La discussione sugli effetti letali dovuti all’epidemia da coronavirus si è ultimamente molto accesa con opinioni anche contrastanti troppo spesso immagini di opinioni catastrofiste o riduzioniste; per questa ragione forse è opportuno riportare il discorso su alcuni punti basilari certi.
La registrazione dei decessi
Tra i tanti eventi che riguardano il settore della sanità certamente l’evento decesso è forse quello che ha la maggior completezza nei dati. L’evento morte è un evento che difficilmente può sfuggire anche negli aspetti della data, del luogo, e delle principale caratteristiche del defunto. Il decesso ha implicazioni affettive, giuridiche, economiche tali che praticamente tutti i database che registrano degli individui vengono aggiornati, più o meno tempestivamente, dalla comunicazione dei decessi. Per fare solo un esempio, l’ASL deve depennare il defunto dagli elenchi dei MMG, L’Inps da quelli delle pensioni, ecc. Possiamo quindi dire che l’evento morte non sfugge praticamente mai e viene notificato celermente. Diversi però sono i tempi di registrazione e di inserimento nei vari database; si spera che la non ancora completata anagrafe nazionale possa praticamente fornire in diretta le statistiche di mortalità che l’Istat oggi pubblica con un ritardo talvolta superiore a quello che aveva quando tutto funzionava solo su carta e per posta.
La classificazione delle cause di decesso
Se l’evento decesso è di sicura notifica, la sua “causa” invece non lo è altrettanto. Diverso è il modo con cui viene rilevata in ambito ospedaliero, a cura degli uffici spedalità, ovvero a casa, o addirittura in luogo pubblico perché in tal caso la compilazione vien fatta da parte di un medico curante e/o da un medico necroscopo che in ogni caso dovrebbe sempre validare il contenuto della denuncia di morte.
Le regole WHO sulle cause di decesso distinguono la causa iniziale, intermedia e finale e le concause; la classificazione attuale è alla sua decima versione (ICD10) e può ad esempio esser trovata sul “Portale italiano delle classificazioni sanitarie”.
Si discute molto, spesso senza le necessarie conoscenze, sulla distinzione tra “morto per Covid-19” e “morto con Covid-19”; questa distinzione ha poco senso dato che potremmo parlare di “morte con Covid-19” solo nel caso in cui la morte ci sarebbe stata negli stessi giorni anche senza l’infezione da Covid: in ogni altro caso, sia come causa sia come concausa la responsabilità è del virus. Se il virus non entra nella catena causale del decesso, come per la morte di un soggetto positivo al Covid ma morto per incidente stradale, solo allora avrebbe senso parlare di “morto con Covid-19”.
Una questione diversa sono i decessi che possono essere attribuiti non direttamente e clinicamente al virus bensì a situazioni createsi in conseguenza dell’epidemia. Un esempio può essere il paziente con una emergenza cardiaca che non ha potuto essere assistito o il paziente oncologico che non è stato tempestivamente diagnosticato, ecc. Anche costoro sono deceduti per colpa dell’epidemia ma non sono considerati morti per Covid-19.
Le norme di classificazione di un decesso Covid-19 sono state pubblicate dall’Iss, dal Ministero della Salute e dall’Istat.
Si rimanda a queste pubblicazioni l’approfondimento della definizione e della classificazione di un decesso Covid-19 anticipando che non dovrebbero esserci problemi di interpretazioni equivoche, ma purtroppo non sempre queste norme vengono rispettate diligentemente da tutti.
Gli indici di mortalità
Un primo indice di mortalità può considerarsi la frequenza assoluta: il 28 gennaio le statistiche riportano 87.381 decessi in Italia, 573.296 in Europa e 2.191.078 nel mondo. Questo valore ci dà però solo la dimensione del fenomeno e non certo la sua intensità. Quando ad esempio i media dicono che la Lombardia è la Regione con più decessi del giorno per Covid-19, ad esempio 88 il 28 gennaio, non permettono di capire se la situazione sia più grave in Lombardia o altrove; il motivo principale di questo primato è infatti solo l’ampiezza demografica della Lombardia che da sola ha un sesto della popolazione Italiana.
