Che il tema del contrasto alla povertà occupi ora uno spazio senza precedenti nell’agenda politica è molto importante e va ascritto a merito del Movimento 5 Stelle che lo ha inserito nel Contratto di governo e anche a Di Maio che se ne è assunto la responsabilità politica come Ministro del Lavoro. Merita quindi attenzione la mozione approvata dalla maggioranza di Governo alla Camera1 che traccia linee per futuri interventi e in particolare per l’introduzione del Reddito di cittadinanza. Il testo della mozione richiama in apertura il Reddito di Inclusione (Rei), la misura introdotta dal governo Renzi e ampliata poi dal governo Gentiloni, riconosciuta come “misura unica nazionale di contrasto alla povertà” e come “livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale”, ma sviluppa poi su di essa interessanti valutazioni. “Dal punto di vista teorico, afferma la mozione, la scelta tra selettività e universalismo riflette una diversa concezione circa il ruolo dello stato. Nel caso del cosiddetto Rei, il modello di riferimento è quello di uno stato sociale con compiti residuali, in cui la fornitura delle prestazioni non può che essere subordinata alla prova dei mezzi e il livello dei benefici deve essere appena sufficiente a garantire un livello minimo di risorse; i presentatori del presente atto di indirizzo ritengono invece che uno stato sociale debba avere compiti redistributivi, erogando, in moneta o in natura, prestazioni sociali volte a garantire alla generalità dei propri cittadini un tenore di vita adeguato, comunque commisurato anche a uno standard di povertà relativa”. Secondo loro “una delle principali motivazioni addotte a favore del ricorso a criteri selettivi, ovvero al cosiddetto Rei, è da ricercarsi nella presunta minore onerosità per il bilancio statale unita ad una maggiore efficacia in termini di equità”. Ma così “la misura del Rei avvantaggia esclusivamente coloro che si collocano nelle posizioni reddituali inferiori della distribuzione, mentre l’erogazione di un beneficio universale comporta benefici anche per le classi medie”. Il Rei insomma “attua misure tradizionali allo scopo di garantire un livello minimo di sussistenza nel caso i singoli individui non dispongano di fonti alternative di reddito: tale misura agisce come una sorta di protezione contro il rischio di non lavorare e si configura sostanzialmente come misura redistributiva per combattere esclusivamente la povertà di reddito”.
Selettività e universalismo
Il testo vuole marcare una differenza concettuale fra ReI, selettivo, assistenzialistico e rivolto ai più poveri, e il Reddito di cittadinanza più universalistico e meno selettivo, più ispirato quindi alla teoria originaria del reddito di cittadinanza, il “reddito di base universale”. Questo prevede infatti l’erogazione di un contributo a ogni cittadino come tale, senza alcuna indagine sul beneficiario e senza alcuna selettività sulla sua condizione economica, per consentirgli di fare libere scelte sull’uso del suo tempo, e anche sul tempo di lavoro o di non lavoro. La mozione taccia quindi il ReI di selettività eccessiva, dato che assume come selettore dei beneficiari una modesta frazione della povertà assoluta, pari a 180 euro netti al mese per un singolo, “tale da avvantaggiare esclusivamente coloro che si collocano nelle posizioni reddituali inferiori della distribuzione. L’erogazione di un beneficio universale comporta invece benefici anche per le classi medie”, e per questo la proposta del M5Stelle assume una soglia di riferimento ben più elevata, quella del rischio di povertà definito dalle statistiche europee, pari a 780 euro netti al mese per un singolo. E potrebbe anche con passi ulteriori aprire verso le classi medie: “erogando un importo più elevato rispetto al sussidio economico, gli 80 euro, che il governo Renzi ha introdotto, si potrà determinare persino, nel prossimo futuro, una riduzione degli ammortizzatori sociali presenti nel sistema, andando così a sgravare il bilancio dell’Inps da una serie di costi e, in aggiunta, verrebbe garantita una riduzione dei contributi sociali a vantaggio sia dei salari, sia dei redditi da lavoro”.
Le risorse, dove trovarle?
