2020 sociale: ripartiamo da tre numeri


Sergio Pasquinelli | 13 Gennaio 2020

In collaborazione con Redattore Sociale

 

 

Quest’anno per la prima volta la popolazione mondiale con più di 30 anni supererà quella più giovane. L’estensione dell’età è un trend globale. Questo valore, l’età mediana della popolazione, in Italia si attesta oggi a 47 anni: un valore che ci dà la misura di quanto siamo sbilanciati in avanti rispetto al resto del pianeta, con le luci (viviamo più a lungo) e le ombre (cresce la non autosufficienza) che questo comporta.

Secondo. Il numero delle persone sole sta sorpassando quello delle coppie con figli. Nel mese di dicembre il nuovo Annuario Istat l’ha certificato: 33% contro il 33,2%. Il resto sono combinazioni familiari diverse: coppie senza figli, famiglie monogenitore e così via. Emerge un paese che “oltre agli anziani soli e a chi è single per scelta, vincola nella condizione di famiglia unipersonale anche chi avrebbe desiderato formare una famiglia più ricca e articolata” come afferma Alessandro Rosina.

Il terzo dato riguarda i giovani inattivi dai 15 ai 29 anni, i cosiddetti Neet, giovani che non studiano e non lavorano, per i quali l’Italia tocca un altro triste primato: sono 23,4% contro una media europea di poco sopra la metà, il 12,9%.

 

Perché richiamiamo questi dati? Perché si è soliti affrontarli separatamente, come se riguardassero problemi diversi. E politiche diverse: rispettivamente l’invecchiamento attivo e l’autosufficienza, la natalità, il lavoro. Affrontare questi fenomeni in modo separato è il modo migliore per non riuscire a trovare il bandolo, per non fronteggiarli con efficacia. Sono in realtà processi che si legano e ci auguriamo che il nuovo anno offra un impulso a considerarli sempre più come tali.

Perché famiglie meno strette significa più risorse per una popolazione non autosufficiente in crescita. Perché giovani più attivi significa aumento del tasso di emancipazione e propensione alla natalità. Casa, lavoro, interventi sociali, sostegno al costo dei figli: dobbiamo integrare ambiti della pubblica amministrazione ancora troppo distanti tra loro. Nella logica di uno Stato che non solo sussidia, ma che investe sulle persone: pensiamo per esempio ai sostanziosi prestiti che ricevono gli studenti universitari dallo Stato, in alcuni paesi europei, che poi vengono ripagati con i primi stipendi, proporzionalmente a quanto si guadagna, non a quanto si deve restituire1.

 

Servizi pubblici: aumenta il divario Nord-Sud

I servizi delle pubbliche amministrazioni centrali e locali a cittadini e imprese hanno un elevato peso economico rispetto alla qualità delle prestazioni erogate. Il divario Nord-Sud, tranne poche eccezioni, è sempre più accentuato. Il costo maggiore che pesa su cittadini e imprese riguarda i servizi amministrativi (205 euro pro capite, con un aumento del +0,6% rispetto allo scorso anno), i servizi legati all’istruzione impegnano mediamente 681 euro per ciascun residente sui bilanci degli enti comunali, mentre i servizi sociali costano 77 euro pro capite (-1%). Il dato più critico è rappresentato però dagli asili nido, che – tranne pochi casi virtuosi – sono ancora sottodimensionati rispetto alle reali esigenze delle famiglie e vedono diminuire gli investimenti, rappresentando anche uno dei maggiori ostacoli alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro delle donne.

Sono alcuni dei dati che emergono dalla Relazione 2019 al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Pubbliche amministrazioni centrali e locali a imprese e cittadini, realizzata dal CNEL, che viene presentata a Roma il 15 gennaio.

 

La crisi del quarto anno

Che cosa succede ai bambini di quattro anni? Perché una Regione decide di stanziare una cifra ingente a favore delle famiglie con bambini che compiranno quattro anni quest’anno? Nella galleria dei bonus una tantum, questo sembra essere il più inedito, forse anche il più discutibile. Il sussidio è stato deciso alla fine del 2019 da Regione Lombardia, è stato chiamato “Dote infanzia” e sostiene spese familiari legate all’acquisto di arredi (le camerette dei bambini) e un insieme di prestazioni in via di definizione. Lo stanziamento consiste in 15 milioni di euro da erogare in cifre diverse, da 200 a 500 euro, a seconda dell’Isee familiare.

