Linee guida sul rapporto tra PA ed Enti del Terzo settore

Fra opportunità e nuove sfide


Federica Forgiarini | 1 Giugno 2021

È tempo di crederci. Con l’adozione, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del decreto n. 72 del 31 marzo 2021, contenente le attese Linee guida sul rapporto tra Pubbliche amministrazioni ed Enti del Terzo settore (ETS), si suggella in modo completo e definitivo un percorso a ostacoli e, verrebbe da dire, al cardiopalma, per chi vi era coinvolto operativamente. Stiamo parlando dei cosiddetti “istituti collaborativi” già salutati dalla Corte costituzionale con la storica sentenza n. 131 del maggio 2020 come “una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118 quarto comma Cost.” ed ai quali ora è di fatto spianata la strada della piena operatività, argomento su cui abbiamo anche recentemente riflettuto.

 

Co-programmazione, co-progettazione e accreditamento, ma anche le convenzioni con APS e associazioni di volontariato o quelle per il servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza, previsti dal Codice del Terzo Settore beneficiano adesso di descrizioni anche puntuali degli aspetti procedurali ma, soprattutto, di un inquadramento di senso che assume più volte nel documento quasi il significato di una summa del percorso sin qui svolto e che forse vale la pena di ripercorrere per dare un senso compiuto alla dimensione attuale.

 

Dopo il parere del Consiglio di Stato del 2018 (n. 2052 del 20.08.2018), che sollevava forti riserve sulla possibilità per la PA di ricorrere ai sopra richiamati istituti del Codice del Terzo settore quantomeno laddove fossero previste relazioni economiche con questi enti, privilegiando, secondo una propria interpretazione del diritto euro unitario, l’utilizzo di appalti, l’anno successivo è lo stesso Consiglio di Stato, con la Sezione consultiva per gli atti normativi, ad affermare che gli istituti disciplinati dal Codice del Terzo settore non rientrano nel campo di operatività delle linee guida ANAC (Sez. atti norm., n. 3235/2019), innovando una posizione che aveva destato non pochi clamori e iniziative di sensibilizzazione sul tema dell’amministrazione condivisa.

 

Ma è stato il 2020 l’anno della svolta. Gli addetti ai lavori hanno salutato la sentenza della Corte costituzionale 131 del 20 maggio 2020 come la definitiva chiave con cui sdoganare la discrezionalità della Pubblica amministrazione nella scelta di approcciarsi, in modo libero ed alternativo, all’erogazione dei servizi attraverso appalti e concessioni o attraverso modalità collaborative, assoggettate, ben s’intende, alla disciplina della L. 241/1990. La Corte Costituzionale, nel giudizio di legittimità costituzionale riguardante la normativa regionale della Regione Umbria sulle cooperative di comunità, precisa che l’art. 55 CTS costituisce una possibile applicazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale (art. 118, Cost.), «strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale (…)». Insomma quel che l’attuazione della L 328/2000 portava già in nuce in termini sperimentali ed innovativi ora è consolidato e fondamento per la piena realizzazione di uno degli articoli del dettato costituzionale.

L’anno 2020 è stato anche l’epoca della pandemia, in cui si registrano altri due importanti passaggi: la previsione dell’istituto della co-progettazione invocato nel DPCM Cura Italia per far fronte alla necessità di garantire servizi alla persona di natura delicatissima in pieno lock down (che per la verità ha colto molte amministrazioni in modo spiazzante) e l’introduzione, nel Codice dei contratti, con la conversione in legge del cosiddetto Decreto semplificazioni (D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con Legge n. 120/2020) di modifiche chiaramente dirette a realizzare un coordinamento legislativo tra Codice dei contratti pubblici stesso e Codice del terzo settore, sancendone la rispettiva autonomia.

Innovative per metodo, perché frutto della collaborazione fra istituzioni e Terzo settore, ma anche nel contenuto, per l’aspirazione di concretezza che rivestono pur in un inquadramento generale inscritto nelle più alte fonti del diritto, le Linee guida rappresentano un ulteriore e, verrebbe da dire, definitivo, passo avanti nel riconoscimento dell’autonoma possibilità di scelta per la PA di realizzare scopi di interesse generale valorizzando logiche di mercato (con appalti e concessioni, assolutamente da non demonizzare ma solo da fare bene!) o attuando politiche di amministrazione collaborativa, che ora possono contare sulla presenza di ulteriori riferimenti concreti sia procedimentali che di principio.

