L’intervento con le famiglie beneficiarie del RdC

Un modello culturale, metodologico e formativo


Introduzione

Il D.L. 4/2019 istitutivo del Reddito di Cittadinanza (RdC), facendo salvo quanto scritto nell’art. 5 del D.lgs. 147/2017 sul REI, prevede, come Livello essenziale, l’adozione di Linee guida per la definizione degli strumenti operativi al fine di assicurare uniformità nelle prestazioni su tutto il territorio nazionale e coerenza nei criteri di valutazione delle famiglie in situazione di vulnerabilità socioeconomica.

Il processo di definizione delle Linee guida e degli strumenti, iniziato nel 2017, si è concluso con l’approvazione in Conferenza Unificata il 27.06.2019 e ha visto protagonisti, nel ruolo di promotore e coordinatore del Tavolo di lavoro, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel ruolo di componenti i rappresentanti delle Regioni, di ANCI, di ANPAL, del CNOAS, dell’INAPP e del Laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare dell’Università di Padova (LabRIEF), oltre che di Banca Mondiale nella fase finale dei lavori.

 

L’insieme delle Linee Guida e della strumentazione approvata costituisce attualmente la base teorica e pratica per l’accompagnamento da parte dei servizi delle famiglie beneficiarie del RDC e maggiormente distanti dal mercato del lavoro.

Tale strumentazione è unitaria, ma composta dai tre singoli strumenti previsti dalla norma:

  1. la scheda per costruire l’Analisi preliminare, rivolta a tutti i beneficiari del RdC che entrano nel percorso di inclusione sociale (AP)
  2. la scheda per costruire il Quadro di analisi, realizzato ove indicato (QA)
  3. la scheda per costruire il Patto di inclusione sociale (Pa.I.S.).

In seguito alla definizione di queste tre schede, diffuse in forma cartacea nella forma de “I Quaderni dei Pa.I.S.”, è stata istituita la piattaforma digitale, denominata “GePI” (Gestionale dei Pa.I.S.), che informatizza gli strumenti per la valutazione multidimensionale come parte integrante del Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS).

 

Un approccio metodologico

Detta tripartizione è indicativa del senso della valutazione multidimensionale prevista nel D.L. 4/2019, nella quale è considerato costitutivo il nesso tra valutazione e progettazione: le analisi non sono fini a se stesse, ma “vivono” nei Patti, sono orientate alla costruzione di un progetto di cambiamento in cui la famiglia possa trovare, in sé e nella propria rete sociale, quelle risorse che permettano la fuoriuscita dalle condizioni che hanno condotto alla povertà. La strumentazione, cioè, viene utilizzata nella cornice del metodo della valutazione partecipativa e trasformativa, sperimentato nel Programma nazionale P.I.P.P.I. (Milani, Colombini, 2017) a partire dal 2011 (Serbati, Milani 2013; Milani et al. 2015). Essa si basa su punti di vista, diagnosi, informazioni, analisi, dati di fatto raccolti tramite il lavoro di un’equipe multidisciplinare, che rappresenta il contesto in cui riflettere in maniera aperta e sistematica su tale insieme di informazioni per costruirne un’analisi globale e condivisa, che superi l’arbitrarietà dei giudizi e la soggettività delle opinioni, in funzione di una prospettiva intersoggettiva.

Il RdC prevede infatti un’integrazione fra politica attiva e passiva, in quanto ogni famiglia che riceve il beneficio economico dovrebbe essere soggetto con cui i servizi costruiscono tale progetto, attraverso l’AP prima, il QA completo in un secondo momento per poter arrivare alla definizione del Pa.I.S. qualora dall’analisi sia emerso come prevalente un bisogno sociale.

I risultati documentati nei report di ricerca pubblicati da LabRIEF su P.I.P.P.I., il fatto che in Italia ci siano oggi circa 7000 professionisti già formati che stanno utilizzando questo metodo con le famiglie vulnerabili, la volontà di non disperdere le conoscenze e le competenze costruite nel tempo tramite P.I.P.P.I. sono tra i principali fattori che hanno motivato sia la presenza di LabRIEF al Tavolo di lavoro del Ministero, sia l’opzione condivisa per il metodo della VPT, che la co-costruzione della strumentazione di cui sopra.

