Negli anni ’50 del secolo scorso quasi tutti gli ospedali erano pubblici e facevano eccezione solo alcuni ospedali gestiti da ordini religiosi, e solo alcune cliniche potevano chiamarsi effettivamente private. Le Facoltà universitarie di Medicina e Chirurgia erano tutte solo statali e contenevano tutta la ricerca medica e l’eccellenza clinica e chirurgica. L’attività privata era per lo più solo la seconda attività di chi lavorava negli ospedali pubblici. Ora la realtà è molto diversa, perché? e perché, nonostante l’universalismo del SSN, la spesa sanitaria privata è così elevata e in forte crescita?
I dati della relazione del MEF mostrano una spesa sanitaria privata diventata un quarto del totale della spesa sanitaria, mentre solo sette anni fa era meno di un quinto.
Un’altra fonte utile per documentarsi sulla spesa sanitaria è il “sistema dei conti della sanità” dell’Istat di cui riportiamo la tavola sulla spesa corrente per tipo di finanziamento (2012-2021) e la tavola della spesa diretta delle famiglie per funzioni di assistenza (2012-2021).
Si faccia attenzione che leggendo i dati contabili di spesa sanitaria, sia pubblica che privata, capita di non trovare esatta corrispondenza tra le fonti, e ciò per lo più dipende dalle diverse classificazioni utilizzate, ma comunque le differenze sono quasi sempre marginali.
Per ragionare sulla tendenza alla privatizzazione della sanità può essere però più utile analizzare i dati raccosti dall’indagine Istat sugli aspetti della vita quotidiana delle famiglie dal 2017 al 2021 (ultimo anno con il file dati disponibile per la ricerca). Questi sono dati che mostrano lo scenario dal punto di vista della popolazione assistita e non hanno i pregi e i difetti dei dati contabili di bilancio.
Esaminando le risposte alle indagini dal 2017 al 2021, che sono quelle in cui i questionari contengono domande sul tipo di prestazioni utilizzate, si intravvede una leggera diminuzione di persone che hanno effettuato in generale una visita specialistica o un esame diagnostico specialistico. La diminuzione è evidente soprattutto nel 2020 e nel 2021 e probabilmente può essere attribuita alle difficolta di accesso dovute alla pandemia da Covid.
Analizzando però le condizioni di accesso con le quali sono avvenute, se cioè gratuitamente, o pagando un ticket, o pagando direttamente, o ottenendo un rimborso da una assicurazione privata, si osserva che la diminuzione non ha riguardato le visite a pagamento, che anzi sono, seppur leggermente aumentate.
Anche i soggetti che riportano di esser stati ricoverati, o in ospedale o in casa di cura, sono diminuiti sensibilmente nel 2020 e 2021, ma aumenta la percentuale di coloro che dichiarano di aver dovuto pagare almeno una parte delle prestazioni (cliniche e/o alberghiere) e ancor di più sono coloro che dicono di aver usufruito di un rimborso assicurativo.
I dati contabili risentono ovviamente della dinamica dei prezzi, mentre questi dati dell’indagine non contengono l’elemento dei costi ma solo della frequenza di tutte le prestazioni ricevute. Comunque si può senza dubbio alcuno ritenere che il ricorso alle prestazioni di sanità privata sia cresciuto e stia sempre ancora crescendo e quindi è opportuno chiedersene le ragioni.
Fattore politico-ideologico
Il primo, e forse più allarmante, fattore della tendenza alla privatizzazione della sanità è di natura politico ideologica. Per la sinistra solidarista, o più propriamente socialista, la collettività deve farsi carico della salute, e quindi ognuno deve contribuire ai costi secondo le sue possibilità e può ricevere secondo i suoi bisogni. Per la destra liberista, invece, la salute è un elemento fondamentalmente solo personale e quindi ciascuno deve farsene carico in proprio.
Un governo di destra, quindi, non può che favorire forme di contenimento dell’impegno pubblico sui servizi sanitari favorendo quindi la crescita del privato. Ci si ricordi al proposito che quando, nel 1978, fu votata la legge di istituzione del SSN, la 833, l’unico partito che non votò a favore fu il partito liberale. Anche nella popolazione, dove il “sentiment” liberista è in questi ultimi tempi cresciuto, non si chiede, più di tanto, alla politica di assumersi l’onere dei propri problemi di salute e si preferisce invece che si preoccupi di garantire che i servizi sanitari privati siano di buona qualità, e si limiti a dare assistenza agli indigenti che non sono in grado di attivare, personalmente o tramite i datori di lavoro, una protezione assicurativa.
Fattore economico
Attualmente il prodotto interno lordo italiano si è aggira sui 2.085 miliardi di €uro e l’ammontare delle entrate fiscali dello Stato sono state di 886 miliardi, cioè una pressione fiscale del 42,5%. Questa è la pressione fiscale ufficiale calcolata seguendo le disposizioni metodologiche previste dall’Eurostat, che risulta ultimamente in continua crescita.
