Reddito di Cittadinanza: apprendimenti utili per la nuova misura


Eleonora Gnan | 9 Settembre 2024

Il Reddito di Cittadinanza (RdC), la misura di contrasto alla povertà vigente in Italia fino al 31 dicembre 2023, è ormai da alcuni mesi stato sostituito dall’Assegno di Inclusione (AdI) e dal Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL), ai sensi del Decreto Lavoro 48/2023. Quali utili apprendimenti per il futuro derivano dalla valutazione della misura? Quale impatto sulla platea dei nuclei e delle persone in condizioni di povertà assoluta? Quale ruolo giocato dai percorsi di attivazione lavorativa ed inclusione sociale? E in generale, quali nodi, punti di attenzione e raccomandazioni in vista dell’attuazione delle nuove misure di contrasto? Alcuni utili spunti di riflessione arrivano dalla Seconda Relazione del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza relativa all’intero periodo di vigenza della misura (1° aprile 2019-31 dicembre 2023).

Quanti e quali beneficiari

Secondo i dati dell’Osservatorio INPS sul Reddito di Cittadinanza, nel corso degli oltre quattro anni di vigenza della misura, sono circa 2,4 milioni i nuclei familiari ad aver percepito almeno una mensilità del beneficio, per un totale di 5,3 milioni di persone. Il numero di beneficiari ha registrato un particolare incremento nel corso del 2020 (+42,4% rispetto al 2019) e un ulteriore aumento nel 2021 (+12,3% rispetto all’anno precedente). Tuttavia, sulla base delle stime effettuate da ISTAT, solo il 38% delle famiglie in condizioni di povertà assoluta ha beneficiato del RdC, percentuale corrispondente alla quota massima registrata nel corso del 2021 sull’intero periodo di riferimento considerato. Tale dato evidenzia l’esclusione dalla misura di un numero estremamente rilevante di famiglie indigenti e il contemporaneo accesso al sostegno da parte di una consistente quota di beneficiari che non riscontra le condizioni di povertà assoluta definite da ISTAT. Le modalità di classificazione da parte di ISTAT delle persone in condizioni di povertà assoluta1 diverse rispetto ai requisiti reddituali e patrimoniali previsti dalla normativa per accedere al beneficio producono un’elevata selettività, in particolare per alcuni gruppi di popolazione. Tale tendenza è collegata ad alcuni specifici elementi, quali i requisiti stringenti relativi agli anni di residenza per le famiglie straniere, la soglia di reddito ISEE che non tiene conto delle differenze territoriali relative al costo della vita e la scala di equivalenza per la selezione dei percettori e l’individuazione dell’ammontare del beneficio non equiparabile a quella implicita dei panieri di spesa utilizzata da ISTAT per valutare l’impatto dei carichi familiari. Ne deriva quindi, tra i beneficiari di RdC, una sotto-rappresentazione delle famiglie numerose e/o con figli minori e dei nuclei composti da stranieri, a favore di una sovra-rappresentazione di nuclei unipersonali o composti da persone adulte e di famiglie residenti nel Mezzogiorno.  La bassa capacità del RdC di coinvolgere quote significative di persone e famiglie in condizioni di povertà assoluta è confermata anche a livello internazionale dalle stime di EUROMOD, che affermano come l’Italia, pur prevedendo un elevato importo dell’integrazione al reddito in relazione alla soglia di povertà, presenti livelli di copertura del numero delle persone povere inferiori alla media europea.

Nonostante tali criticità, sempre ISTAT sottolinea come il RdC, nel corso del biennio 2020-2021, abbia consentito la fuoriuscita di circa 450 mila famiglie dalla condizione di povertà assoluta (dato che scende a 300 mila durante il 2022) contribuendo – insieme ad altre misure statali2 – a ridurre dello 0,8% l’indice delle disuguaglianze e dell’1,8% il rischio di povertà. Nel 2023, in seguito agli effetti della ripresa economica e occupazionale, si registra una diminuzione delle domande di RdC accolte, pari a 1,3 milioni (contro 1,7 milioni del 2021). Tuttavia, l’aumento delle persone povere registrato da ISTAT nel corso del 20223 per effetto dell’inflazione sui consumi delle famiglie con bassi redditi riduce notevolmente l’impatto della misura sui nuclei indigenti.  

Quali percorsi di inclusione attivati

Il RdC ha ereditato dal precedente Reddito di Inclusione (REI) il principio dell’inclusione attiva, che affianca all’erogazione del beneficio economico un progetto personalizzato di inserimento lavorativo o di inclusione sociale. Tuttavia, negli anni di implementazione del RdC, sia le misure di politica attiva per il lavoro che quelle per l’inclusione sociale risultano limitate, da un lato, dalla debolezza dei servizi dedicati, e dall’altro, dall’interruzione delle attività in seguito alla pandemia, con la conseguenza che l’attuazione di tali politiche permane molto distante dagli obiettivi annunciati.

Nel corso del triennio 2020-2022, oltre 2 milioni di percettori di RdC in età lavorativa sono stati inviati ai Centri per l’impiego, mentre circa la metà delle famiglie beneficiarie sono state indirizzate ai Servizi sociali dei Comuni. Tra questi ultimi vi sono adulti indirizzati anche ai Centri per l’impiego, la cui incidenza è cresciuta esponenzialmente nel corso del 2022, salendo dal 10% dell’anno precedente al 18%. In termini assoluti si tratta di quasi 130 mila adulti su un totale di oltre 735 mila nuclei familiari indirizzati ai Servizi sociali.