Tutti gli altri indici di mortalità sono dei quozienti che assumono la frequenza di decessi al numeratore e considerano invece diversi denominatori. L’indice di mortalità proporzionale per causa, ad esempio, calcola il rapporto tra i decessi per una determinata causa ed il totale dei decessi nello stesso periodo di tempo. Il dato Istat, ad esempio, riporta che nel 2020 dal 1° gennaio al 30 novembre in totale sono morte 664.623 persone mentre la Protezione Civile segnala come morti da Covid-19 alla stessa data 55.576. La proporzione di decessi da Covid-19 è allora dell’8,36%, oppure si può dire che per ogni decesso da Covid ce ne sono altri undici per tutte le altre cause.
La Probabilità di morte invece si calcola come rapporto tra i morti in un definito periodo di tempo e i vivi all’inizio del periodo stesso. Con i dati a disposizione questo calcolo esatto non lo si può effettuare perché non si sa quanti deceduti non fossero presenti all’inizio del periodo o perchè non ancora nati o perchè immigrati successivamente in Italia, e non si sa neppure quanti siano deceduti tra coloro che invece sono emigrati. La probabilità di morte, però, è stimata sufficientemente bene dal calcolo del tasso di mortalità come rapporto tra i morti in un periodo ed il numero medio dei vivi nello stesso periodo, per lo più assunto, nel caso di tasso annuale, come semisomma dei vivi al 1° gennaio ed al 31 dicembre. Ci sono diverse stime della popolazione media nel 2021 ma non crediamo di sbagliare di molto considerandola pari a 60,4 milioni, e dato che i morti ufficiali da covid al 31 dicembre (pubblicati dalla P.C. il 1° gennaio) sono stati 74.621 allora il tasso annuale risulterà pari a 1,24 morti ogni mille abitanti. Questo è chiamato tasso grezzo annuale italiano mentre si possono calcolare, avendone a disposizione i relativi dati, i tassi per periodi più brevi, per aree più ristrette, e tassi specifici per genere, per classi di età o per altre caratteristiche della popolazione.
Un altro indice molto importante è invece l’indice di letalità che calcola quanti soggetti che si sono ammalati per una certa patologia sono morti entro un determinato periodo dopo aver contratto la malattia stessa. Se volessimo calcolare la letalità complessiva in Italia per Covid-19 al 28 gennaio dividendo gli 87.381 decessi per i 2.515.507 casi trovati positivi, avremmo un valore di 3,47 che però sottostima la letalità perchè ovviamente coloro che sono stati diagnosticati il 28 gennaio sono tutti vivi e coloro che moriranno lo faranno nei giorni successivi e non si sa ancora quanti saranno.
Si può ovviare a questo problema considerando, come indicato da alcune analisi puntuali, che la latenza media tra certificazione di positività e certificazione di decesso si aggira sui 14 giorni. Allora dividendo il numero totale dei decessi al 28 gennaio per i casi totali al 14 gennaio, che sono stati 2.336.279, la letalità risulta pari al 3,74%.
Ma come si legge la letalità?
Si deve innanzitutto distinguere due concetti: il CFR (Case Fatality Ratio) e l’IFR (Infect Fatality Ratio). La letalità “vera” è misurata dall’IFR che rapporta i deceduti per una patologia infettiva a tutti coloro che si sono infettati con l’agente che determina quella patologia. Il CFR, invece, utilizza come denominatore i soli “casi” e cioè i soli malati che sono stati diagnosticati per quella patologia specifica.
Se andiamo a misurare la letalità dal 15 marzo al 15 aprile 2020 dividendo per ogni giorno i decessi con i casi che sono risultati positivi 14 giorni prima, abbiamo come risultato il grafico di figura 1.
Una letalità “disastrosa” tra il 20% ed il 30% dei casi trovati positivi al Covid-19. Ma la spiegazione di questo valore esagerato, spaventoso, non si trova nel numeratore bensì nel denominatore: i “casi” allora erano definiti secondo le indicazioni ministeriali come malati con sintomi gravi che presentandosi negli ospedali risultavano essere positivi al test molecolare. E in effetti se si analizzano i dati dei decessi con la stessa modalità dal 15 agosto in poi (riferendoli sempre ai positivi diagnosticati 14 giorni prima) il risultato è molto diverso come si vede in figura 2.
Sino al 10 ottobre la letalità risultava essere inferiore al 2%, poi è risalita al 3% nella seconda metà di ottobre per ridiscendere al 2% in novembre e risalire al 3% in dicembre con un picco che ha sfiorato il 4% nei primi giorni di gennaio 2021.
