Una riforma timida?


C’è lo Stato, c’è il mercato a fini di lucro e c’è il terzo settore. Il termine nacque così, secondo un criterio intuitivo, che va per esclusione. Un settore che dovrebbe chiamarsi “primo”, data una presenza che risale a ben prima dello Stato unitario e di una moderna economia di mercato.

 

Ci sono voluti tre anni. E alla fine si è compiuta in questi giorni la riforma della normativa riguardante questa ampia galassia di soggetti. Un iter lungo, faticoso, frutto di infinite mediazioni che vede ora l’uscita dei tanto attesi decreti legislativi attuativi della legge 106/2016, cui comunque dovranno seguire numerosi decreti ministeriali che completeranno il ciclo legislativo di attuazione della legge delega. Essi riguardano la regolazione dell’impresa sociale, il cinque per mille e il Codice del terzo settore.

La riforma mira a costruire una veste normativa unitaria per chi: a) ha finalità civico solidaristiche; b) non distribuisce gli utili fra i soci; c) svolge attività di interesse generale in modalità che d) prevedano le più ampie condizioni di accesso dei beneficiari. D’ora in poi il terzo settore non sarà più solo un’espressione di studiosi, ma un’entità giuridica con confini definiti. In questo cambiamento i decreti consentono di passare da un’affermazione generale della legge alla sua declinazione in aspetti operativi, in particolare attraverso un Registro Unico che unifica la moltitudine di registri settoriali e regionali oggi esistenti.

Sarà più facile per un’associazione o una fondazione avere personalità giuridica: aumentano le tutele e diminuiscono i rischi per presidente e consiglio direttivo. Numerosi nuovi dispositivi si propongono di rendere più trasparente il settore, a tutela dei terzi: dalla previsione di redigere un bilancio sociale alla definizione dei libri sociali obbligatori, dalla tutela dei lavoratori ai criteri per i rimborsi spese dei volontari, dalle caratteristiche che devono avere gli statuti delle associazioni alle funzioni di controllo e revisione, solo per citarne alcuni.

Sono stati inoltre rimossi alcuni ostacoli che rendevano improbabile l’impresa sociale diversa dalla cooperativa sociale, consentendo una limitata gestione degli utili sul modello cooperativo e una governance allargata ai diversi stakeholder, oltre ad introdurre alcuni strumenti incentivanti.

Una riforma parziale

Se questi aspetti sono senz’altro positivi, non mancano in queste prime ore osservazioni che mettono in luce potenziali criticità.

 

Secondo alcuni pareri, si tratta di una riforma fatta avendo in mente le organizzazioni più strutturate. In Italia vi sono invece decine di migliaia di organizzazioni con bilanci sotto i 5 mila euro di entrate annue che difficilmente potranno sottoporsi al regime vincolistico previsto.

In molti casi si tratta di una riforma timida, ad esempio avrebbe potuto inaugurare un regime fiscale unico e invece non lo fa, avrebbe potuto semplificare le leggi speciali e invece lascia tutte le forme preesistenti e non attua la parte di delega relativa alla riforma complessiva del libro primo del codice civile, così creando situazioni non equilibrate tra associazioni di terzo settore e associazioni non di terzo settore.

Anche sul “chi sta dentro e chi sta fuori” emergono alcuni interrogativi. Saranno selezionate effettivamente le organizzazioni più coerenti ed autentiche o vi saranno meccanismi selettivi di altro tipo, come quello che sembra, dalle prime valutazioni, rendere improbabile che le associazioni sportive dilettantistiche diventino enti di terzo settore?

Rispetto alla cooperazione sociale, le limitazioni ai settori di attività e alle categorie di inserimento lavorativo almeno secondo alcuni (vedi l’articolo di Andrea Bernardoni pubblicato su questo sito) guardano più agli anni novanta che ad oggi, perdendo l’apporto innovativo espresso dalle contaminazioni tra welfare e sviluppo locale che hanno visto la cooperazione sociale protagonista in questi anni.

 

Aiuterà questa riforma la nascita di nuove organizzazioni di terzo settore e di imprese sociali? L’occupazione in questo settore? La promozione delle energie della società civile che intende agire per finalità sociali?

È difficile dare una risposta univoca, capire se peseranno di più gli aspetti positivi e gli strumenti incentivanti o le problematicità che le norme contengono. Sono tutti aspetti rispetto ai quali sarà necessario continuare ad interrogarsi nei prossimi mesi, e iniziare a monitorare l’impatto dei diversi provvedimenti. Per capire se sia stata una semplice riforma di riordino o se questo complesso sforzo avrà prodotto crescita e sviluppo in un settore che ha fame di innovazione.

 

Non possiamo chiudere questo “Mese sociale” senza richiamare gli ultimi dati sulla povertà in Italia che, come tradizione, Istat ha pubblicato a metà luglio. Evidenziano una stabilizzazione del fenomeno più apparente che reale, alcune conferme di tendenze e l’aggravarsi del disagio per diverse categorie di popolazione ed alcune aree del Paese. 8 milioni e mezzo di poveri relativi e quasi 5 milioni di poveri assoluti nel 2016 indicano una situazione molto critica che non accenna a migliorare. Misure di contrasto diventano a questo punto non solo necessarie, ma urgenti ed indifferibili. L’intervento di Daniela Mesini su questo sito approfondisce questa analisi.