PNRR e giovani. Un’occasione da non sprecare
Contrasto al divario generazionale e patto per l’occupazione giovanile
Luciano Monti | 23 Giugno 2022
I Policy Highlights di Politiche Sociali /Social Policies: l’articolo che segue sintetizza alcuni degli esiti principali di un lavoro pubblicato sul numero 3/2021 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: Monti, L., “PNRR e divario generazionale. Dalla misurazione alla valutazione di impatto delle politiche per i giovani“, Politiche Sociali/Social Policies, 1/2022, pp. 113-128.
Il contesto: impatto asimmetrico di Covid-19 e della duplice transizione sui giovani
Sin dai primi mesi del 2020, la Commissione europea e numerose altre organizzazioni internazionali hanno denunciato l’impatto asimmetrico della pandemia su territori e fasce di popolazione più fragili e in particolare sui giovani. Nel biennio 2020-21, gli under 35 senza lavoro e non in formazione o in istruzione (Neet) sono tornati a superare l’asticella dei tre milioni, con un balzo indietro di tre anni e si teme che “l’onda lunga” della crisi pandemica debba ancora sprigionare i suoi effetti negativi sulle fasce più giovani della popolazione.
La precarietà dell’occupazione si riflette inevitabilmente sul calo della ricchezza e sul reddito dei giovani, così come sull’insicurezza sociale generata da una aspettativa di pensione non solo lontana nel tempo, ma anche inadeguata a sostenere una vita autonoma e un invecchiamento sereno.
Appare di tutta evidenza come l’iniquità intergenerazionale si sia fatta sempre più ampia dalla crisi del 2008 e che le azioni poste in campo dai governi avvicendatisi in questi anni non siano state sufficientemente focalizzate al target (gli under 35) e all’obiettivo (maggiore occupazione e sicurezza sociale).
Misure per i giovani: l’alibi dell’effetto indiretto delle politiche per la ripresa e la resilienza
Quando una misura impatta veramente sui giovani, sulla loro condizione e sul divario che li colpisce? È necessario definire con una certa precisione che cosa si intende per impatto su una determinata generazione (qui si discute di quella giovanile) e quando questo impatto è intenzionale, non intenzionale, diretto e indiretto, esclusivo e parziale.
In questa sede, essendo in esame le politiche giovanili, è evidente che con impatto generazionale si vuole fare riferimento a interventi rivolti alla popolazione giovanile, ovvero quella fascia di popolazione che si trova tra i 15 e i 34 anni di età.
L’intenzionalità, invece, la si rileva dalla enunciazione dei beneficiari dell’intervento. Qualora tutti i destinatari siano nella fascia di popolazione sopra richiamata, potremo definire quell’intervento esclusivamente, intenzionalmente e direttamente rivolto ai giovani. Qualora invece i beneficiari non siano espressamente indicati o il riferimento sia a una fascia più ampia di popolazione (per esempio la forza lavoro, quella che tradizionalmente fa riferimento alla fascia di età tra i 20 e i 64 anni), si può parlare di impatto potenzialmente rivolto anche ai giovani se supportato da una stima di impatto su tale fascia di popolazione. Sarà dunque potenzialmente rivolto ai giovani un intervento che si stimi possa colpire direttamente un certo numero di giovani.
Questione diversa è quella delle misure direttamente o indirettamente rivolte ai giovani. La prime sono quelle che tra i loro beneficiari annoverano le fasce giovanili (in via esclusiva o in misura significativa programmata o stimata), le seconde quelle che, ancorché rivolte all’universalità o ad altre fasce di popolazione, esplicano effetti positivi sulle fasce giovanili (si pensi agli interventi sul personale docente delle scuole).
Volendo sintetizzare sono dunque:
- misure (o interventi) generazionali quelle che comprendono tutti quei provvedimenti idonei, a vario titolo, a incidere direttamente sul divario generazionale in quanto rivolti esclusivamente ad un determinato target di giovani;
- misure (o interventi) potenzialmente generazionali quelle che non perseguono necessariamente finalità di natura generazionale ma, nonostante ciò, possono incidere positivamente sul target giovani per natura;
- misure indirettamente generazionali quelle che attengono ai servizi di base per il cittadino, come la sanità, la sicurezza, la mobilità, l’istruzione e sono dunque destinate alla salvaguardia di diritti fondamentali dei cittadini nel loro complesso con significative ricadute anche sulle future generazioni.
