Premessa
È stato recentemente pubblicato il resoconto dell’audizione della Dott.ssa Cristina Freguja, Direttrice della Direzione Centrale per le Statistiche Sociali e il welfare dell’Istat, che ha presentato al Gruppo di lavoro sulle politiche per la casa e l’emergenza abitativa, istituito pochi mesi fa presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, un interessante quadro su alcune delle principali dimensioni della disuguaglianza abitativa in Italia.
Il documento si sofferma in particolare su alcune dimensioni tratte dall’“Indagine sul Reddito e le condizioni di vita”1 e dall’“Indagine sulle spese delle famiglie”, su cui si basano gli indicatori di povertà assoluta. Come noto ad oggi, non sono disponibili stime sedimentate sull’entità complessiva delle forme di disagio abitativo presenti in Italia e, oltretutto, come si osserva anche nel Rapporto promosso da Federcasa e curato da Nomisma (2020), non esiste una definizione condivisa del concetto di disagio abitativo. Tuttavia appare possibile, attraverso indagini come quelle qui riportate, cogliere natura e linee evolutive delle diverse forme di disagio presenti nel paese. Si tratta infatti di rilevazioni che consentono di raccogliere annualmente, a livello nazionale, informazioni sulle caratteristiche delle abitazioni di residenza delle famiglie (il titolo di godimento dell’abitazione, la tipologia, ecc), sull’adeguatezza degli spazi abitativi (strutture danneggiate, umidità, o la mancanza di spazio), sul peso degli oneri per la casa e sulle difficoltà che i cittadini incontrano per far fronte con regolarità a tali spese.
I dati presentati nel resoconto dell’Istat, evidenziano e confermano come in Italia il tema della casa rappresenti oggi un ambito di grande criticità per una buona parte della popolazione e come alcune condizioni sociali o di fragilità siano estremamente correlate alla possibilità di vivere in condizioni precarie, alle difficoltà di mantenere il proprio alloggio o alla capacità di superare una condizione di emergenza abitativa.
In questo quadro di possibile recessione economica, si descrive infatti una situazione nella quale sempre più persone faticano a recuperare risorse per mantenere la propria abitazione e molte altre ritrovano vincoli e ostacoli per accedere a situazioni abitative adeguate; assistiamo all’emergere di nuovi bisogni, non legati esclusivamente a situazioni di grave disagio, e a divari importanti e accentuati tra diverse fasce di popolazione. Situazioni che riscontriamo nei nostri lavori, in particolare, nei contesti di Edilizia Residenziale Pubblica, dove assistiamo, tra le fasce più povere della popolazione, ad un progressivo aumento della morosità ma anche nei contesti privati, dove si evidenzia un aumento delle difficoltà a sostenere le spese legate all’abitazione (affitto, mutuo e spese di condominio) con il reale rischio che si verifichi un aumento degli sfratti e dei decreti ingiuntivi e dunque un aumento di persone che si rivolgeranno ai servizi sociali per richiedere forme di supporto.
Dal resoconto emerge chiaramente come per alcune fasce sociali, ma anche per alcune categorie di cittadini (famiglie mono genitoriali, famiglie di origine straniera, giovani coppie, …), sembrano aumentare le difficoltà ad affittare e ad acquistare un’abitazione sul mercato a causa della richiesta di garanzie difficilmente sostenibili e assicurabili, ma anche ad accedere ad abitazioni in affitto a canoni sostenibili data la scarsità di offerta di edilizia pubblica e di abitazioni a canone concordato/convenzionato o, in generale, agevolato.
Insomma, siamo di fronte al reale rischio di scivolamento verso una condizione di vulnerabilità di persone che, fino a oggi, erano in grado di sostenere un’abitazione a prezzi del mercato libero ed è anche possibile ipotizzare un aumento delle persone che non troveranno accesso a soluzioni abitative sostenibili, e dunque la concreta possibilità che possa aumentare il numero dei senza dimora e delle persone che occuperanno abusivamente abitazioni pubbliche e private.
