Non autosufficienza: la necessità di un approccio integrato pubblico/privato


Licia Guzzetti | 30 Agosto 2018

Che l’Italia sia tra i Paesi più longevi al mondo non è notizia nuova. Secondo recenti stime Istat, nei prossimi 20 anni la quota di persone over 65 supererà il 29% e quella degli over 85 oltre il 5%. Non altrettanto confortanti sono purtroppo i dati relativi alla vecchiaia vissuta in buona salute: a 65 anni la speranza di vita senza limitazioni funzionali è pari a 7,8 anni per gli uomini e 7,5 per le donne.

Come coniugare nuovi bisogni e sostenibilità del sistema di welfare?

La pressione generata dall’invecchiamento della popolazione e le sue ricadute socio-economiche fanno della non autosufficienza uno dei temi “caldi” del dibattito sulla riorganizzazione dei sistemi di welfare.

Sinora la risposta data dal nostro Paese è stata caratterizzata da una frammentazione disorganica di interventi, con conseguente rischio di non appropriatezza delle prestazioni e dispersione delle risorse. Lo strumento principale è di tipo monetario e corrisponde all’indennità di accompagnamento1, erogata senza condizioni di reddito e senza alcun vincolo di spesa. Le altre prestazioni rientrano nella sfera territoriale, a livello regionale o comunale, sia sotto forma di erogazione di denaro sia sotto forma di servizi in forma specifica (es. l’assistenza domiciliare).

In assenza di una compiuta strategia da parte del pubblico, l’onere organizzativo dell’assistenza – ma anche in gran parte quello economico – è ricaduto essenzialmente sulle famiglie. A fronte di una spesa pubblica per la non autosufficienza di 31,8 miliardi di euro nel 2016, pari all’1,9% del PIL (percentuale destinata a raddoppiare nei prossimi 30 anni), si registra infatti una spesa privata stimabile (prudenzialmente) in circa 9 miliardi di euro, imputabile in massima parte al costo sostenuto per i care givers (“badanti”) registrati presso INPS e per i costi – in quota parte – a carico dei singoli per l’accesso alle RSA.

Si tratta di un modello destinato a una crisi sempre più profonda, anche in ragione dei significativi  cambiamenti della nostra struttura familiare: alla riduzione della dimensione del nucleo familiare (1 o 2 figli al massimo) si accompagnano il più elevato tasso di occupazione femminile e la “dispersione geografica”, poiché spesso i figli per ragioni lavorative non vivono in prossimità dei genitori. Inoltre, soprattutto se pensiamo ai grandi centri urbani, la possibilità di assistenza domiciliare ai non autosufficienti sembra limitata anche dalla stessa metratura e conformazione delle abitazioni, non certo pensate – almeno per quelle costruite nel passato – per garantire un’esistenza libera dei soggetti con limitata mobilità.

Considerando che, data la delicata situazione del bilancio pubblico, non appare immaginabile – almeno nel prossimo futuro – un incremento sensibile della spesa pubblica destinata al comparto, emerge l’urgenza di una riflessione organica sul tema per individuare nuovi modelli di assistenza che consentano di raccogliere la sfida, intercettando adeguatamente i nuovi bisogni dei pazienti e dei care givers.

 

Nel corso del 2017, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali in collaborazione con Assoprevidenza ha promosso un Tavolo di lavoro sul tema della non autosufficienza, con l’obiettivo di mettere a confronto stakeholder di estrazioni diverse (enti, compagnie assicurative, operatori dell’assistenza…) per fare il punto della situazione e proporre lo sviluppo di potenziali sinergie.

Cardine della riflessione è stata la necessità di un approccio multidimensionale integrato, fondato su un sistema articolato, che presupponga sinergie fra servizi sanitari e sociali, fra professionalità diverse, fra i diversi attori pubblici e privati, profit e non profit, coinvolti nella pianificazione ed erogazione dell’assistenza e, più in generale, nella definizione di un modello che favorisca il cosiddetto “invecchiamento attivo”.

Elementi essenziali a tal fine devono essere:

  • la valorizzazione delle iniziative a carattere collettivo, in ragione della potenzialità in termini di costi. Soluzioni di tipo collettivo possono infatti consentire costi inferiori anche di dieci volte rispetto a soluzioni individuali, con evidenti effetti redistributivi. La disponibilità di coperture a prezzi accessibili incrementa il grado di “democraticità” del sistema, agevolandone l’accesso e consentendone una diffusione più ampia.
  • La valorizzazione delle cosiddette “reti allargate”, mettendo a sistema, in particolare a livello territoriale, le diverse iniziative portate avanti dai singoli attori, anche in questo caso con l’obiettivo di diffusione capillare della possibilità di copertura.

 

Il ripensamento del sistema socio-sanitario pubblico passa per il riconoscimento della centralità della persona e del paziente come soggetto attivo, personalizzando le risposte, e sul necessario spostamento dell’asse di cura dall’ospedale al territorio.

 

Paradigmi europei e buone pratiche in termini di integrazione dei servizi

Un modello di riferimento potrebbe essere rappresentato dai “cugini” d’Oltralpe. La Francia, infatti, già nella seconda metà degli anni Novanta ha avviato la revisione del proprio sistema di protezione sociale per meglio adattarlo a rispondere alle sfide poste dall’invecchiamento della popolazione. Dal 2001 la copertura pubblica per la non autosufficienza è rappresentata principalmente dall’APA (Allocation Personalisée d’Autonomie), che consiste in un piano di aiuto personalizzato sulla base degli esiti di una visita di un’apposita équipe. Tale piano di prevede sia trasferimenti economici, sia prestazioni di cura e assistenza (residenziali o domiciliari). Gli importi erogati corrispondono alla parte di piano proposto di cui si decide di usufruire, esclusa una quota a carico del soggetto sulla base del reddito. La prestazione è, quindi, di tipo universalistico: l’accesso non è soggetto alla prova dei mezzi, ma l’importo varia a seconda del livello di non autosufficienza e della situazione economica dell’anziano over 60.

 

Tornando all’Italia, i primi passi in questa direzione si stanno lentamente muovendo, ad esempio attraverso l’adozione da parte di Regione Lombardia, a partire da gennaio 2018, del sistema di presa in carico per le persone con cronicità e fragilità. I provvedimenti però, pur a fronte del dettato normativo esistente (v. il Decreto interministeriale del 29 settembre 2016 sull’avvio di un “Piano per la non autosufficienza”), ricadono principalmente nell’ambito delle iniziative promosse dalle singole regioni, con il limite delle disparità che i diversi tessuti locali e sociali presentano lungo lo Stivale. Rimane quindi da definire, in una strategia più organica, un intervento sinergico pubblico/privato che non sottende un abbandono dello Stato dei propri impegni costituzionali, bensì una maggior capacità di coniugare e rendere veramente integrato l’intervento del pilastro pubblico con quello delle numerose realtà complementari (fondi pensione e sanitari nonché assicurazioni e altri investitori istituzionali), sapendo valorizzare le reciproche capacità.

  1. ndr: su questo tema, segnaliamo la raccolta di articoli presentanta nella prima uscita del “Punto di Welforum”