Legge delega 227/2021 in tema di disabilità: analisi e prospettive future (parte II)


Giuseppe Arconzo | 27 Luglio 2022

La prima parte di questo contributo è disponibile qui.

 

 

L’accertamento della condizione di disabilità

È possibile ora analizzare più dettagliatamente i principi e i criteri direttivi dettati dalla legge delega con riferimento all’accertamento della condizione di disabilità, premettendo sin da subito che non è sempre facile interpretare in modo piano il testo della legge.

 

Si prevede che la valutazione di base dovrà essere effettuata «in conformità alle indicazioni ICF», e che, allo stesso tempo, dovrà «ten[ere] conto dell’ICD». Cosa vuole dire il legislatore quando introduce questa differente modalità di rapportarsi ai due sistemi classificatori? Si tratta – curiosamente – di una differenziazione presente in un’altra previsione della legge1, mentre in altre disposizioni tale differenza non si rinviene2.  Sul punto vale ancora la pena osservare che l’art. 2, comma 2, lettera a), numero 2), prevede invece – senza porre distinzioni – che, per quanto concerne l’attività ridefinitoria e il riordino della normativa di settore – occorrerà adottare la classificazione ICF «congiuntamente» all’ICD.

Sarà interessante capire se e come i decreti legislativi daranno effettivo seguito e riscontro a queste differenti impostazioni.

 

La legge delega prescrive poi che la valutazione di base dovrà accertare la condizione di disabilità «ai sensi dell’art. 3 della legge n. 104 del 1992 come modificato in coerenza con la Convenzione ONU».

Ora, se è evidente che questo certamente implica, come si segnalava nel paragrafo precedente, che il legislatore delegato debba procedere in via prioritaria alla (ri)definizione della condizione di disabilità, un dubbio sorge rispetto proprio al significato del rinvio all’art. 3 della legge n. 104 del 1992 che, come noto, individua attualmente la definizione di persone con handicap.

Come deve intendersi questo riferimento? Da un punto di vista letterale questa previsione sembrerebbe significare che l’accertamento della condizione di disabilità andrà a sostituire soltanto l’attuale accertamento della condizione di handicap, lasciando in vigore le altre procedure di accertamento.

Tale lettura contraddirebbe però l’intera impostazione della legge che si è sopra descritta. Se ne deve allora ricavare un’altra interpretazione, che in effetti trova una conferma nella pur non troppo felice formulazione del successivo criterio direttivo indicato al numero 2) della lettera b). Qui si prevede infatti la «unificazione in un’unica procedura del processo valutativo di base ai sensi della legge n. 104 del 1992», di tutti gli altri accertamenti previsti attualmente.

In definitiva, dunque, la valutazione di base che condurrà all’accertamento della condizione di disabilità si incardinerà nel contesto dell’attuale (rivisto!) art. 3 della legge n. 104 del 1992. Ed è in questa procedura che dovrebbero confluire tutte le altre procedure attualmente previste.

 

Ancora, si affida al legislatore delegato il compito di prevedere che la valutazione di base accerti «la condizione di disabilità e le necessità di sostegno, di sostegno intensivo o di restrizione della partecipazione della persona ai fini dei correlati benefici o istituti».

Occorrerà dunque precisare la distinzione tra il sostegno e il sostegno intensivo, individuando criteri uniformi che consentano a coloro che effettueranno la valutazione di decidere in quali casi il sostegno necessario assurga, per l’appunto, al rango di «sostegno intensivo». Si tratterà qui di capire se utilizzare le indicazioni già contenute nella definizione di handicap grave di cui all’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992 (e dunque il sostegno intensivo sarebbe tale quando il sostegno necessario è «permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione»). Oppure, in via alternativa, il legislatore delegato potrebbe richiamare quanto rileva ai fini della concessione dell’indennità di accompagnamento di cui alla legge n. 18 del 1980, che viene riconosciuta quando la persona non è «in grado di compiere gli atti quotidiani della vita».