Queste affermazioni potrebbero preludere a un riutilizzo, prossimo o futuro, per il finanziamento del Reddito di cittadinanza, delle risorse oggi assorbite dagli 80 euro di Renzi (9 miliardi), più quelle destinate agli ammortizzatori sociali contro la disoccupazione temporanea (951 milioni), al ReI (2.750 milioni), cui si potrebbero aggiungere l’assegno personale di ricollocazione e la garanzia giovani (2 miliardi), il bonus per l’acquisto dai giovani di beni culturali (290 milioni), per un totale di ben 14.951 milioni. Una tale riconversione della spesa è stata proposta da una rivista vicina al Movimento, Politica ed economia, ed è stata riportata da Di Vico sul Corriere della sera2. Forse non entrerà nella prossima legge di bilancio, ma indica una prospettiva che viene considerata, e che risulterebbe anche coerente con la teoria del Reddito di cittadinanza, che prevede appunto il riassorbimento in tale misura di altri interventi sociali e dei relativi costi. Il ReI ha rappresentato un’importante svolta, da tempo attesa, nelle nostre politiche contro la povertà, ma l’attuale sua consistenza e diffusione è assolutamente inadeguata. L’eccessiva lentezza con cui i passati Governi hanno implementato la misura a fronte di un disagio sociale diffuso e crescente, ha avuto del resto puntuale riscontro nell’esito delle recenti elezioni, con il ridimensionamento del PD e la crescita del consenso del Movimento 5 Stelle. Quanto alla profonda revisione dell’attuale imputazione e distribuzione della spesa assistenziale a sostegno dei redditi, anch’io da tempo ne condivido la necessità3, ma l’ipotesi ora prospettata non è per ora inserita in una prospettiva più generale di riforma del sistema e non è accompagnata da una attenta verifica sugli effetti di tale operazione, e in particolare sulle aree e le situazioni di scopertura rispetto a bisogni seri e concreti che probabilmente aprirebbe. In attesa di maggiori approfondimenti appare quindi per ora azzardata. I quasi 15 miliardi che la riconversione indicata libererebbe dalle attuali destinazioni renderebbero praticabile finanziariamente la proposta di Reddito di cittadinanza assunta nel contratto di governo: soglia della povertà relativa di 780 euro mensili, 500 euro di importo medio mensile per famiglia, 8 milioni di individui beneficiari, 17 miliardi di costo4. Di Maio su questa insiste, e anche in tv a Cartabianca ha escluso di poter accettare soluzioni riduttive come l’assunzione dell’attuale soglia del ReI (per un singolo 180 euro al mese, importo mensile medio per famiglia stimato a 300 euro), sia pur associata a un raddoppio degli attuali beneficiari del ReI, da 2 a 4 milioni di persone (con passaggio da 2,5 a 5 miliardi di costo), o a una sua estensione a tutti i poveri assoluti, 5 milioni di individui, con 6,3 miliardi di costo. Alcuni commentatori ipotizzano che se i vincoli di bilancio risultassero insuperabili, una mediazione accettabile come primo passo di un processo che dovrà andare oltre potrebbe configurarsi con l’assunzione di una o più soglie nel range di quelle della povertà assoluta Istat5, per un target di 5 milioni di beneficiari e un costo di 10 miliardi. La definizione della soglia selettiva dei beneficiari e di integrazione del reddito sarebbe politica, e non certo l’assunzione delle soglie territoriali Istat già molto discusse, in particolare perché, basate sul costo della vita, avvantaggerebbero il nord, non considerando adeguatamente le carenze di infrastrutturazione e servizi del Mezzogiorno. Anche tale ipotesi risulta ad oggi finanziariamente poco praticabile se non si intendesse procedere a revisione delle misre in atto ad integrazione di redditi carenti, quelle sopra indicate o altre, ad esempio quelle da noi proposte con analisi approfondite6 nel 2016.
Lavoro e anche pensione di cittadinanza?
