Il sistema delle politiche attive per il lavoro in Lombardia: gli elementi distintivi
Se si considera, a quasi due anni dall’entrata in vigore del d.lgs.150/2015 di riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, le linee di tendenza che connotano il sistema, si osserva innanzitutto un depotenziamento della componente amministrativa e certificatoria del servizio erogato, a fronte della valorizzazione dei contenuti di orientamento e di accompagnamento nella ricerca del lavoro. Lo stato di disoccupazione, infatti, non si lega più come in passato alla presentazione presso gli uffici competenti per rilasciare la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, ma alla stipula di un patto di servizio personalizzato in cui vengono definite le attività di ricerca del lavoro da realizzare, la loro tempistica e le modalità con cui tali attività sono comprovate (art.20). Di conseguenza, i Centri per l’Impiego e i soggetti privati accreditati sono stati chiamati a predisporre un’offerta di servizi in grado di dare una risposta ad una platea ampia di utenti, fornendo prevalentemente orientamento sulle tecniche di ricerca attiva del lavoro e sostegno all’incontro domanda-offerta. A questi servizi “di base” se ne affiancano altri, che rientrano in misure di livello nazionale (ad esempio Garanzia Giovani) o regionale (ad esempio la Dote Unica Lavoro), la cui erogazione è soggetta alle regole specifiche dettate dal singolo avviso pubblico. La persona in cerca di lavoro può quindi accedere ad una pluralità di misure, anche integrando e sommando interventi diversi. Il momento in cui viene effettuata la scelta è quello della stipula del patto di servizio personalizzato, che si colloca nelle fasi iniziali del processo di erogazione dei servizi di politica attiva del lavoro: l’accoglienza dell’utente e la rilevazione del bisogno assumono quindi un’importanza centrale per un corretto rinvio ai vari percorsi disponibili. La fase di accoglienza e di definizione dei contenuti del patto di servizio si conferma come particolarmente critica per una pluralità di ragioni che vanno dalla numerosità dei destinatari alla necessità di dare risposta ad un insieme di esigenze anche molto diverse tra loro (basti pensare che in questa fase viene fornito supporto per l’espletamento delle procedure amministrative; si rileva la domanda di servizi espressa e si effettua una prima analisi dei bisogno; si forniscono informazioni sui servizi disponibili anche sul territorio; si effettua la scelta della politica attiva; si definiscono gli step successivi e il calendario degli appuntamenti). Il rischio è, evidentemente, che l’analisi del bisogno e dei pre-requisiti per l’accesso ad una determinata misura non sia adeguatamente effettuata, con il conseguente inserimento dell’utente in percorsi in realtà non rispondenti alle sue caratteristiche e quindi potenzialmente inefficaci. Le scelte non sono ovviamente irreversibili, ma eventuali modifiche comportano comunque un costo sia per l’organizzazione coinvolta che per la persona: a maggior ragione, questi problemi si pongono rispetto agli utenti con una situazione multi-problematica, per i quali è essenziale disporre di strategie di intervento e di strumenti idonei, oltre che di operatori con specifiche competenze professionali. Ormai dal 2009 Regione Lombardia ha messo a regime la “Dote Lavoro”, un sistema di politica attiva del lavoro con approccio universalistico: destinatari con caratteristiche diverse, che si trovano in un momento di cambiamento o hanno necessità di supporto, possono accedere ad un pacchetto integrato di servizi al lavoro, del quale sono definiti gli standard di servizio e di costo. Alla persona che avvia una politica attiva nell’ambito della Dote Unica Lavoro viene assegnata una fascia di intensità di aiuto, determinata sulla base di criteri oggettivi e di valori ponderati ed incrociati tra loro (lo stato occupazionale; il titolo di studio; l’età; il genere), cui corrispondono livelli diversi di servizio. Per l’erogazione di tali servizi il cittadino può scegliere l’operatore accreditato, pubblico o privato, che ritiene maggiormente in grado di supportarlo: il meccanismo di “quasi mercato” instaurato dal sistema dotale è rafforzato dal fatto che a ciascun operatore è assegnata una soglia massima di spesa, all’interno della quale può attivare doti. Sulla determinazione di tale soglia incide in misura significativa (55% della dotazione complessiva delle risorse) la performance ottenuta, vale a dire i risultati occupazionali conseguiti. Il meccanismo sostanzialmente competitivo premia dunque la capacità degli operatori accreditati di ricollocare le persone prese in carico, perché è da questo che dipende l’assegnazione delle risorse.