L’affitto è il titolo di godimento più diffuso tra le famiglie più povere, più giovani e straniere
Nel primo paragrafo il resoconto dell’Istat offre un quadro sulla distribuzione dei titoli di godimento dell’abitazione e sulle tipologie di abitazioni confermando sostanzialmente la progressiva contrazione della componente in affitto a favore di quella in proprietà che ha iniziato a caratterizzare il contesto italiano dagli anni Settanta in avanti e a consolidarsi a partire dagli anni Duemila. Nel 2021, infatti, il 70% circa delle famiglie (18,2 milioni di famiglie) risulta in proprietà, il 20% (5,2 milioni) in affitto e circa il 9% (2,2 milioni) dispone di un’abitazione in usufrutto o a titolo gratuito. Tra le famiglie proprietarie di un’abitazione quelle che pagano un mutuo rappresentano il 12,8% del totale (circa 3,3 milioni di famiglie).
I dati presentati confermano inoltre come l’affitto continui ad essere il titolo di godimento più diffuso tra le famiglie più povere (il 32% dei nuclei famigliari appartenenti al primo quintile) riducendosi progressivamente all’aumentare del reddito (11,3% tra le famiglie più benestanti appartenenti all’ultimo quintile). I nuclei famigliari in affitto sono indicativamente le persone sole con meno di 35 anni (47,8%), le famiglie giovani di nuova formazione (il 39,9%), le persone sole di 35-64 anni (33,2%), le famiglie monogenitore con figli minori (30,8%) e quelle con almeno tre minori (33,7%). Quella dell’affitto è una condizione che caratterizza il 35,5% delle famiglie in cui il principale percettore di reddito è disoccupato e il 68,5% delle famiglie con stranieri, mentre quelle composte da soli stranieri riguarda il 73,8% delle famiglie (tra queste poco più di una famiglia su 10 vive in una casa di proprietà).
La difficoltà ad accedere ad una abitazione adeguata, sicura e sostenibile
Nei successivi tre paragrafi del resoconto, invece, vengono proposti alcuni interessanti approfondimenti che consentono di rilevare più da vicino l’entità e le caratteristiche delle situazioni di disagio abitativo presenti nel contesto italiano.
Il focus sulla popolazione che vive in affitto in condizioni di povertà assoluta2 mostra come, seppur si sia registrato un leggero miglioramento nel numero di famiglie in questa condizione (da 7,7% nel 2020 a 7,5% nel 2021 pari a circa 1,9 milioni di famiglie), sia aumentata la percentuale di coloro che sono in affitto (da 43,1% al 45,3% nel 2021 pari a 889mila). La percentuale tende a salire esponenzialmente se si considerano le famiglie povere con stranieri dove quelle che vivono in affitto sono il 76,5%.
L’aumento di situazioni di disagio connesse alla difficoltà economica ad accedere a una migliore condizione abitativa viene documentato anche dal tasso di sovraffollamento3 e dalla presenza di problemi strutturali nell’abitazione. Rispetto alla condizione di sovraffollamento, nel 2021, essa riguarda il 20,2% delle famiglie. Valori particolarmente elevati si registrano tra le famiglie in affitto (35,6%), nelle coppie con figli minori (38,3%), nelle famiglie monogenitore con figli minori (46,3%) e nelle famiglie di origine straniera (48,1%). Considerando il reddito famigliare, si verifica inoltre come, tra le famiglie più agiate, il tasso di sovraffollamento sia pari al 9,6% mentre tra quelle meno abbienti riguardi ben il 27,4% delle famiglie. Una condizione che nel corso degli anni è andata aggravandosi, rispetto a una media UE dove invece si è registrata una costante diminuzione del fenomeno. Rispetto ai problemi strutturali relativi all’abitazione viene registrata una maggiore esposizione a queste forme di disagio tra le famiglie più povere dove: il 14,8% lamenta la presenza di strutture danneggiate, il 16,5% problemi di umidità, l’8,8% scarsa luminosità. Le percentuali aumentano tra le famiglie in affitto, quelle residenti nel Mezzogiorno, tra le persone sole con più di 35 anni di età e quelle composte da soli stranieri.
