Riforma del Terzo Settore: l’impresa sociale. Intervista a Beppe Guerini


A cura di Gianfranco Marocchi | 5 Luglio 2017

Il 28 giugno 2017 il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva i decreti attuativi della legge 106/2016 (la riforma del terzo settore), che saranno pubblicati a giorni; abbiamo intervistato Beppe Guerini, portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Sociali, per avere un primo commento. In premessa va richiamato che ad oggi non può che trattarsi di prime impressioni, dal momento che si lavora su testi ancora non ufficiali e che quindi è possibile esprimersi sulla struttura degli atti, ben sapendo che, con i testi definitivi, potrebbero emergere ulteriori impressioni.   “Il giudizio sul Decreto impresa sociale è sostanzialmente positivo, si arriva al termine di un’operazione durata tre anni” esordisce Guerini. “E, oltre al fatto di per sé positivo di avere un punto di riferimento, vi è da rilevare con soddisfazione che alcune delle difficoltà segnalate in fase di discussione del decreto rispetto al coordinamento con le attività delle cooperative sociali sembrano essere state risolte nel testo approvato ieri”.  

A cosa fai riferimento, in particolare?

Uno dei problemi riscontrati era il mancato intervento sui settori di attività delle cooperative sociali, che rischiavano di rimanere confinate al perimetro del 1991; la formulazione definitiva invece specifica che le cooperative sociali possono occuparsi anche di servizi sanitari, di educazione, formazione professionale, istruzione e possono offrire servizi finalizzati al reinserimento delle persone svantaggiate nel mondo del lavoro. Si tratta, nei fatti, di attività non nuove per le cooperative sociali che queste cose le stavano già facendo, ma spesso in un regime dubbio laddove si fosse optato per una lettura restrittiva della 381/1991. E tutto ciò portava a effetti paradossali; si pensi ad esempio al lavoro nel campo della salute mentale, dove le cooperative sociali hanno scritto pezzi fondamentali della storia che ha portato alla deistituzionalizzazione dopo la legge Basaglia; bene, gli interventi sulla salute mentale sono inquadrati come “sanitari” e questo poteva portare a perplessità laddove si ritenesse che il confine operativo delle cooperative sociali fosse limitato all’ambito socio sanitario. E lo stesso si può dire per molti servizi formativi o finalizzati a favorire l’accesso al mondo del lavoro, anch’esso comuni tra le cooperative sociali.  

Ciò è senz’altro vero, ma altri settori restano esclusi quali l’ambiente, la cultura, il patrimonio artistico, ecc.; pensi si potesse fare di più?

Io ritengo che quella del decreto sia la scelta giusta; come cooperazione sociale nasciamo con una vocazione originaria che non va tradita; non si tratta di cambiare o ampliare l’ambito di attività delle cooperative sociali, ma di leggere in modo più moderno e inclusivo ciò che le cooperative sociali in realtà sono e questo è quello che il decreto fa.  

Vi sono altri aspetti importanti che ritieni opportuno rimarcare rispetto a questo decreto?

La legge chiarisce che l’impresa sociale con socio unico non è concepibile e questo è positivo, aspetto trascurato nella precedente stesura. L’impresa è sociale anche per quello che è e non solo per quello che fa e un’impresa sociale di un imprenditore singolo non può avere la dimensione collettiva e inclusiva.  

Quale potrebbe essere l’effetto di questo decreto?

In primo luogo auspico che aiuti l’emersione delle attività di tipo imprenditoriale che oggi sono svolte all’interno del terzo settore, ma senza assumere la forma di impresa sociale; sarebbe un contributo prezioso sia alla trasparenza del settore che per l’evoluzione del mercato.  

In che modo pensi che il mercato potrebbe evolvere?

Spesso in questi anni si è sentito dire: “non possiamo affidare al mercato il welfare o la cultura”; queste affermazioni, figlie di una situazione in cui da una parte vi è lo stato e dall’altra il mercato, potrebbero essere superate laddove, grazie alla diffusione di imprese sociali, si determinasse un mercato più etico sociale e inclusivo. Credo che non sia solo il mercato a condizionare le caratteristiche delle imprese, ma che la presenza e la diffusione di soggetti imprenditoriali diversi potrebbe contribuire in modo significativo a far evolvere il mercato.

 

E rispetto al Codice del terzo settore, oggetto di un altro decreto, quali sono le tue impressioni?

Si tratta di un testo complesso che sarà necessario esaminare con più calma. Anche in questo caso è positivo il fatto che la riforma sia arrivata in porto, anche se con ambizioni ridotte rispetto ai propositi iniziali; per onestà vi è da dire che su questo, sulla possibilità di riforme più radicali e coraggiose, la responsabilità va condivisa tra istituzioni e soggetti di terzo settore. Il clima non facile di questi anni non ha aiutato a fare una riforma più ampia. In ogni caso anche in questa occasioni dobbiamo constatare che il nostro Paese mostra delle resistenze al cambiamento, pur se in ogni caso si fanno passi avanti.

 

Uno dei passi avanti che riscontri nel Codice?

Penso potrà aiutare a introdurre chiarezza in un mondo associativo dove numericamente prevalgono associazioni non giuridicamente riconosciute; ora si semplificano le procedure di riconoscimento e spero che questo contribuisca a fare emergere una parte rilevante di queste forme di terzo settore.   Questa intervista è stata pubblicata anche sul sito ideeinrete.