Il target delle persone in grave difficoltà socio occupazionale
Se il sistema fin qui tratteggiato appare complessivamente in grado di rispondere ai bisogni di quella fascia di utenti comunque in grado di investire sul proprio percorso di riqualificazione e reinserimento, gestendolo in modo attivo e consapevole, non sembra però funzionare altrettanto bene per gli utenti cosiddetti fragili, per i quali la difficoltà di reinserirsi nel mercato del lavoro si è ormai cronicizzata e si accompagna al progressivo deterioramento delle condizioni di vita (perdita dell’alloggio, utilizzo di servizi pubblici e privati di sostegno per fare fronte ai bisogni primari, progressivo indebitamento…). Questi utenti rappresentano un target su cui è particolarmente difficile intervenire con gli strumenti propri delle politiche attive del lavoro, essenzialmente per due ordini di ragioni: da un lato, perché la molteplicità dei bisogni compresenti richiede una presa in carico globale della persona, tale cioè da favorire un processo di selezione degli obiettivi e di definizione di un percorso di recupero organizzato per priorità e non per urgenze; dall’altro lato, perché l’efficacia delle azioni di politica attiva del lavoro si lega strettamente alla loro tempestività, mentre in questi casi l’intervento è molto spesso tardivo, a fronte cioè di un lungo periodo di inattività che ha inciso sulla motivazione e l’atteggiamento delle persone (determinando anche l’insorgere di comportamenti non in linea con le attese dei potenziali datori di lavoro). Va peraltro osservato che la motivazione a partecipare ai percorsi di politica attiva del lavoro, che rappresenta un fattore determinante per la loro efficacia quanto meno in termini di occupabilità se non direttamente di occupazione, non si lega soltanto alla percezione di utilità dei servizi ricevuti ma, per il target di cui ci stiamo occupando, è fortemente condizionata da fattori quali lo stato di salute, le esigenze di accudimento dei famigliari, la distanza tra l’abitazione e la sede in cui vengono erogati i servizi orientativi, le difficoltà economiche. Le esperienze fatte mettono in evidenza l’utilità di una valutazione preventiva della riattivabilità delle persone, funzionale a indirizzarle ai percorsi di politica attiva del lavoro soltanto nei casi in cui è ragionevole presumere che esse trarranno un beneficio significativo dai percorsi stessi; negli altri casi, dovranno essere attivate altre tipologie di supporto di matrice socio-assistenziale, che possono anche essere utilizzate per sostenere una transizione verso il mercato del lavoro, ma che non puntano immediatamente al reinserimento lavorativo. Il presupposto è quindi che per le persone in grave difficoltà socio-occupazionale si predispongano piani di intervento articolati quanto ad obiettivi, e particolarmente flessibili nelle modalità attuative. Ovviamente questa valutazione della riattivabilità della persona, funzionale anche alla corretta allocazione delle risorse pubbliche legate alle politiche attive del lavoro, può valere solo qui ed ora: deve cioè essere suscettibile di revisione periodica e quindi modificabile, oltre che il più possibile ancorata ad elementi fattuali. Gli elementi da prendere in considerazione, oltre naturalmente alle condizioni di salute, sono ad esempio il sistema dei vincoli che incidono sull’effettiva possibilità di cercare di lavoro (oltre alla disponibilità del tempo da dedicare alla ricerca di lavoro, anche l’alfabetizzazione informatica e la possibilità di accedere ad un PC e ad una connessione internet, la conoscenza di base della lingua italiana…); la proattività manifestata rispetto alla ricerca del lavoro (non solo la distanza dal mercato del lavoro, intesa come numero di anni trascorsi dall’ultimo rapporto di lavoro, ma anche il fatto di svolgere occasionalmente piccoli lavori, nell’ambito della rete familiare o amicale, oppure il numero di curriculum inviati o consegnati in un determinato arco di tempo); la reale disponibilità rispetto al lavoro (il raggio entro cui si è in grado di effettuare spostamenti; la disponibilità al lavoro su turni o nei giorni festivi; le aspettative rispetto alla tipologia di contratto, alla mansione o alla retribuzione…). L’analisi di queste variabili rappresenta una parte di un più complessivo processo di targeting delle misure di politica attiva del lavoro, teso ad identificare, per i diversi gruppi di utenti accomunati da bisogni omogenei, le misure più efficaci. Si tratta di un tema che ad oggi non è stato adeguatamente affrontato, e che assume però rilevanza centrale nel momento in cui misure quali il Sostegno all’Inclusione Attiva (SIA) e l’imminente REI (Reddito di Inclusione) pongono l’accento sull’attivazione lavorativa delle famiglie in condizione di povertà.