Un ulteriore indicatore, che registra una potenziale condizione di disagio nell’accesso e nel mantenimento dell’abitazione, è rappresentato dall’incidenza delle spese per l’abitazione4 sulla capacità di spesa complessiva delle famiglie. Dal resoconto si evince come le famiglie in affitto spendano mediamente di più, 579 euro al mese, di quelle che godono della proprietà dell’abitazione, dove le spese sono quasi dimezzate (263 euro). Un valore, quest’ultimo, che risulta superiore quando la casa è soggetta a mutuo (377 euro) ma comunque inferiore a coloro che vivono in affitto. Se si considera l’incidenza delle spese per l’abitazione sul reddito, si registrano valori più elevati per le famiglie in affitto (27,9%) rispetto a quelle in proprietà con mutuo al lordo della quota in conto capitale (21,1%).
Le famiglie che registrano un maggiore sovraccarico per i costi dell’abitazione sul reddito, ovvero quelle dove una quota di spese per l’abitazione sul reddito disponibile è uguale o superiore al 40%, sono quasi 2 milioni e 500 mila (9,9% del totale). Tra le categorie maggiormente esposte vi sono le famiglie più povere (36,6%), quelle in affitto (32,3%), quelle in cui il principale percettore di reddito è disoccupato (33,8%), le persone sole (in particolare quelle fino a 35 anni di età, 16,9%), le famiglie monogenitori con figli minori (16.6%), e le famiglie di origine straniera (26,6%).
A conferma delle condizioni di difficoltà osservate concorre la percentuale di famiglie che riferiscono di essersi trovate almeno una volta, nel corso del 2021, in arretrato con il pagamento delle spese per l’affitto (9,4%) o le rate del mutuo (2,7%). Tale condizione è presente tra le famiglie più povere dove: il 13,5% è in arretrato con le utenze (rispetto al 2% del quinto più ricco), il 16,3% è in arretrato con l’affitto e il 9,4% è in arretrato con la rata del mutuo.
Osservazioni conclusive
Nel tentativo di proporre alcune considerazioni generali sul resoconto in oggetto, riteniamo innanzitutto utile porre l’attenzione sui fattori che, a nostro giudizio, hanno influito sul configurarsi di questo quadro. Tra questi riconosciamo sicuramente fattori di carattere trasversale: come le forti e crescenti disuguaglianze in termini di diritti e possibilità di accesso al lavoro, ai servizi e alla casa che connotano le società post-fordiste, ma anche l’orientamento neo-liberista delle politiche pubbliche che ha di molto ridotto le tutele del welfare, il carattere selettivo dei processi di trasformazione urbana che hanno prodotto in alcuni contesti ricadute negative sui gruppi di popolazione più fragili (Boni, Padovani, 2022; Pasquinelli, 2022), così come i processi di progressiva mercificazione del bene casa e la finanziarizzazione estensiva del mercato immobiliare che hanno investito i principali sistemi urbani (Bricocoli, Peverini, 2022). Tuttavia, non si può non pensare anche a fattori strettamente legati alle politiche per la casa proposte e attuate negli ultimi due decenni. Su tali politiche si rileva il permanere di una sorta di reticenza (Padovani, 2017) nel porre al centro dell’agenda delle politiche pubbliche la questione abitativa, e ciò nonostante l’esistenza di comprovate gravi situazioni di disagio e di difficoltà di risposta da parte degli enti pubblici responsabili5 che sono state ripetutamente poste all’attenzione delle istituzioni6. Una tendenza che si verifica altresì puntando lo sguardo sulle iniziative più recenti avviate in occasione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Anche luce dell’ultimo quadro di contesto delineato dall’Istituto nazionale di statistica, sembra, quindi, ormai ampiamente documentata la necessità (e l’urgenza) di sostenere e attuare una riflessione concreta, dopo anni di ambiguità, su un quadro di nuove possibili iniziative strutturali pubbliche per la casa. Un insieme di azioni, di breve e di lungo periodo, che ponga al centro la questione di garantire un abitare dignitoso per quanti non riescono ad accedere ad un mercato della casa sempre più orientato verso le fasce alte e il profitto e che, da