“Mi spiace, da domani non lavorerò più qui”
Conseguenze della precarietà lavorativa nei servizi sociali
Luca Pavani | 11 Aprile 2023
L’articolo sintetizza alcuni degli esiti principali di un lavoro pubblicato sul numero 1/2021 della Rivista di Servizio Sociale edita da ISTISSS. Per maggiori dettagli: Pavani L. (2021), “Costruire relazioni d’aiuto in condizioni di precarietà lavorativa: il caso dell’assistente sociale”, La Rivista di Servizio Sociale, n.1, pp. 20-31.
Precarietà lavorativa e vulnerabilità nei servizi sociali
Quando si pensa ai servizi di welfare e alla precarietà lavorativa, la prima associazione che viene in mente è il lavoro degli assistenti sociali nell’accompagnare le persone e le famiglie nelle difficoltà legate alle bollette da pagare o alla nuova abitazione da reperire a seguito di uno sfratto. Tuttavia, con l’aumento delle risorse finanziarie basate su progetti nazionali ed europei, è aumentata anche l’offerta di contratti lavorativi a termine, facendo diventare attuale il tema della precarietà lavorativa anche per gli assistenti sociali. Infatti, come emerge da uno studio1, le persone che versano in condizioni di precarietà lavorativa sono sempre più numerose, in quanto il fenomeno non riguarda soltanto le mansioni poco qualificate, ma anche alcuni segmenti di mercato del lavoro altamente specializzati.
Per quanto concerne gli assistenti sociali, i dati analizzati in alcune recenti ricerche nazionali sembrano confermare la tendenza alla precarietà della professione2. I lavori presi in analisi non solo hanno rilevato un incremento del numero di assistenti sociali coinvolti con contratto a termine, ma hanno anche messo in evidenza la tendenza delle organizzazioni nel delegare agli assistenti sociali precari il lavoro con le persone, così come aveva già segnalato con preoccupazione Allegri3.
Il precariato si configura come un fenomeno4 che riguarda un gruppo socio-economico la cui identità è caratterizzata da occupazioni instabili, mancanza di potere contrattuale con i relativi datori di lavoro e noncuranza da parte dei sindacati. Tale condizione porta le persone a condurre un’esperienza instabile, ancorata al presente, vista l’impossibilità di fare progetti a lungo termine.
In questo senso, la precarietà lavorativa può essere letta come un fattore vulnerante, in quanto la vulnerabilità «non [è] necessariamente legata alla mancanza di risorse, ma caratterizzata da un rapporto problematico tra opportunità e vincoli, che impedisce od ostacola le azioni volte alla soddisfazione dei bisogni»5. Pertanto, se si può dare per certo che le persone che si rivolgono al servizio sociale stiano vivendo situazioni di fragilità che minano l’autonomia e la relativa capacità di fronteggiare le difficoltà della vita, che cosa comporta il fatto che gli assistenti sociali siano anch’essi vulnerabili, a causa delle condizioni lavorative precarie?
La ricerca esplorativa
La ricerca è nata con l’obiettivo di esplorare tre possibili livelli di analisi sulle conseguenze che la condizione di precarietà comporta: la vita privata del professionista, il rapporto con l’organizzazione di lavoro e la relazione d’aiuto. Questi sono stati considerati nell’elaborazione delle domande di ricerca: I) Quali sono le ricadute della precarietà̀ sulla vita personale dei professionisti? II) Quali sono le specificità̀ nel rapporto tra il precario e l’organizzazione di lavoro? III) Che cosa accade nella relazione d’aiuto quando un assistente sociale lavora in condizioni precarie?
Per rispondere a tali interrogativi cognitivi, nel mese di novembre 2020, sono state condotte dieci interviste semi-strutturate, adottando la modalità online per prevenire la diffusione del contagio da Covid-19, ad assistenti sociali con un contratto a tempo determinato o di collaborazione. Gli assistenti sociali intervistati esercitano la professione in Piemonte e sono stati individuati sulla base dell’organizzazione presso cui lavorano: due in servizi rivolti a migranti; due in servizi territoriali rivolti a famiglie con minori, anziani e disabili; due in servizi rivolti al contrasto alla povertà; due in servizi sanitari e, infine, due lavorano in servizi del Ministero della Giustizia.