La CGIA di Mestre ritiene che quella reale calcolata nel 2023 sia addirittura salita al 47,4%.
Considerando l’attuale spesa sanitaria di 136 miliardi, questa corrisponde al 6,5% del Pil e al 15% delle entrate fiscali dello Stato, ed è purtroppo naturale che chi intende abbassare la pressione fiscale pensi di agire sui capitoli principali della spesa pubblica e quindi innanzitutto sulla spesa sanitaria; ma in Italia la spesa sanitaria pubblica è già tra le più basse in Europa ed è quella che è cresciuta di meno negli ultimi anni.
Nel 2021 chi in Europa ha destinato alla sanità delle risorse pubbliche meno dell’Italia sono state solo 5 nazioni, mentre nel 2011 erano 14, e comunque la percentuale italiana è diminuita.
È evidente che se si destinano alla sanità meno risorse rispetto a quelle disponibili, per giunta in un periodo in cui invece il costo della sanità è cresciuto, le possibilità sono due, o fornire alla popolazione meno servizi sanitari, o favorire, direttamente o indirettamente, l’accesso ai servizi forniti dal privato tramite copertura assicurativa.
Fattore imprenditoriale
L’imprenditoria italiana ha individuato nel settore sanitario una crescente possibilità di sviluppo. Sono sorti diversi ospedali privati, diversi centri diagnostici e laboratoristici, si è sviluppato soprattutto il settore assicurativo integrativo che ha permesso a molti di accedere alle prestazioni erogate privatamente.
I fondi assicurativi si sono sempre più diffusi e ormai vengono spesso inseriti nei contratti di lavoro di molte aziende, come ad esempio il fondo FASDA, uno dei tanti, promosso anche dai sindacati CGIL e CISL.
Sembra insomma che anche coloro che hanno maggiormente a cuore il SSN e l’equità nel settore sanitario, si siano rassegnati alla necessità di garantire ai propri protetti forme di assistenza integrativa, ma non solo, anche sempre più sostitutiva. Questa situazione difficilmente può essere invertita ed anzi sembra sia destinata a diffondersi sempre più lasciando, ahimè, con meno possibilità di assistenza coloro che non possono beneficiare di una qualche forma di assicurazione privata sulla salute.
Fattore condizioni di lavoro
Gli operatori del SSN si lamentano ogni giorno di più delle condizioni di lavoro e innanzitutto degli aspetti salariali ma poi anche dei ritmi di lavoro e della scarsità di soddisfazione professionale. Molti sono coloro che hanno lasciato il SSN e sono andati addirittura all’estero dove hanno trovato rimunerazioni e soddisfazioni maggiori, altri si sono trasferiti nelle strutture private, molti infine pur rimanendo nel SSN hanno optato per un regime di part time svolgendo attività libero professionali ad esempio in intra-moenia. Ormai in Italia l’operatore sanitario non gode più della stima e del rispetto che una volta aveva e spesso su di lui, per lo più del tutto incolpevole, si versano le frustrazioni dei malati malamente assistiti. Una difesa del SSN non può più non considerare la necessità un miglioramento delle condizioni lavorative degli operatori.
Fattore consumistico
Se i fattori principali della tendenza alla privatizzazione della sanità riguardano la produzione e l’offerta dei servizi, ci sono però anche molti elementi relativi alla domanda, cioè alle preferenze degli utenti. Se l’aver accesso alle prestazioni senza dover pagare è per tutti una opportunità, per chi ha appena la possibilità di pagare spesso c’è la preferenza ad essere trattato da «cliente». Il cliente può, o per lo meno crede di poter, determinare le modalità di erogazione, e la facoltà di esser libero di scegliere comporta per l’erogatore un incentivo a dare una migliore accoglienza. Ma l’elemento determinante sta soprattutto nei tempi di accesso; molte persone che si sono visti prenotare dal SSN visite od esami dopo diversi mesi, trovano invece possibili prenotazioni nel privato dopo pochi giorni e anche accettando le difficoltà del pagamento si rassegnano ad accettare l’alternativa. L’immagine dei servizi sanitari privati è molto curata, sia nelle strutture che nell’accoglienza del personale e molte sono le comodità che il servizio pubblico non da; si pensi ad esempio alla possibilità di prenotarsi via internet e di ricevere per email i referti diagnostici, comodità che anche alcune Regioni, però, hanno iniziato a dare.
Bisogna comunque notare che la fiducia nei medici è oggi rimasta elevata e descrivendo le valutazioni da 0 a 10 dei rispondenti, in tutti gli aggregati è sempre superiore alla sufficienza, e pochi sono i soggetti che hanno dato un voto insufficiente.
Si notano valutazioni maggiori nei laureati, nel nordest rispetto al sud, in chi sta bene economicamente ed anche sta in buona salute.
Allora non resta che rassegnarsi?
