricevono nei contesti locali. Come già accennato, avere parenti all’estero e ricevere rimesse innalza la reputazione, consente di accedere a circuiti di relazioni più qualificate, può persino facilitare l’accesso a delle cariche pubbliche locali o permettere di combinare matrimoni con partner di un livello sociale ed economico più elevato. In Messico si parla di “remittance bourgeoisie”: una borghesia fondata sulle rimesse.
Quest’ultimo punto chiama in causa le ambivalenze e anche gli effetti negativi delle rimesse. Ricevere denaro dall’estero finanzia i consumi, ma raramente si traduce in investimenti produttivi, in grado di generare posti di lavoro e sviluppo locale. Lasciando da parte la discussione su ciò che è produttivo e ciò che non lo è, si crea una fascia di popolazione dipendente dagli aiuti esterni e quindi povera di autonomia. Sempre in Messico la preoccupazione costante di molte famiglie in cui il padre è emigrato negli Stati Uniti è di essere abbandonate, di non vedere più arrivare denaro dal Nord. La storia delle migrazioni, già in passato e a maggior ragione oggi, è densa di vicende familiari travagliate, in cui chi emigra costituisce una nuova famiglia nel luogo di destinazione, e per scelta o per necessità comincia a trascurare e può finire per abbandonare moglie e figli lasciati in patria. Se questo è un rischio, praticamente certo è invece l’inasprimento delle disuguaglianze nel paese di origine: chi riceve le rimesse aumenta i consumi, fa girare un po’ di più l’economia locale, ma induce anche un aumento dei prezzi. Se gli emigranti si costruiscono una casa, fanno lavorare l’industria edilizia, ma fanno aumentare i costi dei materiali e dei terreni. Aumenta dunque il divario tra chi può accedere alle rimesse e chi ne rimane escluso, con l’effetto tra l’altro di incentivare nuove partenze.
Va poi considerato l’altro versante delle rimesse, spesso lasciato in ombra da chi parte, ma ben presente e anzi enfatizzato da chi rimane: ciò che gli emigranti ricevono dai familiari rimasti in patria. Si parla in questo caso di “rimesse inverse”. Hanno componenti materiali e altre simboliche. Anzitutto chi emigra viene spesso aiutato a partire grazie ai finanziamenti raccolti nell’ambito familiare, talvolta allargato a più ampie reti di parentela. Certi emigrati, come gli studenti, continuano a ricevere aiuti economici anche in seguito. Altri ne sollecitano e ottengono in momenti di difficoltà.
Un’altra forma di rimessa inversa consiste nella cura dei componenti della famiglia lasciati in patria e bisognosi di assistenza: i bambini, nel caso delle madri transnazionali, e sempre più spesso i parenti anziani. Chi se ne occupa al posto degli emigranti, consentendo loro di partire, di cercare lavoro e di tentare di costruirsi una vita migliore all’estero, attua un trasferimento di energie emotive, tempo e lavoro a loro favore.
Per altri aspetti le rimesse inverse hanno invece soprattutto un valore simbolico. Si traducono nell’invio di fotografie, piccoli doni, cibi e bevande della madrepatria, immagini sacre: oggetti che richiamano gli assenti, fanno sentire ricordato e amato chi è lontano, mantengono viva la relazione malgrado il tempo e la distanza.
Un ultimo fenomeno da ricordare è quello delle rimesse collettive: ossia la raccolta di denaro o di materiali, per esempio medicinali, da mandare in patria. Ne sono protagoniste soprattutto associazioni degli immigrati e comunità religiose: attori in grado di aggregare le persone, di generare fiducia, di canalizzare il desiderio di aiutare la propria comunità di provenienza nel finanziamento di progetti socialmente utili. Soprattutto in caso di calamità, la raccolta di aiuti tra gli emigrati è una pratica diffusa e attuata con generosità.
Concludendo, l’invio di rimesse è un’azione che collega gli emigranti con i luoghi di origine e mantiene vivi i vincoli familiari e sociali. Rende presenti gli emigrati nei luoghi di origine e li motiva nel loro impegno lavorativo, nei sacrifici che devono affrontare, nella solitudine che sperimentano quando si trovano soli all’estero. Per chi le riceve, le rimesse consentono di migliorare le condizioni di vita e tentano di compensare sul piano materiale la perdita affettiva dovuta alla separazione da chi è partito. Le rimesse sono anche un fattore di tensione, di recriminazioni reciproche, di produzione di disuguaglianze. Di certo in ogni caso sostituirle con aiuti pubblici e sostegni allo sviluppo non sarà un’impresa facile, e neppure di breve durata.