Alcuni risultati
Precarietà lavorativa, livello personale ed auto-percezione
Gli assistenti sociali intervistati faticano a definire la loro condizione di lavoratori precari come un fattore vulnerante, anche se riconoscono di avere grandi difficoltà nel progettare a lungo termine le loro vite, in quanto emergono due tendenze. Da un lato gli intervistati hanno raccontato di seguire il contratto di lavoro più lungo, dall’altro sono inclini ad accettare proposte di lavoro provenienti da un’area di lavoro di maggiore interesse o su cui si sentono più preparati.
Di fatto, gli intervistati non si auto-percepiscono in una condizione di vulnerabilità, facendo emergere una normalizzazione dell’esperienza. In effetti, in qualità di professionisti dell’aiuto, gli assistenti sociali sono quotidianamente in relazione con persone e famiglie che versano in situazioni di grande fragilità e sofferenza, tale esposizione non permetterebbe loro di riconoscere la vulnerabilità in cui versano perché non ritenuta condizione che rende sufficientemente vulnerabili o li renderebbe meno vulnerabili delle persone con cui lavorano.
Precarietà lavorativa e rapporti con l’organizzazione di lavoro
Grazie al grande e continuo impegno da parte del CNOAS, con l’approvazione della Legge 178 del 20 dicembre 2020, sono stati introdotti finanziamenti strutturali per il potenziamento del servizio sociale professionale, aumentando così il numero di concorsi banditi per assistenti sociali in tutta Italia, ma creando anche una discreta mobilità. Per le organizzazioni di lavoro ha significato un susseguirsi di assistenti sociali che, da un lato, rincorrono il contratto con durata più lunga o in un’area di lavoro più affine e, dall’altro, ambiscono a stabilizzarsi. Dalla ricerca è emersa, quindi, una fatica delle organizzazioni nell’accogliere i nuovi assistenti sociali, creando così difficoltà e frizioni nel rapporto, dove gli assistenti sociali precari hanno sentito di avere meno possibilità di replica, rispetto a colleghi più strutturati, per esempio rispetto le decisioni prese in via emergenziale durante il primo lockdown.
Un ulteriore elemento riguarda il tema delle competenze professionali che le organizzazioni di lavoro possono contribuire a sviluppare, come per esempio avviene con la metodologia PIPPI o altri corsi di formazione. Gli intervistati hanno riportato di essere stati esclusi da attività del genere perché riservati a personale a tempo indeterminato e perché sarebbe stato un investimento “a fondo perduto”.
Precarietà lavorativa e relazione d’aiuto
Il precariato nei servizi sociali, rispetto ai tre livelli presi in analisi, influenza soprattutto il lavoro con le persone e le famiglie. Quale impatto sulla relazione d’aiuto? Da un lato, alcuni intervistati hanno riportato di non dichiarare la loro condizione lavorativa alle persone, perché percepiscono che possa minare la costruzione della relazione d’aiuto. Dall’altra parte, invece, la condizione lavorativa permette, soprattutto nei servizi per adulti e di contrasto alla povertà, di relazionarsi sulla base di un’esperienza condivisa, che un’intervistata ha definito “stare sulla stessa barca”.
In aggiunta, il turnover degli assistenti sociali fa sì che le persone cambino spesso operatore di riferimento, facendo emergere un’ambivalenza: in primo luogo, le persone si stancano di dover raccontare le loro storie ad un nuovo professionista, in secondo luogo permette di instaurare una nuova relazione, talvolta più proficua di quella costruita con l’operatore precedente,
“scombussolando gli equilibri, in modo positivo o negativo, ma può portare a qualcosa di diverso” (tratto da un’intervista).