 

Un approccio culturale

L’approccio metodologico, fino a qui sommariamente descritto, all’intervento con le persone in situazione di povertà e le loro comunità è coerente con un approccio culturale alla povertà, che delineiamo brevemente nei 3 punti di seguito:

  1. tale approccio poggia sulla giustizia e i diritti: i percorsi di uscita dalla povertà si basano su un diritto della persona umana, per questo i servizi si situano in una postura di solidarietà, equità e giustizia, non di beneficenza nei confronti delle famiglie (Krumer Nevo, 2016). Tali diritti sono riconducibili in particolare all’art. 25 della Dichiarazione internazionale dei diritti umani (“Ogni persona ha diritto ad un tenore di vita che garantisca la salute e il benessere proprio e della propria famiglia. In particolare, ha diritto al cibo, al vestiario, alla casa, all’assistenza medica e ai servizi sociali di base. Inoltre, ogni persona ha diritto a essere garantita in caso di disoccupazione, malattia, inabilità, vedovanza, vecchiaia e in mancanza di fonti di sopravvivenza per circostanze esterne alla sua volontà”) e all’articolo 3 della Costituzione italiana.

Collocare il problema della povertà nella cornice dei diritti permette di superare la rappresentazione sociale dei poveri come responsabili della loro condizione: la povertà è interdipendente a condizioni sociali e va compresa in prospettiva ecologico-sistemica (Bronfenbrenner, 1979): si è poveri in comunità povere, la povertà dei singoli è interdipendente a quella dei contesti.

  1. La povertà è intesa quindi come difficoltà (e non volontà) dei singoli e dei contesti ad accedere a tre ordini di Beni, che corrispondono ai diritti umani fondamentali:
  • Beni materiali che riguardano il capitale economico e quindi le dimensioni dell’abitazione, dell’alimentazione, del lavoro;
  • Beni sociali che riguardano il capitale sociale e di salute delle persone e quindi le dimensioni dell’istruzione, formazione, educazione, cure sanitare, rapporti sociali, ecc.;
  • Beni esistenziali, che riguardano il capitale umano e simbolico e quindi le dimensioni del riconoscimento sociale, della dignità e della capacitazione nella prospettiva seniana, secondo cui la povertà dipende non tanto e non solo dal non avere accesso ai beni materiali, quanto dal fallimento di quelle capacità che permettono la fioritura della persona e garantiscono la possibilità di scelta fra le vite possibili (Sen, 2000).

Questi tre ordini di Beni sono alla base degli strumenti dell’AP, del QA e del Pa.IS in quanto le aree di analisi e di progettazione sono costruite sulle dimensioni sopra evocate.

  1. L’assenza di questi tre ordini di Beni è considerata allo stesso tempo causa ed effetto della povertà. Oggi la ricerca mette a disposizione un insieme di evidenze robusto e interdisciplinare che dimostra che la povertà pregiudica lo sviluppo umano e sociale, per gli importanti effetti sui bambini e sulla loro crescita, quindi sugli adulti. I bambini che crescono in ambienti avversi e in situazione di povertà manifestano nel tempo maggiori difficoltà di comportamento, apprendimento e integrazione sociale, più probabilità di fallimenti scolastici e di debole inclusione nel mondo del lavoro, ricevono minore stimolazione cognitiva, linguistica, sociale, minore supporto affettivo nelle loro famiglie e le loro famiglie ricevono poco sostegno sociale. La povertà psico-sociale, economica e educativa esperita nell’ambiente sociofamiliare nei primi anni di vita è un forte predittore di disuguaglianze sociali e povertà economica per il singolo e la comunità. Per questo la REC 2013, 112 EU, invita a mettere in atto politiche che “interrompano il circolo dello svantaggio sociale”.