La presenza nel quadro legislativo delle ultime finanziarie “pre-pandemiche” di un considerevole numero di misure definibili generazionali da un lato evidenzia una certa consapevolezza da parte del legislatore nei confronti della questione giovanile, dall’altro conferma la mancanza di una vera e propria strategia e di una visione sistemica in grado di accompagnare (e non semplicemente assistere) i giovani nel percorso verso la piena maturità e indipendenza.
Una certa riluttanza a porre concretamente nell’agenda di Governo una strategia per i giovani si riscontra anche nel Governo Draghi. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), non è data dignità autonoma alle politiche per le giovani generazioni, come invece auspicato dal regolamento europeo 2021/241 che ha istituito il Dispositivo di Ripresa e Resilienza.
Nel documento programmatorio italiano, le misure definibili “generazionali” o “potenzialmente generazionali” dirette ai giovani sono rilevate in varie missioni (la 1, la 4 e la 5), tuttavia disarticolate tra loro e comunque di poco superiori a 2 miliardi di euro per l’intero periodo di programmazione. Ai giovani (come peraltro alle donne) è riconosciuta una mera, quanto vaga, priorità trasversale, senza che siano previste, come invece avviene per la transizione digitale e quella ecologica, delle soglie minime di impegno (rispettivamente il 37% per la transizione ecologica e il 20% per quella digitale).
Dimmi che cosa misuri e ti dirò che politica fai
L’intervento ordinario e straordinario del Governo per fronteggiare quella che, oramai, non può essere definita soltanto una temporanea emergenza giovanile, presuppone una preliminare misurazione non solo del fenomeno (per questo ci sono i dati sui Neet e sui giovani disoccupati ricordati prima), ma anche della persistenza e intensità dei fattori che contribuiscono a generarlo.
Una misura intenzionalmente generazionale sarà efficace se concretamente continuerà a migliorare la loro situazione o li accompagnerà nel loro sviluppo professionale e personale. Tale impatto può ovviamente essere rilevato con indicatori di risultato (output): per esempio quanti giovani sono stati coinvolti nell’iniziativa oppure quanti hanno tratto benefici dall’intervento. L’Indice del Divario Generazionale curato dalla Fondazione Bruno Visentini rappresenta invece un indicatore di outcome e misura (considerando ben 13 domini e 37 indicatori) proprio il grado di difficoltà (in aumento o diminuzione fatto cento il 2006) che un giovane affronta per raggiungere le principali tappe che lo conducono a una vita autonoma e di realizzazione personale e professionale. Tappe rappresentate rispettivamente dalla conclusione della parte più rilevante del percorso formativo; dal raggiungimento di una posizione relativamente stabile nella divisione sociale del lavoro; dall’abbandono della casa dei genitori e dall’assunzione con responsabilità della paternità o della maternità. Il contributo di un intervento alla riduzione dell’Indice del Divario Generazionale ne misura l’efficacia.
L’indice in questione non ha mai recuperato la posizione ante 2010 e, fatta eccezione per il 2017, è purtroppo stato sempre in crescita nell’ultima decade raggiungendo il picco proprio nel 2020. La crisi pandemica, dunque, ha aggravato un fenomeno già in atto da tempo. I principali fattori che spingono in alto l’Indice del Divario Generazionale sono il reddito e la ricchezza giovanile, la parità di genere, il credito e il risparmio, l’incidenza delle pensioni e del debito pubblico. Queste le cause da rimuovere o di cui ridurre l’impatto.
Il reale impatto del PNRR
La previsione di impatto sui giovani è affidata dal Pnrr a stime della variazione del tasso dell’occupazione giovanile rispetto allo scenario base. Stime effettuate integrando il modello di equilibrio generale computazionale del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze con i micro-dati rilasciati da alcune surveys. Secondo tale analisi, alla fine del periodo di impegno delle risorse nel 2026 l’incremento dell’occupazione giovanile dovrebbe essere di 3,2 punti percentuali.