Dobbiamo innanzitutto distinguere tra gli aspetti della privatizzazione nell’ambito della produzione dei servizi rispetto a quelli dell’erogazione e finanziamento degli stessi. La produzione di prestazioni da parte di un privato, se rispetta le caratteristiche previste e se mantiene una integrazione reale con gli altri ambiti del SSN, non crea di per sé gravi problemi. È comunque da dire che una vera integrazione è difficile che avvenga e da questo punto di vista meglio sarebbe che tutto il sistema fosse pubblico. Peraltro, il privato, in molti settori, è in grado di fornire ottime prestazioni, spesso anche migliori di quelle prodotte dal pubblico, anche a prezzi competitivi e sicuramente con una miglior flessibilità agli sviluppi della medicina. Diverso è il caso dell’accesso che solitamente ha come norma quella relativa del rispetto dei LEA, norma che è per lo più solo nominale e non entra nelle modalità di erogazione dei LEA stessi. Tempi, luoghi, qualità, accoglienza ecc., non rientrano purtroppo nei LEA e quindi spesso i diritti alla prestazione si riducono ad essere meramente nominali.
Se una prestazione ha tutti i crismi dell’appropriatezza deve poter essere ottenuta comunque, anche se non vi è disponibilità nel SSN. Dovrebbe quindi essere consentito di accedere a pari condizioni anche alle prestazioni erogate in Intramoenia e persino (semmai anche solo con rimborso indiretto) nelle strutture private.
Il problema da evitare sarebbe comunque quello dell’iperconsumo inappropriato derivato o dall’impazienza o dall’ipocondria degli utenti, ovvero da un’iperprescrizione dovuta a comportamenti errati o addirittura fraudolenti da parte dei medici. Sarebbe allora essenziale che si introducesse un sistema più efficiente di controlli e di valutazione dei prescrittori. Nelle impegnative dovrebbero essere meglio specificati i motivi della prescrizione e nel caso di medici che abbondano in prescrizioni (valutate per età e per patologia dei suoi assistiti) ci dovrebbe essere un modo per valutarne la correttezza.
Ci sono diversi soggetti che oggi spingono apertamente verso la privatizzazione del servizio sanitario, altri che invece si rassegnano e si lamentano per questa deriva, ma purtroppo pochi che lavorano realmente perché il SSN non venga smantellato. È sicuramente invece importante lottare perché il finanziamento pubblico sia realmente adeguato e per rinnovare, migliorandoli, i contratti di lavoro degli operatori, ma tutto ciò, anche se irrinunciabile, non basta.
Occorre soprattutto ritrovare la capacità di ridisegnare un servizio sanitario nazionale che riesca a snellirsi di tutte le inefficienze burocratiche, che sappia assumersi il compito di promuovere realmente la salute e non solo di “tamponare” le malattie, che sappia ascoltare i bisogni e le preferenze della popolazione, che sappia occuparsi del benessere della popolazione ottenendone il suo gradimento.
Non si può farne solo un argomento di lotta elettorale soprattutto quando chi oggi è all’opposizione nel passato non aveva fatto molto per migliorare il SSN. Per la maggioranza dei cittadini che per fortuna è in salute può interessare di più potere pagare meno tasse che dover pagare qualcosa per una sanità di cui non ha ancora bisogno.
Occorre allora maggiore preparazione gestionale in tutto il personale sanitario del SSN; non conta solo, anche se è l’aspetto più rilevante, l’efficacia delle terapie, conta molto anche il sentirsi accolti, il sentirsi protetti, il sentirsi aiutati. E l’operatore del SSN non può essere solo un operatore di sanità, ma deve anche essere un operatore sociale capace di capire ed indirizzare gli utenti; ma per far questo deve cambiare anche la formazione dell’operatore che non può ignorare nel suo curriculum universitario gli argomenti gestionali, economici, relazionali, ecc.
Ed anche l’operatore deve essere soddisfatto del suo ruolo e dei riconoscimenti che la società gli riserva. Ls scelta di lavorare in sanità spesso è motivata da valori etici significativi ma se manca da parte dell’istituzione un giusto riconoscimento anche questi valori svaniscono, e spesso sono proprio gli ambienti della sanità privata a ridare giusti riconoscimenti all’operatore.
È probabile che per la metà più benestante della società un sistema sanitario basato su assicurazione privata possa apparire maggiormente conveniente, ma per l’altra metà sarebbe inaccessibile, ed allora differenziare l’assistenza sanitaria in base alle capacità economiche sarebbe l’abbandono più grave all’idea di equità affermatasi nella seconda metà del secolo scorso. Però l’equità non può realizzarsi su dei bassi livelli di qualità altrimenti è inevitabile che chi può cerchi delle alternative alla soluzione dei propri problemi di salute e approvi lo sviluppo di una sanità privata costosa ma gratificante.
Il modo principale per contenere l’eccessiva privatizzazione della sanità è quindi quello di rendere più competitivo il SSN nei confronti dei servizi privati, e questa sarebbe una sfida che credo molti apprezzerebbero e molti operatori sarebbero contenti di collaborare perché si realizzi.
L’articolo è stato pubblicato anche su Epidemiologia e Prevenzione.