 

Per raggiungere tale finalità è necessaria una politica lungimirante rispetto all’intervento e ai sostegni, che metta in tensione due aree di azione:

  • a breve/medio termine, per permettere agli adulti e alle figure genitoriali in situazione di povertà di accedere ai tre ordini di Beni, tramite azioni riparative, rivolte al presente, al qui ed ora delle persone;
  • a lungo termine, per permettere ai bambini in situazione di povertà di vivere in ambienti liberi dalle condizioni che sono causa della povertà, tramite azioni preventive rivolte sia al presente che al loro futuro.

Per queste ragioni, nella costruzione dei Pa.I.S, questo approccio culturale si riconnette all’approccio metodologico prevedendo sostegni coerenti con i tre ordini di Beni e che diano priorità alle famiglie con bambini in età 0-3:

  • rispetto ai Beni materiali e al capitale economico: nei Pa.I.S si forniscono benefici economici e sostegni sulle dimensioni relative ai bisogni materiali, e ai pre-requisiti, in termini di formazione e competenze, necessari ad accedere al mercato del lavoro;
  • rispetto ai Beni sociali e sanitari e al capitale sociale: si garantiscono azioni di riconoscimento dei bisogni sociali e di salute, sostegni finalizzati a rafforzare le competenze genitoriali e le reti sociali;
  • rispetto ai Beni esistenziali e al capitale umano: si garantiscono risposte ai bisogni relazionali e educativi dei bambini e degli adulti, sostegni di tipo educativo. Il fine è costruire i Pa.I.S all’interno di una relazione famiglia – servizi che possa, di per sé, restituire dignità e promuovere empowerment e capacitazione, tramite forme appropriate e mature di partecipazione dei cittadini ai loro progetti. La postura etica dei professionisti è basata sull’ascolto, considerato un principio costitutivo dell’agire valutativo, in quanto si assume che la conoscenza sia situata e quindi che i diversi attori, e i beneficiari in primis, siano portatori dei saperi necessari alla valutazione.

 

Tale approccio culturale e metodologico è in sintesi:

  • Ecosistemico e multidimensionale: non si tratta solo di promuovere l’inclusione sociale e la “genitorialità positiva”, quanto di costruire ambienti/nicchie ecologiche di qualità per garantire ai bambini a good start in their life (Rec 2013/112/UE). Occorre quindi rinforzare le comunità, i servizi, le politiche (anche i servizi e le infrastrutture sono vulnerabili, non solo le persone) tramite il ruolo cruciale dei piani locali e regionali per la povertà: RdC non richiede solo casemanagement.
  • Equity based, inclusivo e intersettoriale: tutte le famiglie hanno facile accesso a servizi e sostegni, relazioni stabili con i servizi, che mettono al centro il lavoro in equipe multidisciplinari e il lavoro intersettoriale.
  • Family based: attenzione al rafforzamento della competenza genitoriale, al fare posto ai bambini e ai loro genitori.
  • Resiliency Based: prioritario “innaffiare” le comunità di fattori protettivi che possono bilanciare i fattori di rischio.
  • Capacitante: si attivano le skills genitoriali, sociali, professionali, ecc. e il rinforzo delle reti sociali
  • Generativo: riconosce le persone nella loro interezza, mette al centro le relazioni, mobilitando le loro risorse e le possibilità di cambiamento in funzione della restituzione di ciò che si è ricevuto alla comunità.
  • Pragmatico: la teoria si connette alla pratica tramite gli strumenti – importanza di GEPI.
  • Protettivo e preventivo: prevede azioni e sostegni rivolti al presente degli adulti che abbiano effetti sul presente e sul futuro dei bambini.

 

Il contesto

Secondo le ultime rilevazioni circa il 46% delle famiglie beneficiarie del Reddito di Cittadinanza è o sarà indirizzato ai servizi sociali del territorio. Questa quota, consistente, pone delle sfide ad almeno tre livelli diversi.