Non entrando nel merito di questa stima, svolgo solo qualche riflessione concernente il perimetro di indagine sul quale tale valutazione si basa:
- il tasso di occupazione giovanile non fotografa appieno il mercato del lavoro, includendo nel novero anche tutti coloro che a vario titolo possiamo definire precari;
- la stima affida la speranza di crescita del tasso di occupazione prevalentemente alle due missioni legate alla duplice transizione ecologica e digitale, dove non sono presenti che poche misure definibili generazionali. L’aspettativa è dunque collegata all’auspicato effetto “traino” dell’economia legata alle filiere che maggiormente beneficeranno di detta transizione. Viste le rigidità del mercato del lavoro e il dilagare del precariato, si tratta di una stima tutta da dimostrare;
- gli indicatori ai quali è affidato il compito di monitorare l’impatto dei singoli investimenti e riforme del Pnrr sono spesso troppo generici;
- il voler affidare la valutazione di impatto ai soli domini dell’occupazione e del reddito appare riduttivo, non solo se paragonato alla tassonomia alla base dell’Indice del Divario Generazionale, ma anche agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e target di Agenda 2030, in particolare il Target 8.6 che riguarda i Neet.
La dimostrazione che anche lo stesso Governo che ha varato il Piano non fonda le sue speranze di ripresa e resilienza sull’impatto sui giovani trova conferma nelle condizioni poste per la liquidazione delle tranche di pagamento dei contributi programmati. L’unico riferimento alla performance di misure generazionali è previsto nella settima tranche di pagamento (6,3 miliardi di euro, cioè meno del 10% dell’ammontare dei contributi non rimborsabili previsti nel Pnrr) che la lega al numero delle borse di studio per l’accesso all’università.
L’urgenza di avviare un monitoraggio costante dell’impatto sui giovani degli interventi pubblici è stata colta dal Ministro per le Politiche Giovanili che, nel giugno 2021, ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Comitato per la valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche (COVIGE). Comitato chiamato a valutare anche le riforme e i progetti previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nonché le misure del Piano nazionale per gli investimenti ad esso complementare, che hanno un impatto diretto o indiretto sulle nuove generazioni.
La strada da compiere
La strada da compiere è ancora lunga ma la creazione del menzionato COVIGE e l’annuncio della prossima istituzione di un tavolo per il patto dell’occupazione giovanile da parte del Ministro del Lavoro lasciano ben sperare.
Queste, dunque, le premesse per arrivare a definire la tanto auspicata strategia per il contrasto al divario generazionale che traguardi, per la fine del decennio, la rimozione dei principali ostacoli allo sviluppo delle fasce giovanili. Una strategia che prima ancora che dotare gli interventi previsti delle adeguate risorse deve, da un lato, mettere a punto con chiarezza una piattaforma valutativa in grado di monitorare l’efficacia delle misure generazionali e di metterle a sistema e, dall’altro, evidenziare con chiarezza le misure potenzialmente generazionali, alzando il velo su molti luoghi comuni che riconducono all’universo giovanile interventi che a favore dei giovani (almeno per ora) non sono. Un esempio per tutti, gli interventi a sostegno della creazione delle start-up e delle PMI innovative, spesso ricondotti nel novero delle politiche “potenzialmente” generazionali. Così non è (per ora) e i dati parlano chiaro: soltanto il 18% delle prime è “a prevalenza giovanile”, mentre la percentuale scende al 4% per le seconde (Dato del Registro Imprese 2021).
La proposta è dunque “marcare” queste misure, al fine di aumentare le opportunità offerte ai giovani e monitorarne l’impatto. Il pensiero in questo caso va alla M2C2.5 del Pnrr “sviluppare una leadership internazionale, industriale e di ricerca e sviluppo nelle principali filiere della transizione” che nell’investimento 5.4 espressamente prevede “il supporto a start-up e venture capital attivi nella transizione ecologica”, con la speranza che le risorse (peraltro limitate a 250 milioni) non vengano tutte monopolizzate dai fondi di venture capital a scapito dei fondi di seed (“seme”), certamente più alla portata dei giovani.