Oltre la Convenzione ONU

Il nuovo mandato dei servizi per le persone in condizioni di disabilità


Marco Bollani | 24 Ottobre 2022

L’inclusione sociale intesa come possibilità di partecipazione alla vita della comunità e la possibilità di vivere con la stessa libertà di scelta di tutti i cittadini costituiscono per le persone in condizione di disabilità un diritto riconosciuto da tutti i programmi politici e istituzionali del nostro paese. Allo stesso modo costituisce un diritto ampiamente riconosciuto, soprattutto nel nostro paese, il diritto all’accesso ai servizi sociali domiciliari e residenziali. A quei servizi cioè che sono stati concepiti come servizi dedicati esclusivamente alle persone con disabilità; cioè servizi speciali e non destinati a tutta la popolazione ma che sono stati concepiti e pensati per promuovere l’inserimento, l’integrazione e l’inclusione sociale delle persone. Non per isolarle dal resto della comunità e per impedirgli di vivere nella società. Si tratta perlopiù di servizi sociali e sociosanitari realizzatisi a livello territoriale a partire dalla fine degli anni 70 (e anche prima) e che in un certo senso nascono come risposta evolutiva alle logiche ed alle pratiche dell’istituzionalizzazione. Come avamposti proprio per avviare la deistituzionalizzazione e per favorire l’integrazione. Realtà di servizio che oggi sono identificate con sigle diverse da Regione a Regione (CSE, CEOD, CDD CAD, CSS, RSD, ecc.). Servizi perlopiù di piccole e medie dimensioni e che sono realizzati all’interno dei contesti sociali e di vita della comunità e che con la comunità intrattengono e garantiscono una fitta rete di relazioni e di processi di scambio; fino diventare in molti casi un “pezzo” anche riconosciuto e attivo della stessa comunità.

 

Con il presente contributo vorrei sommessamente provare a chiamare in causa il mondo di questi servizi. Per sostenere che c’è bisogno di loro per promuovere un cambio di prospettiva nella vita delle persone con disabilità e per affermare il diritto di tutte le persone con disabilità non tanto all’accesso sicuro ad un servizio (che peraltro spesso non è ancora garantito) quanto il diritto a realizzare un percorso di vita che  consenta loro di poter vivere con la stessa libertà di scelta di tutte le altre persone. Ed anche un percorso di vita non ai margini della società. Ma partecipando attivamente alla vita della società.

In pratica sto affermando che senza il supporto e l’aiuto dei servizi “speciali” sarà molto molto difficile applicare la Convenzione ONU. Alla luce del fatto che attualmente i diritti da essa affermati sono ancora largamente e costantemente inapplicati e non esigibili.

Convenzione ONU il cui dettato peraltro non è immune da qualche ambiguità rispetto alla funzione ed al ruolo di questi servizi. Nel testo dell’art. 19, infatti, si riconosce il diritto per tutte le persone con disabilità di poter godere della stessa libertà di scelta di tutti gli altri cittadini e di essere parte integrata e integrante della società1.

Ma poi al punto b dello stesso articolo si afferma che le persone abbiano il diritto di accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali, compresa l’assistenza personale che è necessaria per consentire loro di inserirsi nella comunità evitando l’isolamento e la segregazione.

 

 

 

 

Il peso di una virgola

L’ambiguità che si nasconde in questa affermazione così come scritta è che letteralmente potremmo anche interpretare che solo l’assistenza personale, separata da una virgola e posta dopo l’elenco dei servizi, sembra essere riconosciuta come necessaria per promuovere l’integrazione sociale e contrastare l’isolamento e la segregazione. E che quindi essa sia necessaria anche per superare l’isolamento e la segregazione che al contrario sembrerebbe caratterizzare l’inserimento nei servizi domiciliari, residenziali e di sostegno sociale richiamati prima della virgola. Quindi servizi il cui accesso è riconosciuto come un diritto fondamentale, ma che la stessa norma sembrerebbe inquadrare come strumenti non in grado di garantire integrazione sociale ne contrasto alla segregazione ed all’isolamento.

Tale interpretazione del significato letterale dell’art. 19, frutto della sintassi utilizzata nella scrittura della norma, appare quindi potenzialmente generatrice di un’ambiguità che riguarda il ruolo e la funzione dei servizi per la disabilità e soprattutto il loro futuro.  Un’ambiguità che rischia di aprire una strada all’idea ed alla logica del loro progressivo superamento; e quindi al rischio di politiche e di programmi istituzionali di disinvestimento.

