Febbraio 2017


Sergio Pasquinelli | 1 Marzo 2017

Mese di attesa e mese di decisioni. Nel mese di febbraio è proseguita l’attesa di molti provvedimenti attuativi di politiche già decise a livello nazionale: riforma del terzo settore, legge 112 sul Dopo di noi, Piano di lotta alla povertà. Il mese ha invece segnato un importante decreto sulla immigrazione, varato il 10 febbraio, con misure che “attrezzano il paese a nuove sfide, innanzitutto per rendere più rapidi i processi di riconoscimento di asilo per i rifugiati, rendendo più trasparenti i meccanismi dell’accoglienza e facilitando i sistemi necessari per i rimpatri dei migranti che non hanno diritto all’asilo” come ha annunciato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.

 

Si prevede l’avvio di un piano di lavori volontari e gratuiti per i migranti, attraverso la possibilità per i Comuni di procedere alla utilizzazione volontaria e gratuita per lavori di pubblica utilità dei migranti. Cambia la denominazione dei Cie, si chiameranno Centri per rimpatrio. Secondo Gentiloni il decreto intende trasformare il fenomeno migratorio “da fenomeno irregolare gestito da organizzazioni criminali in un fenomeno regolare dove si arriva in un modo sicuro e in misura controllata nel nostro Paese”.

Il provvedimento viene presentato come una misura che “attrezza il paese a nuove sfide, innanzitutto per rendere più rapidi i processi di riconoscimento di asilo per i rifugiati, rendendo più trasparenti i meccanismi dell’accoglienza e facilitando i sistemi necessari per i rimpatri dei migranti che non hanno diritto all’asilo”.

Già nei prossimi mesi potremo verificare quanto questo provvedimento e questi annunci saranno realistici e fondati. Siamo ottimisti, ma anche realisti.

 

Ogni immigrato, tutti gli immigrati e i profughi cercano sopratutto un punto di ripartenza, un luogo e un tempo dove ricostruire il proprio futuro. La realtà è che oggi in Italia questo “punto di ripartenza” è circondato da grande incertezza. Per almeno tre motivi: per i tempi della burocrazia e delle procedure per ottenere asilo; per le caratteristiche di ondate migratorie in cui si mescolano profughi in senso stretto con migranti economici; infine per le caratteristiche del nostro sistema di accoglienza, poco orientato a offrire “servizi”, a costruire progetti sulle persone, chiedere impegni e il loro rispetto, garantire diritti e il rispetto di doveri.

Il risultato, dopo due anni e oltre di galleggiamento in un limbo giuridico di incertezza (perché tanto dura l’iter giuridico dei richiedenti asilo in Italia), è che l’integrazione nella società ognuno rischia di farsela da solo, è l’integrazione “fai da te”: con un facile richiamo nei mercati irregolari, quando non nello sfruttamento vero e proprio. L’accoglienza dei migranti, quella ufficiale, istituzionale, si basa oggi in Italia su un sistema ampiamente orientato a fornire risposte emergenziali. Questo sistema, anche se è cresciuto negli anni, presenta ancora forti criticità.

Per rifugiati e richiedenti asilo esiste una rete di accoglienza, gli SPRAR, che è cresciuta come capienza, fino a raggiungere i 20.000 posti nel 2015: una cifra palesemente inadeguata e un insieme di centri che vanno rafforzati. Ma l’esito delle domande di asilo ci dicono una cosa molto chiara: la maggior parte dei migranti lo è per motivi umanitari / economici, non riguardano l’asilo politico. Tutti richiedono asilo politico perché questo è ciò che possono fare, ma si rivela una richiesta impropria in due casi su tre. Si alimenta così sul medio periodo frustrazione e clandestinità.

 

Per superare la logica dell’emergenza occorre lo spazio per formulare progetti con le persone, regole chiare: stabilire dei patti, dei contratti, richiedere impegni, farli rispettare. Patti e progetti devono stabilire traguardi: la padronanza della lingua italiana, un lavoro, un’abitazione autonoma, una vita di relazione soddisfacente. Quanto più questi traguardi sono coerenti con le risorse delle persone, quanto più queste se li sentono propri, tanto più potranno generare cambiamento.

 

Pensiamo per esempio agli stessi programmi di inserimento previsti nel nuovo Reddito di inclusione: aiuto a fronte di impegni, tempi certi con verifiche e controlli, risorse dedicate a costruire reti che affondano le radici nei sistemi dell’istruzione, della formazione professionale, del mercato del lavoro. Servono canali strutturati, risorse dedicate, perché le persone lasciate sole perdono motivazione e tendono ad acquisire comportamenti opportunistici, quando non illegali.

Il nuovo decreto governativo va in questa direzione, ma c’è ancora molta strada da fare per rendere concreti questi corretti intendimenti.