 

Come appena visto, la legge prevede che la valutazione di base dovrà accertare «le necessità di sostegno, di sostegno intensivo o di restrizione della partecipazione della persona ai fini dei correlati benefici o istituti». A voler provare a dare un significato al testo – invero alquanto oscuro – sembrano possibili almeno due ipotesi. Se ci si “limita” al significato delle parole, la presenza della disgiunzione «o» sembrerebbe far propendere per l’idea che la legge richieda che la valutazione di base debba, in via alternativa, accertare la condizione di disabilità (con l’indicazione dei relativi sostegni) o la condizione di restrizione della partecipazione della persona. Questa interpretazione si porrebbe però in contrasto con il fatto che, anche nell’ottica della semplificazione, la legge delega mai fa riferimento alla volontà di introdurre, nell’ambito della valutazione di base, un accertamento alternativo a quello della condizione di disabilità.

Allora, in una prospettiva sistematica, l’indicazione che si deve trarre dalla legge delega è che la valutazione di base deve condurre, oltre all’accertamento della condizione di disabilità e all’indicazione dei sostegni, anche all’indicazione delle eventuali restrizioni della partecipazione della persona. In altre parole, si tratta di indicare le necessità derivanti dalla restrizione della partecipazione della persona al fine di poter poi prevedere i benefici che possano rispondere a tali necessità. La legge non lo precisa, ma mi pare non ci siano alternative al fatto che la partecipazione della persona si riferisca qui alla vita sociale.

Certo, anche risolvendosi così questo dubbio, si aprono poi ulteriori problematiche. Il tema della partecipazione sociale non può infatti prescindere dalla valutazione multidimensionale: l’impressione, dunque, è che la valutazione di base finisca già per entrare nell’ambito di quelle che dovranno essere le risultanze della valutazione multidimensionale. Riemerge qui dunque, la necessità che nei decreti legislativi si precisi quali aspetti dovranno essere oggetto dell’accertamento della valutazione di base e quali quelli della valutazione multidimensionale.

L’unificazione degli accertamenti nell’unica valutazione di base

Si è già detto dell’intento della legge di razionalizzare e unificare in un’unica procedura i vari accertamenti esistenti. Il legislatore delegato sarà infatti chiamato a semplificare gli aspetti procedurali e organizzativi per «assicurare tempestività, efficienza, trasparenza e tutela» delle persone con disabilità.

All’esito dell’unica procedura valutativa, la nuova certificazione di disabilità dovrebbe tener luogo di tutte le certificazioni relative alla disabilità attualmente vigenti e dovrà altresì contenere le informazioni utili per aver accesso alle specifiche prestazioni economiche, sanitarie e assistenziali previste e assicurate dalle diverse normative oggi vigenti.

Per ragioni di semplificazione e nell’ottica di un più diretto rapporto con il cittadino, potrebbe essere opportuno valutare che sia la stessa certificazione (o il profilo informatico collegato all’INPS) a indicare tutte le varie prestazioni a cui il cittadino ha diritto. Sarebbe certamente una novità che renderebbe più semplice la vita quotidiana delle persone con disabilità. Una simile evenienza sembra in effetti considerata in un’altra parte della legge delega [cfr. art. 2, comma 2, lettera d)] dove si dispone che le nuove piattaforme informatiche dovrebbero consentire la «consultazione delle certificazioni e delle informazioni riguardanti i benefici economici, previdenziali e assistenziali e gli interventi di assistenza socio-sanitaria che spettano alla persona con disabilità»

La legge prevede altresì che la razionalizzazione e la semplificazione in parola debba comunque confermare e garantire «la specificità e l’autonoma rilevanza di ciascuna forma di disabilità». Questa affermazione appare invero eccentrica rispetto all’impianto della legge e non appare perciò immediatamente comprensibile. Se – riferendosi al modo in cui la Convenzione ONU definisce la disabilità – la disabilità dipende anche dal contesto ambientale, è infatti difficile immaginare come sia possibile attribuire specificità e autonoma rilevanza alle singole forme di disabilità.