Tornando alla mozione, il testo si concentra poi sul lavoro: “in un mercato del lavoro sempre più flessibile, dove diventa sempre più facile perdere e trovare un nuovo lavoro, il reddito di cittadinanza consentirebbe di avere una continuità economica per i periodi in cui non c’è occupazione, e ciò è positivo innanzitutto per i lavoratori, ma anche per il mercato stesso in un’ottica di flexsecurity connotata dalla flessibilità per chi assume da una parte e da uno stato in grado di formare, riqualificare e reinserire il lavoratore, incrociando la domanda con l’offerta di lavoro dall’altra; (…) attraverso una misura, qual è il reddito di cittadinanza, è sicuramente possibile prevenire l’esclusione sociale degli individui con un reddito non continuo ed esiguo”. La mozione conclude impegnando il Governo in primo luogo “ad assumere iniziative per istituire il reddito di cittadinanza, quale misura per il contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale nonché a favorire la promozione delle condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro e alla formazione, attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale di tutti i cittadini italiani in pericolo di marginalità, nella società e nel mondo del lavoro”; e a tal fine “a valutare l’opportunità di assumere iniziative per fissare un ammontare, parametrato alla soglia di rischio di povertà, calcolata sia per il reddito che per il patrimonio, alla base della scala Ocse per nuclei familiari italiani più numerosi”. Viene così finalmente chiarito che, come per il ReI, la situazione economica dei potenziali beneficiari verrà ricostruita considerando sia la componente reddituale che quella patrimoniale. Da ultimo la mozione impegna il Governo “a valutare l’opportunità di assumere iniziative per assegnare una pensione di cittadinanza ai cittadini italiani che vivono sotto la soglia minima di povertà, attraverso l’integrazione dell’assegno pensionistico, inferiore a 780 euro mensili, secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza”. Indicazione questa vaga (si riferisce solo alle pensioni minime integrate? O anche ad altri assegni?7, che suscita non poche perplessità. Perché o è inutile, nel senso che i detentori di pensione minima debbono poter usufruire del reddito di cittadinanza come tutti gli altri cittadini, o mira invece a privilegiare l’aumento dei minimi pensionistici, con i relativi rilevanti costi, rinviando al futuro la ben più impegnativa realizzazione del reddito di cittadinanza8. Sarebbe una scelta analoga a quella che già all’inizio del secondo millennio ha affossato il tentativo della ministra Turco di introdurre una misura specifica di contrasto alla povertà, il RMI, che se avesse avuto successo avrebbe contribuito a contrastare il drammatico aumento della povertà avvenuto negli anni della crisi, dal 2007 ad oggi, anche per la mancanza di uno strumento specifico di protezione. Anche allora si preferì integrare i minimi pensionistici piuttosto che finanziare l’avvio del Rmi. Si rischia allora di ripetere la passata scelta elettoralistica assicurando la pensione di cittadinanza alla soglia dei 780 euro ai titolari di pensione minima, in piena contraddizione con l’evoluzione della povertà che vede penalizzati soprattutto minori, giovani, famiglie con più figli, mentre lascia largamente indenni le persone anziane e con qualche percorso lavorativo formalizzato, meglio protette dai tradizionali interventi assistenziali9. E ancora una volta si privilegerebbe la facile erogazione di un sussidio, scisso da strumenti di inclusione e promozione sociale, che richiedono impegno pazienza fatica, ma danno ritorni certo meno immediati ma ben più qualificati e efficaci.
Solo per gli italiani?
Con un grave cedimento al “dagli all’immigrato!” la mozione afferma ripetutamente che beneficiari del reddito e della pensione di cittadinanza saranno solo gli italiani. Il criterio generalmente assunto della residenza, nel caso di una certa durata, teso a impedire incursioni occasionali e opportunistiche che l’introduzione di un beneficio consistente a integrazione di redditi inadeguati potrebbe stimolare, per riservare il beneficio solo a chi abbia scelto di stare con continuità sul nostro territorio, assumendo oneri e vantaggi, verrebbe così sostituito da quello della nazionalità. Certo così si risparmierebbero anche non poche risorse, dato che le famiglie di soli stranieri, o miste, registrano una percentuale di povertà, sia assoluta che relativa, di molto superiore a quelle delle famiglie di soli italiani. Ma a scapito di una grave regressione sul piano dei valori e dei conseguenti diritti: dovremo sperare ancora una volta nella magistratura, ordinaria o costituzionale, o europea, per la loro riaffermazione? Per concludere non posso che ribadire quanto ho affermato nel mio recente libro10 e più volte qui su welforum: l’impegno dei 5 stelle sul tema povertà è salutare, le critiche all’insufficienza e tardività del ReI sono giustificate e condivisibili ma non devono condurre a ignorare ciò che con esso finalmente si è avviato, come affermazione di un livello essenziale con un corrispondente diritto e come processo di sviluppo di interventi di inclusione sul territorio11. Si cambi pure il nome, ma non si azzeri il lavoro finora svolto perché ReI e Reddito di cittadinanza presentano rilevanti differenze ma, malgrado le osservazioni della mozione che prima riportate, non risultano alternativi12. Quanto fatto per il ReI è funzionale e utile anche ad uno sviluppo del Reddito di cittadinanza. Va quindi salvaguardato, e però integrato e implementato per superarne i forti limiti e per introdurre nuovi orientamenti e sviluppi, in particolare sul fronte dell’inserimento lavorativo, più corrispondenti alla visione della attuale maggioranza di governo.