 

Si arricchisce insomma il bagaglio di attrezzature che gli enti devono saper far proprie, possibilmente anche attraverso adeguate ed appropriate disposizioni regolamentari. Ovviamente, ancora una volta, non esistono automatismi e soluzioni preconfezionate, per non parlare dei numerosi problemi che rimangono aperti, ma starà anche all’afflato collaborativo che ha ispirato il percorso sin qui ricordato sistematizzarli e trovare soluzioni.

 

Che cosa è cambiato dunque?

Tra gli aspetti positivi va ricordato che nel CTS emerge in modo prepotente, e forse non ancora del tutto compreso nel suo potenziale, il superamento di quelle caratteristiche di innovazione e sperimentalità che erano richieste dal DPCM 30 marzo 2001 per affrontare gli istituti collaborativi, al tempo enormemente ibridati con il concetto di appalto (basti vedere come erano rubricati gli articoli dello stesso DPCM del 2001). A questa osservazione si aggiunge l’allargamento della platea delle attività oltre l’orizzonte dei servizi sociali, che permetterà ulteriori ragionamenti dove massimizzare i fenomeni di sinergia realizzabili.

È inoltre consolidata, a questo punto, l’opzione di scelta fra appalto e partnership, da inquadrare entro cornici diverse, seppur aventi in comune alcuni principi fondanti l’azione amministrativa come la pubblicità, la trasparenza e tutti i corollari del buon andamento della PA. Questo dovrebbe evitare anomale contaminazioni finora molto diffuse, benché alcuni temi spinosi permangano e vadano affrontati. Solo a titolo di esempio, si rileva la scelta, nelle linee guida, di rinforzare il riferimento (già presente nella relazione illustrativa del CTS) all’articolo 12 della L 241/90, ascrivendo sostanzialmente la partita della collaborazione alla grande famiglia dei “contributi”, perfettamente in linea con il concetto di sussidiarietà orizzontale e dunque nel riconoscimento di come il Terzo Settore possa contribuire a realizzare scopi della PA. Tutto ciò con le evidenti conseguenze in termini di allocazione delle relative poste in bilancio. Tuttavia, nel medesimo documento si riscontra il riferimento, che apparirebbe incongruente, alla tracciabilità, lodevolissimo istituto di contrasto alle infiltrazioni mafiose, ma finora esplicitamente riservato per norma all’ambito appaltistico e non applicabile ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, sui quali gravano invece particolari oneri di trasparenza e pubblicità su cui si ritorna al paragrafo 6 delle Linee guida stesse. La stessa coesistenza del riferimento all’articolo 11 e all’articolo 12 della L 241/91 potrebbero indurre una certa confusione nell’interpretazione del provvedimento da adottare a cura della PA.

 

Un altro tema da non trascurare è quello che possiamo definire economico, declinabile sotto due profili. Primo profilo: non parleremo di congruità del prezzo di una prestazione, ma la PA dovrà pur sempre mettersi in ascolto e far proprie determinate valutazioni necessarie alla sostenibilità di attività strutturate e realizzate con continuità. L’altro profilo impatta maggiormente nell’organizzazione del Terzo settore, da cui ci si aspetta la disponibilità ad investirsi ed investire in termini di dialogo, ragionamento e co-costruzione permanente dei progetti, ivi comprese le (numerose) ore da spendere necessariamente ai tavoli per costruire insieme un linguaggio comune prima e consolidare una prassi operativa poi. Senza dimenticare, fra l’altro, la più volte invocata “circolarità”, vale a dire la continua riprogettazione degli interventi, in un clima di monitoraggio, verifica e crescita costanti, che si possono realizzare solo dedicando adeguati tempi e spazi di riflessione.

Non me ne vogliano infine quanti, sacrosantamente, si battono da anni per la costruzione di contesti politico amministrativi accoglienti nei confronti degli istituti collaborativi, ma mi sentirei infine di sottolineare come elemento positivo anche la possibilità di agire ora in autonomia, cioè in assenza di regolamenti specifici pur sempre auspicabili, ma dai percorsi più lunghi e necessariamente pregni di motivazione diffusa a livello politico. Se è vero, come è vero, che la riuscita di uno o più progetti, per “diventare cultura”, necessita di muoversi in una sorta di “ecosistema collaborativo”, dove sono coinvolti il livello politico, il livello tecnico amministrativo ed il livello progettuale/operativo, è anche vero che determinate conquiste si poggiano sulla visionarietà dei primi pionieri.

 

Con quest’immagine mi piace guardare, in particolare nel mondo della PA, dove le resistenze potrebbero essere più alte e l’inerzia conservativa di determinate prassi più allettante, a quei funzionari che in qualche modo apriranno o hanno aperto la strada, spendendosi in un terreno meno noto e meno sicuro, brandendo con una mano la Costituzione e con l’altra il Codice e le linee guida. Semplicemente perché è tempo di crederci.