un lato, sono respinti da un’offerta troppo esigua di abitazioni pubbliche e, dall’altro, non dispongono delle risorse necessarie per accedere alla nuova offerta abitativa promossa all’interno di quello che viene definito come housing sociale. Tra queste azioni segnaliamo la necessità di: promuovere a tutti i livelli istituzionali l’integrazione tra diverse politiche ed in particolare tra le politiche sociali e le politiche per la casa; consolidare la collaborazione tra le diverse istituzioni coinvolte, implementando un’azione coordinata e programmata tra tutti gli attori in campo (pubblici e privati) attraverso per esempio il potenziamento delle Agenzie per l’abitare (attori che oggi più di altri sembrano in grado di favorire l’incontro tra domanda e offerta abitativa sociale e di diversificare i propri servizi individuando strategie che consentano di contenere le nuove vulnerabilità e impedire che queste si trasformino in nuove situazioni di marginalità); definire una filiera di interventi e servizi abitativi, in grado di offrire risposte differenziate e adeguate alle situazioni di bisogno, da quelle meno gravi (rischio abitativo) a quelle più gravi contraddistinte da una molteplicità di bisogni (sanitari, sociali, economici oltre che abitativi) e che necessitano di un alto livello di intensità assistenziale; ripensare le misure di sostegno all’accesso e al mantenimento dell’alloggio in relazione all’allargamento della platea dei soggetti che necessitano di supporto. Infine, riteniamo che il quadro di nuove azioni auspicato, non possa non prevedere al proprio interno, una seria e importante riflessione su strategie concrete e innovative volte a incrementare un’offerta abitativa pubblica di qualità. Un’offerta in grado di fornire soluzioni abitative sostenibili, sicure e adeguate alle esigenze delle famiglie di cui si è dato conto anche all’interno di questo contributo.
- L’“Indagine sul Reddito e le condizioni di vita” fa parte del sistema statistico EU-SILC (European Union Statistics on Income and Living Conditions), che costituisce una delle principali fonti di dati sulla situazione sociale e sulla diffusione della povertà nei paesi membri dell’Unione Europea e produce indicatori relativi al reddito e all’esclusione sociale, con particolare attenzione agli aspetti di deprivazione materiale.
- Rispetto ai dati precedentemente presentati che si riferiscono all’indagine Eu-Silc, quelli relativi alle stime sulla povertà assoluta sono stati tratti dall’“Indagine sulle spese delle famiglie” che rileva la struttura e il livello della spesa per consumi secondo le principali caratteristiche sociali, economiche e territoriali delle famiglie residenti e nello specifico dal report sulla povertà relativo ai dati 2021.
- Percentuale di famiglie che non dispongono di un numero di stanze adeguato alla loro composizione.
- Le spese per l’abitazione includono quelle per: il condominio, il riscaldamento, il gas, l’acqua, altri servizi, la manutenzione ordinaria, l’elettricità, il telefono, l’affitto, gli interessi passivi sul mutuo.
- Si pensi all’enorme divario tra domanda e offerta di alloggi Erp che di fatto rende impossibile fare fronte a queste forme di disagio abitativo. I dati disponibili sulle graduatorie di accesso all’Erp, relativi al 2016, mostravano come il di fronte numero di domande presentate dalle famiglie, per alcuni 320mila (Cipe, 2017) per altri 650mila (Federcasa, 2019), meno del 5 o del 3 per cento, a seconda della stima, riusciva a ottenere risposta nell’offerta pubblica. Gli alloggi assegnati nel 2016 sono stati, infatti, pari a soli 16.900 (ivi).
- Ne sono testimonianza il presente resoconto Istat, il contributo collettivo, sottoscritto da diciotto organizzazioni che compongono l’Osservatorio nazionale sulle politiche abitative e di rigenerazione urbana, presentato il 14 luglio 2022 presso il CNEL, la proposta del Forum Disuguaglianze e Diversità del 2021 sottoposta al Governo in occasione della stesura del PNRR ma anche la Relazione sull’attività svolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie del 2018.