  1. In primo luogo la necessità, per i servizi sociali, di affrontare e gestire l’articolato percorso definito dal Patto per l’inclusione sociale, cosa che implica dotare i servizi di risorse umane aggiuntive, pronte a scommettere sul potenziale dei beneficiari e messe nelle condizioni di poter realizzare azioni di sistema efficaci e coordinate fra loro.
  2. Le azioni di sistema rappresentano, quindi, la seconda sfida che il Pa.I.S. porta con sé. Nelle Linee Guida come da più parti ormai (Caiolfa, 2019; Ranci Ortigosa, 2019) si constata come il RdC investa una molteplicità di settori e servizi e richieda un’integrazione tra politiche (sociali, lavorative, educative, scolastiche, sanitarie, ecc.) tradizionalmente distinte, professioni e livelli gestionali e di governo differenti sia dal punto di vista della scala territoriale che dello status (pubblico e non). Ciò che permetterebbe una più efficace implementazione della misura non è solo una funzionale combinazione di più policy, ma anche una semplificazione dei diversi esistenti schemi di contrasto alla povertà: «In Italia […] rimangono moltissimi altri schemi poco o per nulla coordinati tra loro: la Carta acquisti […], l’assegno alle famiglie con tre figli, le tante forme di pensioni di invalidità, il bonus bebè, il fondo affitto, i trasferimenti dedicati dei Comuni […]. Il RdC potrebbe essere l’occasione giusta per procedere verso una semplificazione» (Baldini, 2019).
  3. In terzo luogo, la sfida da cogliere si gioca anche sul piano comunicativo. Semplificando si potrebbe affermare che nel dibattito pubblico, nella comunicazione politica e nella promozione mediatica RdC è stato presentato e narrato – tranne rare eccezioni – come un’iniziativa lavoristica e di erogazione monetaria. Sembra mancare qualsiasi riferimento al percorso di inclusione sociale, ovvero all’accompagnamento dei beneficiari coordinato dai servizi sociali del territorio e caratterizzato dall’approccio appena descritto. Promuovere una diversa comunicazione, attenta anche agli aspetti sociali previsti dalla misura, significherebbe dare ai servizi sociali il giusto riconoscimento e lo slancio verso un imprescindibile lavoro di comunità con (e non per) i destinatari del RdC.

 

Lasciando sullo sfondo questa terza e ultima sfida, ci soffermiamo rapidamente sulle prime due portando dati e considerazioni emersi durante la prima annualità del “Corso di Alta Formazione Universitaria per professionista esperto nella gestione degli strumenti per l’analisi multidimensionale del bisogno e per la progettazione degli interventi rivolti ai beneficiari della misura di contrasto alla povertà e sostegno al reddito (RdC)”.

 

Un approccio formativo: la formazione dei Case Manager

In considerazione delle novità introdotte dalla normativa e dal cruciale e delicato compito che gli operatori dei servizi sono chiamati a svolgere, il Ministero ha inteso avvalersi del PON Inclusione per mettere a disposizione di tutti i comuni italiani una serie di misure di accompagnamento. A LabRIEF è stata affidata la programmazione e la realizzazione del Corso di cui sopra. Esso è intenzionalmente diretto a professionisti, operanti negli ambiti territoriali, a cui viene attribuita la funzione di case manager, ossia di accompagnamento alle famiglie, e contestualmente una funzione di supporto all’uso degli strumenti per i diversi professionisti impegnati nella gestione degli interventi.

La formazione consente di rafforzare le competenze necessarie ad applicare in maniera efficace la nuova misura di contrasto alla povertà nell’ottica dei Livelli essenziali delle prestazioni, adottando un approccio comune sull’intero territorio nazionale che contempli anche il rafforzamento della collaborazione tra i servizi territoriali, a partire dai servizi sociali e dai Centri per l’Impiego.

Nello specifico i macro obiettivi sono:

  • favorire la partecipazione di community leader, persone che svolgono ruoli sociali positivi e sono engaged con la loro comunità
  • affiancare la comunità degli operatori dei diversi servizi territoriali ad accogliere la sfida di accompagnare i cittadini nella costruzione del loro progetto di uscita dalla povertà
  • utilizzare strumenti e metodologie di intervento tese a costruire progettualità innovative con i cittadini inquadrando tali strumenti all’interno della metodologia della “valutazione partecipativa e trasformativa”
  • riconoscere possibilità di azione e trasformazione in ogni contesto.