Destinatari della “Dote Infanzia” sono i nuclei familiari con almeno un figlio che compie 4 anni nel corso del 2020 e con residenza in Lombardia da almeno 5 anni del genitore o tutore legale richiedente. A favore di una platea vasta: destinatari sono infatti i nuclei familiari con Isee fino a 40.000 euro.

Il sito Lombardiasociale.it descrive e commenta in dettaglio la misura, istituita dalla Delibera di Giunta numero 2599 del 9 dicembre scorso. Osserva Lombardiasociale come la misura rischia di rinchiudere “i genitori e i bambini negli spazi privati (la cameretta, la prestazione dello specialista a domicilio), incrementando quell’attivismo e quell’iper prestazione fatta di corsi su corsi”. E inoltre “se già c’era stato qualche stupore sulla scelta, per le misure degli ultimi anni, di innalzare la soglia ISEE a 20.000 euro, la Dote Infanzia spiazza oltre ogni aspettativa: dare contributi economici per la cameretta o per prestazioni ad hoc a famiglie con ISEE di 40.000 euro sembra una scelta davvero poco comprensibile”.

 

Reddito di cittadinanza: verso correttivi?

Si discute di possibili correttivi al Reddito di cittadinanza, in particolare per evitare che funzioni come disincentivo al lavoro (il tema è stato ripreso anche da Francesca Puglisi, sottosegretaria al lavoro). Intanto gli ultimi dati parlano di cifre rilevanti. Sono oltre un milione i nuclei familiari che percepiscono il Reddito o la Pensione di cittadinanza: si tratta complessivamente di quasi due milioni e mezzo di individui, per la stragrande maggioranza italiani. L’importo medio percepito da ciascuna famiglia è di 484,44 euro. Il dato, aggiornato al 6 dicembre scorso, reso noto dall’Osservatorio statistico dell’Inps, fa il punto anche sul numero di domande complessivamente accolte: sono state 1.066.110 su un totale di 1.623.000 presentate. Le domande respinte o cancellate sono state 444.494, quelle in lavorazione sono 112.396. Le regioni in cui sono state accolte il numero maggiore di domande in assoluto sono la Campania (204.772 domande accolte, il 19,2% di tutta Italia) e la Sicilia (184.522, pari al 17,3%). Seguono il Lazio (94mila, 8,9%), la Lombardia (circa 90mila, l’8,4%) e la Calabria (71mila, il 6,7%).

Al netto di coloro che, dopo essersi visti accolta la domanda e aver iniziato a percepire il Reddito, sono poi decaduti – in questi otto mesi di applicazione – dal diritto a percepirlo, a poter contare sul sussidio sono 1.014.429 nuclei familiari con 2.451.624 individui. Il Reddito di cittadinanza è appannaggio di 890.756 famiglie (2.311.285 persone), mentre la Pensione di cittadinanza è percepita da 123.673 famiglie con 140.668 individui. L’importo medio del RdC è di 522,15 euro; quello della Pensione di cittadinanza è 219,18 euro. La media globale è, come detto, di 484,44 euro per nucleo.

Daniela Mesini su questo sito fa il punto sulla fase attuale del RdC.

 

Se dovremo aiutare chi aiuta

Anche le badanti, insieme alla persona di cui si prendono cura, iniziano ad invecchiare: a Bologna, 1.929 colf hanno più di 65 anni. Sul dato accendono i riflettori le Acli di Bologna con il report ‘Mondo colf 2019’, perché presto chi aiuta andrà aiutato, le stesse assistenti degli anziani avranno bisogno di un welfare. “L’età media delle badanti si è molto alzata- dice Filippo Diaco, presidente del patronato che a Bologna contrattualizza quasi 3.000 colf su un totale di 11.000 in tutta la metropoli – 10 anni fa avevano dai 40 ai 55 anni, oggi dai 55 ai 70 anni”. Tra i contratti di quest’anno ci sono anche 70enni che assistono 80enni.

Per le Acli, questo implica “notevoli conseguenze sul panorama del welfare locale, perché sempre più spesso gli assistenti domiciliari svolgono pratiche di welfare per loro stessi al patronato, dall’invalidità civile alla pensione”. Pensione riservata poi soltanto alle più fortunate: “Molte di loro non hanno contributi sufficienti e questo avrà ricadute pesanti sul loro benessere, appena non saranno più in grado di lavorare”, segnala Diaco. La maggior parte di colf e badanti (Acli conta 2.932 contratti attivi) “ha famiglia nel Paese di origine, sono nonne e mandano quasi tutto il guadagno alla famiglia”. Persone che in Italia non matureranno mai il diritto alla pensione.

  1. Almeno questo è il criterio che vige in Gran Bretagna.