L’unico modo per provare a dare un senso a questa formulazione appare quella di ritenere che, in questo caso, che il legislatore abbia qui utilizzato il termine disabilità in modo non conforme alla Convenzione ONU, volendo probabilmente riferirsi alla specifica menomazione.

 

La revisione delle modalità di accertamento dell’invalidità di cui al d.m. 5 febbraio 1992

La legge delega sancisce poi [art. 2, comma 2, lettera b), n. 3)] che il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministero per le disabilità e con il Ministero del lavoro, proceda al «progressivo aggiornamento delle definizioni dei criteri e delle modalità di accertamento dell’invalidità», attualmente previsti dal decreto del Ministro della sanità del 5 febbraio 1992. L’aggiornamento in parola dovrà avvenire, ancora una volta, «in conformità alla definizione di disabilità e in coerenza con le classificazioni ICD e ICF».

Ovviamente anche questa previsione – che invero appare introdurre un diverso oggetto di delega piuttosto che un principio o un criterio direttivo immediatamente riferibile alle procedure di accertamento della condizione di disabilità – deve essere interpretata in modo da non contraddire quanto fino a qui si è visto.

Conseguentemente, deve ritenersi che i nuovi criteri e le nuove modalità di accertamento dell’invalidità dovranno necessariamente incardinarsi nell’attività valutativa di base che dovrà condurre all’accertamento della condizione di disabilità.

Altrimenti detto, l’adozione di tali criteri dovrà essere effettuata nell’ambito della complessiva rivisitazione della procedura di accertamento e non dovrà condurre ad un diverso accertamento.

Quanto alla sostanza dei nuovi criteri, la legge delega si limita a richiamare la necessità che essi siano adottati in coerenza con le classificazioni ICD e ICF.

Oggi tali criteri si basano sulla oggettiva incidenza della menomazione sulla capacità lavorativa (generica o specifica, a seconda dei casi) e – grazie al sistema delle tabelle – dovrebbero aver impedito o in ogni caso limitato la possibilità di attribuire troppo rilievo agli elementi soggettivi e ambientali che caratterizzano le singole persone. La classificazione ICD e, soprattutto ICF, che si basano sul funzionamento della singola persona, viceversa impongono proprio di dare massimo rilievo agli aspetti ambientali e personali.

La domanda che l’interprete si pone è se – da un punto di vista medico-legale – sia possibile conciliare questa indicazione sostanziale con il concetto di invalidità. L’impressione, in altre parole, è che qui il rischio di sovrapporre piani diversi sia molto forte. In definitiva, l’approvazione di nuovi criteri è probabilmente tra i compiti più complessi tra quelli introdotti e richiederà certamente un’attentissima ponderazione.

In questa prospettiva, vanno ancora richiamate le già citate «Linee guida in materia di collocamento delle persone con disabilità», che al capitolo 6 si soffermano proprio sulla valutazione bio-psico-sociale della disabilità, evidenziando come essa potrebbe trovare proprio «nel collocamento mirato una naturale area di applicazione».

 

Il soggetto competente a svolgere la valutazione di base

Al numero 4) della lettera b) si rinvengono poi alcune indicazioni relative al concreto svolgersi delle procedure di accertamento della condizione di disabilità.

Innanzitutto, si dispone che la «competenza medico-legale sulle procedure valutative» deve essere affidata in via esclusiva ad un «unico soggetto pubblico».

Attualmente, la legge n. 295 del 1990 attribuisce alle aziende sanitarie locali il compito di svolgere gli accertamenti relative alle domande legate ai vari status.

Nonostante la previsione non lo espliciti, è facile immaginare che il soggetto cui verranno devolute le competenze medico-legali sarà l’INPS, al quale già da tempo – secondo quanto sancito dall’art. 18, comma 22, del decreto legge n. 98 del 2011 –  le Regioni, in deroga alla previsione di cui alla citata legge n. 295 del 1990, possono affidare in via esclusiva le funzioni relative all’accertamento dei requisiti sanitari relative al riconoscimento dei vari status di invalidità/handicap.