A cosa sono dovute queste variazioni? Non avendo i dati individuali è difficile dare spiegazioni certe, ma si può ipotizzare che dipendano innanzitutto dal numero di asintomatici diagosticati sul totale degli asintomatici realmente esistenti e forse anche dall’età dei deceduti che sembra sia cresciuta quando i contagi si sono sviluppati in ambito familiare e, come da fine anno, coinvolgendo nelle feste pure i nonni e i parenti più anziani; infine un triste contributo alla mortalità lo hanno portato le RSA. Personalmente non ritengo che le variazioni siano dovute ad una maggior aggressività del virus e neppurer ad una minor efficacia delle cure, soprattutto quelle somministrate nerlle terapie intensive.
Ma la letalità è omogena tra Regioni?
I fattori che rendono variabile nel tempo la letalità in Italia sono anche probabilmente gli stessi che creano le differenze tra Regioni.
In figura 3 sono inseriti appaiati i valori della letalità, calcolata come rapporto percentuale dei deceduti nell’ultimo mese, dal 29 dicembre 2020 al 28 gennaio 2021, e quelli della mortalità, come incidenza dei casi positivi per 10.000 abitanti diagnosticati dal 14 dicembre 2020 al 14 gennaio 2021.
Si veda in particolare nel Friuli e in Veneto come la mortalità abbia proporzionalmente valori più elevati della letalità, a differenze di quanto mostrato da molte altre Regioni. Questo può essere spiegato da un numero di decessi elevato cui corrisponde invece una letalità inferiore perché i soggetti positivi, probabilmente soprattutto gli asintomatici, sono stati maggiormente diagnosticati grazie ad un numero elevato di test. Altre situazioni come la elevata letalità della Liguria potrebbe essere spiegata anche dalla maggior età media della poipolazione. Comunque sarebbe molto difficile dare una esauriente spiegazione delle diversità senza analizzare i dati individuali che non sono a noi disponibili, e senza sapere quali strategie siano state adottate nelle varie Regioni per individuare i casi positivi.
Ma in Italia si muore di più che altrove?
Questa domanda è stata posta numerose volte a diversi esperti, epidemiologi, virologi, demografi.
Io ritengo che il confronto tra paesi stranieri differenti sia corretto farlo solo confrontando gli incrementi dei tassi di mortalità generale, standardizzati per età e genere, tra i mesi dell’epidemia e gli stessi mesi degli anni precedenti, e non sui tassi di mortalità per causa Covid-19.
Non credo sia possibile confrontare le letalità da Covid-19 perchè troppi sono i fattori che infuiscono nel determinarne il valore: i decessi sono classificati in modo omogeneo? I positivi sono individuati in proporzioni simili? E comunque è quasi impossibile spiegare se le diversità siano dovute ad una diversa suscettibilità della popolazione, a una minor efficacia delle cure o a una maggior pericolosità del virus o di una sua variante.
Certamente alcune fonti che afferrmano che la letalità da Covid-19 debba aggirarsi tra lo 0,5% e l’1 % lasciano un po’ perplessi, anche se in questo caso ci si riferisce a stime dell’IFR e non del CFR. Dovremmo in questo caso pensare o che in Italia vi siano molti più soggetti suscettibili per età o per condizioni di fragilità, o che il servizio sanitario sia meno efficace che altrove, ovvero che i soggetti realmente positivi siano almeno tre volte quelli che riusciamo quotidianamente a diagnosticare.
Molte spiegazioni delle spiegazioni che circolano sembrano più motivate dal desiderio di denigrare o di difendere il Governo che non di voler realmente trovare una spiegazione scientificamente fondata.
Saranno certamente delle analisi e delle ricerche future che sapranno darci qualche elemento in più ma almeno speriamo che la campagna di vaccinazione, se non farà magari diminuire presto il numero di contagiati, almeno riesca a ridurre il numero dei morti dato che questi avvengono prevalentemente proprio nelle classsi di età per le quali vi è una precedenza nella somministrazione dei vaccini.
L’Associazione Italiana di Epidemiologia, attraverso il contributo volontario di tre suoi soci, ha messo a disposizione, in collaborazione con la propria rivista Epidemiologia e Prevenzione e con il sito Scienza in Rete di Zadig, uno strumento aperto a tutti che ogni sera aggiorna i propri dati su quelli trasmessi dalla Protezione Civile e può essere interrogato con una serie di pagine che lasciano molta libertà di opzione all’utente. Vedi qui la presentazione completa del sistema MADE.
Articolo che dà tutti i fatti in modo rigoroso, chiaro ed esauriente.Complimenti.
ARTICOLO MOLTO INTERESSANTE.