Due riflessioni semi-conclusive
Sebbene la ricerca sia stata condotta nel 2020, almeno due considerazioni possono essere utili anche oggi:
- La chiusura della relazione d’aiuto. La ricerca ha fatto emergere quanto la chiusura della relazione possa avere una doppia valenza, senza però che questo processo venga gestito e presidiato dai professionisti né tantomeno dalle organizzazioni di lavoro. Da un lato, c’è chi non riesce a preparare le persone e prepararsi alla chiusura, spesso perché viene chiamato all’improvviso e a pochi giorni di distanza dall’inizio del nuovo contratto da enti che propongono un contratto di lavoro più lungo o, magari, sono più vicini al domicilio del professionista. Dall’altro, c’è chi ritiene che le situazioni non siano personali, ma dell’ente; pertanto, dovrebbe essere l’organizzazione responsabile del processo di chiusura della relazione. In questo senso, una riflessione andrebbe fatta circa le assegnazioni che vengono fatte agli assistenti sociali precari: quanto le organizzazioni di lavoro ed i loro responsabili tengono in considerazione la condizione lavorativa del singolo professionista? Per esempio, in un servizio di tutela minori potrebbe essere utile assegnare le indagini richieste dall’Autorità Giudiziaria agli assistenti sociali precari, perché non necessariamente sfociano in un’apertura del fascicolo, dando così la possibilità al professionista precario di accompagnare le famiglie in un pezzo del loro percorso, senza che questo abbia brusche interruzioni, come invece potrebbe avvenire in percorsi solitamente più lunghi, gestiti su mandato del tribunale per i minorenni.
- Il paradosso della “super-precarietà”6 degli assistenti sociali. Nonostante la Legge di Bilancio 2020 preveda finanziamenti strutturali per gli enti che si impegnano nell’assunzione di assistenti sociali per il raggiungimento del rapporto di un assistente sociale ogni cinquemila abitanti, molti enti pubblici continuano ad assumere personale a tempo determinato, per poter utilizzare fondi di finanziamento nazionali ed europei. In questo quadro, si verifica il paradosso in quanto gli assistenti sociali, che per mandato istituzionale e professionale, sono chiamati a sostenere e accompagnare ad affrontare i momenti di difficoltà delle persone fragili, in realtà versano anch’essi in condizioni di vulnerabilità e talvolta sono bisognosi d’aiuto. La supervisione professionale, ormai diventata LEPS, potrebbe contribuire alla gestione di tale paradosso, supportando i professionisti ed i gruppi di lavoro nella riflessione ed elaborazione di strategie ed evitando che questo delicato processo venga delegato al singolo assistente sociale.
- Dieter Hepp R. (2017), New conditions of work in society and the art of precarity, in International Journal of Social Quality, Vol. 7, N. 1.
- Nel lavoro di Sicora e Rosina (2019), La violenza contro gli assistenti sociali in Italia, FrancoAngeli, Milano, si può notare che su 20.112 assistenti sociali coinvolti nella survey, il 9.8% di essi dichiarava di avere un contratto di lavoro a termine. Un’altra ricerca nazionale che ha indagato l’impatto della pandemia sulla professione (Sanfelici M. (2019), “I servizi sociali ai tempi del coronavirus: le condizioni di lavoro degli assistenti sociali nella prima fase dell’emergenza”, La Rivista di Servizio Sociale, N. 2.) ha coinvolto 16.615 assistenti sociali, di questi, il 16.2% ha dichiarato di avere un contratto a tempo determinato.
- Allegri E. (2015), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma.
- Standing G. (2011), The Precariat: The new dangerous class, Bloomsburry Academic, London.
- Fullin G. (2002), Instabilità del lavoro e vulnerabilità: dimensioni, punti di equilibrio e fragilità, in Rassegna Italiana di Sociologia, N. 4.
- Bilotti A. (2020), “Il paradosso della super-precarietà nel lavoro sociale”, in Berti F. e Valzania A. (a cura di), Precarizzazione delle sfere di vita e disuguaglianze, FrancoAngeli, Milano.
È paradossale pensare che coloro i quali dovrebbero supportare persone con difficoltà di vario tipo siano spesso sottopagati.
Le responsabilità che ha un assistente sociale non sono poche, il carico di lavoro spesso sproporzionato alla paga.
Da Assistente sociale credo che andrebbero rivisti i contratti collettivi nazionali.