 

Il corso ha una struttura blended, mista, che prevede 3 moduli online e uno che viene svolto in presenza per complessive 9 giornate, di cui 2 in presenza, in tempi e sedi diverse a seconda dei gruppi di Regioni partecipanti. La parte online si svolge su piattaforma Moodle dell’Università di Padova dove sono predisposti i collegamenti e i riferimenti alla formazione di base di Banca Mondiale, spazi di condivisione con forum generali e specifici, video, documenti, compresi i «Quaderni dei Pa.I.S.».

L’approccio formativo, coerentemente all’approccio culturale, è situato, non astratto, ancorato alle pratiche, aperto ai saperi dei partecipanti, interdisciplinare, attento cioè alle diverse professioni e alle aree di confine tra professioni e soprattutto ai problemi comuni. Se l’approccio metodologico, come abbiamo visto, propone agli operatori la postura etica dell’ascolto dei beneficiari, nella formazione si lavora affinché gli operatori facciano per primi l’esperienza di sentirsi ascoltati e rispettati nella loro dignità, nei loro saperi e nelle loro capacità: la postura formativa è isomorfica alla postura metodologica proposta agli operatori nell’intervento con le famiglie (Milani, 2018).

Di conseguenza i principi pedagogici ispiratori dell’approccio formativo sono:

– la partecipazione: gli operatori conoscono le persone e le persone povere conoscono molto bene la loro situazione;

– l’apprendimento per risoluzione di problemi e tramite l’azione, non lineare, non per ripetizione, ma euristico: si lavora tramite giochi di ruolo, giochi cooperativi, ecc.;

– il confronto socio-cognitivo: si propongono dilemmi disorientanti per creare conflitto cognitivo, in tandem group e/o in umbrella group;

flipped classroom: la teoria è studiata nei moduli online, mentre la formazione in presenza è finalizzata alla pratica e alle esercitazioni in équipe.

 

L’accordo tra il Ministero e l’Università di Padova prevede di raggiungere 2400 operatori in tre edizioni per gli anni 2019, 2020 e 2021. Alla prima edizione hanno partecipato 777 operatori (per la maggior parte assistenti sociali, circa il 70% dei partecipanti) individuati in 346 ambiti territoriali, il 60% circa di tutti gli ambiti. I risultati ottenuti dai questionari di gradimento riportano valutazioni positive, sia per i moduli online che per quello in presenza: la maggior parte dei partecipanti ha dimostrato di apprezzare i contenuti e la struttura del corso e in particolar modo la possibilità di prendere parte a una formazione nella quale confrontarsi con altri colleghi e formatori. Nei suggerimenti viene segnalata la necessità di partecipare a nuovi incontri, anche alla luce della implementazione della piattaforma GePI, e per mantenere uno spazio di confronto tra territori diversi. Tuttavia, è possibile individuare alcune criticità emergenti da questa esperienza formativa.

Innanzitutto occorre sottolineare come la tipologia di formazione proposta, pur ampia e multidisciplinare, rischi di impattare solo parzialmente sulle pratiche professionali se alla base non ci sono strutture organizzative dei sistemi dei servizi in grado di operare in maniera congiunta e flessibile.

Laddove un cambiamento è stato avviato, teso a rendere più efficaci e regolari le integrazioni tra professionisti di enti diversi in un’ottica di équipe multidisciplinare, i tempi con cui lo si è perseguito non sempre coincidono con i tempi delle persone che si rivolgono ai servizi. Per essere affrontata, la multidimensionalità della povertà richiede non solo uno sguardo aperto ai molteplici aspetti che concorrono a definirla, ma anche interventi che siano tempestivi e che evitino alle famiglie di transitare da un servizio all’altro a causa della scarsa o mancante collaborazione inter-istituzionale. Quella stessa mancanza che rende difficoltoso per un ambito territoriale lavorare secondo l’approccio proposto dagli strumenti e dalle Linee Guida del RdC. A tale criticità si deve aggiungere un’elevata eterogeneità territoriale dal punto di vista della cultura organizzativa, della capacità di fare rete tra sistemi differenti e, ovviamente, della numerosità dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza: ricordiamo che in Italia la geografia dei servizi e degli interventi è una geografia disuguale, segnata, fra l’altro, dalla regionalizzazione del welfare.