 

Ora, dal punto di vista letterale e della correttezza della sintassi, tale ambiguità si potrebbe facilmente risolvere con una semplicissima correzione della punteggiatura. Semplicemente spostando la virgola tre parole più in là. Oltre l’assistenza personale. E volgendo il termine “necessaria” al plurale (“necessari”).

 

 

In questo modo includeremmo servizi e assistenza personale tra gli strumenti di cui si necessita (quindi necessari) per promuovere partecipazione, libertà di scelta e contrasto alla segregazione ed all’isolamento. Aprendo la strada alla piena ed aggiornata legittimazione del loro ruolo e della loro funzione. In quanto è risaputo che almeno nel dettato normativo del 1978, anno della nascita del servizio sanitario nazionale e dell’integrazione socio-sanitaria, i servizi sia diurni sia residenziali e di sostegno sociale per le persone con disabilità sono stati concepiti, sono nati e si sono diffusi proprio con questa finalità: essere strumenti per l’integrazione delle persone e non per isolarle ed escluderle dalla comunità.

 

Tuttavia, ritengo che prima di attivare la potente macchina legislativa che potrebbe avviare tale processo correttivo, sia necessario discuterne, quanto meno tra addetti ai lavori, partendo da almeno tre interrogativi:

  • Personalmente, ritengo sia lecito chiedersi, tra addetti ai lavori, se l’attuale scrittura della Convenzione Onu in effetti orienti il legislatore e le politiche a superare i servizi, ad andare oltre i servizi e quindi in estrema sintesi a definirli come un residuo del passato di cui c’è ancora bisogno ma che devono essere progressivamente abbandonati (e quindi sostanzialmente ad affermare che in prospettiva “non servono più”). Se insomma chi ha scritto il testo della Convenzione e chi l’ha sottoscritta sostenuta promossa e adottata come strumento per orientare la propria mission, è stato ed è portatore di questa volontà di superare servizi che in prospettiva non servono più. È questo davvero il senso compiuto di ciò che si voleva scrivere e di ciò che correttamente stiamo promuovendo e propugnando quando affermiamo il valore orientativo della Convenzione ONU?
  • Oppure chiedersi, sempre tra addetti ai lavori, se stiamo solo facendo del sofismo o cercando l’ago nel pagliaio. Perché in fondo c’è soltanto una virgola fuori posto …
  • Oppure ancora chiedersi se invece non sia davvero il caso di impegnarsi a spostare quella virgola. Per evitare anche solo il rischio potenziale dell’esclusione progressiva dei servizi, dagli strumenti e dalle strategie per il contrasto alla segregazione e per l’affermazione dei diritti di scelta e di partecipazione sociale delle persone in condizione di disabilità.

 

Personalmente, da addetto ai lavori impegnato sia sul versante dell’advocacy sia sulla gestione dei servizi, ritengo che oggi possa essere utile affrontare il tema del posizionamento di questa virgola. E non tanto per favorire il dibattito ed aiutare i vari punti di vista a capirsi ed a comprendersi di più (operazione sicuramente al di fuori della portata di chi scrive). Quanto per aiutare le istituzioni ad applicare al meglio la convenzione ONU e a disegnare politiche ed interventi innovativi nell’ambito del welfare per l’inclusione.

 

Spostare la virgola

La mia opinione è che la virgola vada spostata. Che il sistema dei servizi debba essere consolidato e proiettato nel futuro. E che ciò possa essere fatto non smantellandoli. Ma al contrario, sostenendoli a qualificare ulteriormente il loro mandato. Perché essi costituiscono oggi un punto di partenza fondamentale per garantire i diritti e il benessere delle persone con disabilità e dei loro familiari.  Come? Sostenendoli a qualificare meglio ciò che devono fare e allargando  il loro orizzonte di intervento e la loro mission. Andando anche oltre il dettato normativo attuale e la luce proiettata della Convenzione ONU. Che come abbiamo osservato, ad uno sguardo attento non risulta del tutto immune da qualche ombra, o quantomeno da qualche ambiguità.

Occorre in estrema sintesi negare con forza il principio e l’assunto di base che oggi i servizi non servano più. E riconoscere al contrario il principio che i servizi di oggi non bastano più. E favorire processi di consolidamento della rete dei servizi. Ed anche processi di aggiornamento e trasformazione del loro mandato. I servizi insomma siano garantiti per tutte le persone. E servano per aumentare le opportunità di scelta e di vita delle persone. E per promuovere il loro benessere anche attraverso percorsi inclusivi.