Gli obiettivi di questa previsione sono identificati nella volontà di garantire l’omogeneità sul territorio nazionale delle procedure di valutazione e nella semplificazione e nella razionalizzazione degli aspetti procedurali e organizzativi, «anche ai fini deflativi del contenzioso giudiziario».

La seconda indicazione di merito che la legge delega detta è che tali obiettivi potranno essere realizzati anche attraverso «procedimenti semplificati di riesame o di rivalutazione». Ciò dovrebbe garantire «la tempestività, l’efficienza e la trasparenza» delle procedure.

Infine, la disposizione prevede che in tutte le fasi della procedura vengano riconosciute la tutela e la rappresentanza della persona con disabilità coinvolta tramite la partecipazione – che deve essere garantita – delle cosiddette associazioni storiche di tutela dei diritti delle persone con disabilità (Anmic, UIC, ENS, Anffas).

Quest’ultima previsione, che conferma e accentua quanto già previsto dall’art. 1, comma 3, della legge n. 295 del 1990, impone di fatto una rappresentanza “coattiva”, se così si può dire, a favore delle persone che si sottopongono all’accertamento. È una scelta che pone qualche dubbio di legittimità costituzionale, con riferimento a quanto sancito dall’art. 18 della Costituzione che – come ben noto – garantisce il diritto all’associazione anche nella sua sfera negativa. Insomma, si fa un po’ fatica a comprendere per quale ragione sia necessario prevedere una rappresentanza obbligatoria delle persone con disabilità, che ben potrebbero – anche nella prospettiva della Convenzione ONU – non volersi fare rappresentare da una delle associazioni indicate dalla citata legge del 1990.

In ogni caso, sarà opportuno – anche se la legge non lo prevede – mantenere la previsione, di cui all’attuale art. 1, comma 5, della citata legge n. 295 del 1990, che consente di farsi sempre e comunque assistere da un medico di fiducia.

 

I sistemi di controllo e di adeguatezza delle prestazioni

Da ultimo, la legge delega richiede al Governo: a) di prevedere «un efficace e trasparente sistema di controlli sull’adeguatezza delle prestazioni rese»; b) di garantire l’interoperabilità tra le banche dati già esistenti; c) di prevedere ulteriori specifiche situazioni in cui non sarà necessaria la revisione dell’accertamento, oltre ai casi di esonero già stabiliti dalla normativa vigente.

Come già anticipato, questa previsione deve essere letta in stretta relazione con quanto disposto dall’art. 2, comma 2, lettera d), della legge delega, che sancisce la necessità di procedere alla «informatizzazione dei processi valutativi e di archiviazione», attraverso l’istituzione di «piattaforme informatiche, accessibili e fruibili» che consentano, tra le altre cose, «la possibilità di effettuare controlli» proprio grazie alla interoperabilità tra nuove e piattaforme informatiche già esistenti.

Sarebbe molto importante, a mio parere, cogliere lo spunto che la previsione normativa offre non tanto con riferimento ai controlli (sui quali – come ben noto – l’enfasi che spesso si pone anche da un punto di vista mediatico è eccessiva e poco giustificata), quanto con riferimento alla necessità di verificare se le prestazioni rese siano adeguate. In questa prospettiva, anche la prevista istituzione del Garante nazionale delle disabilità potrebbe apparire di grande ausilio.

 

Nota dell’autore: un’eventuale futura parte III potrà focalizzarsi su progetti individuali e figura del Garante.

  1. Cfr. art. 2, comma 2, lettera a), numero 4, in relazione all’adozione del «profilo di funzionamento».
  2. Cfr. art. 2, comma 2, lettera b), numero 3 sull’aggiornamento del decreto del Ministero Sanità del 1992; nonché cfr. art. 2, comma 2, lettera c), numero 3, in relazione alle modalità con cui si deve svolgere la valutazione multidimensionale necessaria alla predisposizione dello stesso profilo di funzionamento: nel primo caso si richiede coerenza rispetto alle classificazioni ICF e ICD, nel secondo caso il legislatore deve invece «tenere conto» sia dell’ICF che dell’ICD