- Mozione 1-00018 presentata da D’UVA Francesco il 16 luglio 2018, modificata e approvata il 11 settembre 2018, seduta n. 42. Vedi anche Redattore Sociale, Reddito di cittadinanza. Cinque stelle e Lega scavalcano il Rei, 12 settembre218
- Di Vico D., I soldi per il reddito di cittadinanza? Dagli “80 euro” e dalla spesa sociale, Corriere della sera
- Ranci Ortigosa E, L’auspicabile cambiamento nelle politiche sociali, welforum 31 luglio 2018; Ranci Ortigosa E. e Mesini D., Costruiamo il welfare dei diritti. Ridefinire le politiche sociali su criteri di equità e di efficacia, Prospettive Sociali e Sanitarie 2016, Anno XLVI n.2
- Le stime quantitative proposte sono opera di Massimo Baldini, pubblicate da Petrini R., Ipotesi mini sussidio da 300 euro al mese a 4 milioni di persone, la Repubblica, 11.9.2018. Va osservato che assumono dati sulla entità della povertà che l’ultimo rapporto Istat stima oggi ulteriormente peggiorati. Ne deriva quindi una necessaria revisione in aumento anche delle stime dei costi
- Le soglie della povertà assoluta sono rapportate al costo della vita e variano quindi territorialmente da un massimo di 826,73 euro mensili per un individuo che risiede in un’area metropolitana del Nord, a un minimo di 560,82 euro se il beneficiario risiede invece in un piccolo comune del Mezzogiorno.
- Vedi nota 3
- Alberto Brambilla, esperto di pensioni della Lega (Marro E., PensioniM5S troppo costose. Scelta ingiusta, Corriere della sera, 18 settembre 2018) osserva che i destinatari potrebbero essere oltre i beneficiari delle pensioni integrate al minimo anche i beneficiari di altre pensioni/assegni sociali, con costi elevatissimi, e piena contraddizione con il criterio contributivo, che graverebbero sui giovani e le future generazioni.
- Il Sole 24 ore del 20.9.18 espone le seguenti stime:” considerando solo l’integrazione dei 2 milioni di pensionati che non superano i 500 euro mensili, ci sarebbe un costo aggiuntivo di 13,8 miliardi. La spesa attuale per questa platea è di 6,9 miliardi: se portassimo tutti a 780 euro al mese per 13 mensilità, si toccherebbe una spesa complessiva di 20,7 miliardi di euro. Ipotesi ancora più prudenziali considerano invece solo i pensionati over 65 con assegno pensionistico inferiore a 780 euro: una platea di 3,4 milioni di persone e il cui adeguamento all’assegno minimo costerebbe almeno 4,2 miliardi di euro in più”
- Vedi Chiara Saraceno, I giovani dimenticati, la Repubblica del 16.9.18
- Ranci Ortigosa E., Contro la povertà, Francesco Brioschi editore, 2018
- Per un approfondimento del tema si veda Mesini D. (a cura di), Lotta alla povertà: i servizi al centro. Sfide e opportunità dall’introduzione del REI, Maggioli editore, 2018.
- Per una analisi comparativa fra ReI e Reddito di cittadinanza, vedi Ranci Ortigosa E., Reddito di inclusione e reddito di cittadinanza: benefici millantati, differenze, convergenze, welforum.it, 16 maggio 2018
“Si cambi pure il nome, ma non si azzeri il lavoro finora svolto perché ReI e Reddito di cittadinanza presentano rilevanti differenze ma, malgrado le osservazioni della mozione che prima riportate, non risultano alternativi. Quanto fatto per il ReI è funzionale e utile anche ad uno sviluppo del Reddito di cittadinanza. Va quindi salvaguardato, e però integrato e implementato per superarne i forti limiti e per introdurre nuovi orientamenti e sviluppi, in particolare sul fronte dell’inserimento lavorativo, più corrispondenti alla visione della attuale maggioranza di governo”. Non saprei dirlo meglio