E quindi ciò comporta modificare le regole dei servizi. E investire idee, progetti e risorse per promuovere questo cambiamento. E comporta anche sostenere dal basso le istituzioni ad avviare un processo applicativo della Convenzione ONU a partire dai singoli territori. Dalla periferia verso il centro del sistema; dalla prima linea del fronte verso le retrovie dei colonnelli che impostano le strategie di lotta e di governo per contrastare nella vita di tutti i giorni le condizioni sociali e ambientali che determinano la disabilità.

 

Sulle tracce dell’innovazione, dal PNRR alla Riforma del Fondo Nazionale NON Autosufficienze

Le prime tracce di percorsi simili di riqualificazione del mandato e della struttura e del funzionamento dei servizi sono già state percorse sussidiariamente su diversi territori. E hanno anche già determinato norme e regolamenti attuativi di grande interesse e prospettiva. Anche per contrastare l’emergenza Covid-19 (DGR 3183 e DGR 5320 di Regione Lombardia). E anche in applicazione della Legge 112 Dopo di noi e nella progettazione degli interventi Pro.VI., che insieme costituiscono oggi la linea del fronte unitario  dell’investimento 1.2 della Missione 5 del PNRR, “Percorsi di Autonomia”, ripresa anche nel Piano Nazionale per la Non Autosufficienza 2022-2024 (PNNA)2.

 

Ora sarebbe decisamente importante riuscire a saldare questi percorsi sussidiari con i diversi provvedimenti attuativi che riguardano tanto la Strategia Europea 2020 -2030 quanto la riforma del Piano Nazionale per la Non Autosufficienza 2022-2024. Tali provvedimenti che pure contengono importanti riferimenti rispetto al tema della riqualificazione e dell’innovazione dei servizi, appaiono ancora troppo orientati a strategie di riforma top down che puntano soprattutto a realizzare un pur necessario e compiuto sistema di infrastrutturazione dei processi per la definizione dei progetti individuali. Obiettivo prioritario del disegno di riforma del PNNA in particolare resta la definizione di un “livello essenziale procedurale” che possa uniformare l’accesso alla prestazione di richiesta ed elaborazione del percorso di presa in carico attraverso un progetto personalizzato. E proprio in questo ambito di intervento rappresentato dalla costruzione del progetto personalizzato è importante che le realtà di Terzo Settore già impegnate sul fronte gestionale dei servizi, portino in dote agli ambiti sociali territoriali, proposte innovative di integrazione e riqualificazione degli interventi istituzionali a partire dalla personalizzazione dei progetti di vita.

 

In estrema sintesi, più che una “vera rivoluzione” per applicare al meglio la Convenzione ONU sembrano oggi necessarie la pazienza e la fiducia per sostenere e migliorare ciò che di buono sino ad oggi è stato fatto. Ripensando prima ancora che gli strumenti e le singole posizioni assunte sul campo tra i vari addetti ai lavori, la concezione del lavoro sociale e del lavoro educativo affermatesi sul campo. E come, sino ad oggi, siamo riusciti a promuovere e realizzare l’integrazione sociosanitaria.

Servono quindi esperienze. Esperienze di riqualificazione dei servizi che da servizi speciali esclusivi e riservati siano riusciti a trasformarsi anche in servizi per la comunità. Ad abitare luoghi non più solo di accoglienza esclusiva ma luoghi aperti a tutti. Ed a lavorare non più e non solo per capacitare le persone ed i familiari, ma per capacitare anche la comunità ed i suoi diversi contesti di vita ad essere più accessibili inclusivi ed a misura di tutti. C’è bisogno di queste esperienze per applicare al meglio la convenzione ONU e migliorare la qualità della vita delle comunità. E di queste esperienze molti servizi sono ricchissimi e portatori di innovazioni straordinarie.

Al Ministro Locatelli spetterà il compito di far emergere queste esperienze sussidiarie ed innovative portando anche in dote al Ministero un po’ della sua esperienza sul campo maturata “in prima linea” ma anche nel lavoro istituzionale svolto negli ultimi due anni che l’ha vista fortemente impegnata proprio a valorizzare molte di queste innovazioni.

E ci lavorino anche le Fondazioni di origine bancaria e le organizzazioni di secondo livello del mondo associativo e della cooperazione sociale. E ci lavorino anche le Istituzioni.

Per costruire una casa ma anche per ampliarla e renderla più confortevole e più adatta, si parte sempre dalle fondamenta. Anche per riqualificare e rigenerare il nostro sistema di welfare è da lì che dobbiamo ripartire.

  1. L’articolo 19 “Vita indipendente ed inclusione nella società” recita: Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che (…).
  2. Si vedano le segnalazioni su questo sito qui e qui.