A fine gennaio 2023, il 40% delle famiglie beneficiare indirizzate ai Servizi sociali risulta inserito in un percorso di presa in carico in seguito al completamento dell’Analisi preliminare, e di questi solo il 23% ha sottoscritto un Patto per l’Inclusione Sociale (PaIS). Sul totale dei PaIS sottoscritti, circa l’80% non prevede particolari sostegni per i beneficiari. Dalle attività di valutazione e presa in carico svolta dai Servizi sociali emerge come i bisogni delle famiglie beneficiarie siano multidimensionali e relativi non solo a difficoltà di natura economica, ma anche a problematiche di tipo sanitario, abitativo, sociale e lavorativo. Spesso patologie croniche gravi, problemi psicologici e psichiatrici, condizioni abitative precarie, difficoltà relazionali e assenza di reti sociali di supporto si sommano a condizioni occupazionali fortemente precarie o all’assenza totale di lavoro.

Per quanto attiene i percorsi di inclusione sociale, la presa in carico dei beneficiari ha faticato ad andare a regime a causa di una pluralità di fattori attinenti soprattutto all’organizzazione dei servizi stessi, quali la scarsità di operatori rispetto al numero di beneficiari4 e l’elevato turn over delle figure professionali coinvolte, l’insufficienza di strumenti e spazi adeguati per i colloqui, la mancata interoperabilità tra le piattaforme informatiche per lo scambio di dati e informazioni tra servizi, e la scarsa conoscenza degli obiettivi di inclusione da parte dei beneficiari a fronte di una comunicazione mediatica sbilanciata sull’inserimento lavorativo.  

Quali apprendimenti e raccomandazioni

In vista della messa a terra delle nuove misure nazionali di contrasto alla povertà, la Relazione del Comitato scientifico dedica un’ampia sezione alle raccomandazioni, partendo dall’analisi dei nodi critici e degli apprendimenti derivati dall’esperienza del Reddito di Cittadinanza. Le raccomandazioni si riferiscono a quattro macro-temi: i criteri di selezione dei beneficiari, la governance delle misure, le politiche attive per l’inclusione sociale e le politiche attive per il lavoro.

Una questione particolarmente spinosa riguarda le modalità di selezione dei beneficiari in quanto i criteri di selezione dei percettori introdotti dal nuovo Assegno di Inclusione5 risolvono solo parzialmente il problema dell’esclusione di ampie fette della popolazione registrati con il RdC, favorendo sì una maggiore partecipazione delle famiglie numerose e con soggetti fragili e dei nuclei composti da stranieri, limitando però al contempo l’accesso al beneficio alle sole famiglie con minori, anziani ultra 60enni e persone con disabilità, nonché ai soggetti in condizioni cosiddette “di svantaggio”. Tra le raccomandazioni del Comitato scientifico relative ai criteri di selezione dei beneficiari e per il calcolo delle integrazioni vi sono:

  • Adeguare all’evoluzione dell’inflazione il valore della soglia del reddito familiare ISEE per la partecipazione alle misure, attualmente di 6.000 euro moltiplicati per la scala di equivalenza, in modo da tutelare i percettori rispetto all’andamento dei prezzi;
  • Definire i nuclei fragili, identificati nelle tipologie di persone eleggibili nella scala di equivalenza, considerando le specifiche condizioni di disagio e i nuovi fabbisogni di intervento emergenti dalla valutazione multidimensionale della famiglia;
  • Promuovere, da parte delle amministrazioni competenti, un’adeguata e reciproca conoscenza degli interventi integrativi attivati, costruendo una sorta di anagrafe che permetta di monitorare le prestazioni e valutare sia l’entità della spesa che l’efficacia del complesso delle misure;
  • Incrementare i livelli di accesso delle famiglie alle nuove misure attraverso la promozione di momenti di partecipazione attiva con Patronati, CAF e Terzo settore, così da mettere in luce le criticità, facilitare la partecipazione e concorrere al potenziamento dei servizi.

Le criticità rilevate nel corso dell’attuazione del RdC e la particolare attenzione che l’AdI rivolge ai soggetti fragili e in condizioni di svantaggio, pone la luce sulla necessità di promuovere “uno sforzo organizzativo per garantire a tutti i beneficiari l’accesso alle misure personalizzate”, agendo sia da un punto di vista logistico che da una prospettiva conoscitiva. Tra le raccomandazioni del Comitato scientifico relative alle politiche attive per l’inclusione sociale vi sono:

  • Individuare criteri di priorità per l’accesso ai Servizi sociali che diano precedenza alle situazioni per le quali la presa in carico può produrre un impatto più positivo sulle condizioni delle famiglie interessate;
  • Dar vita a robusti pacchetti di intervento per chi sottoscrive il PaIS, ampliando l’offerta sui territori e incrementando la conoscenza del contesto da parte degli operatori anche attraverso la realizzazione di cataloghi d’offerta e mappature di esperienze;
  • Potenziare gli Ambiti Territoriali Sociali, focalizzandosi sulla promozione della gestione associata dei servizi da parte dei Comuni così da poter utilizzare in modo più efficiente le risorse economiche disponibili, e sul rafforzamento del personale operativo e amministrativo;
  • Promuovere il coinvolgimento del Terzo settore – attraverso gli istituti della co-programmazione e co-progettazione – per la valutazione dei fabbisogni, il rafforzamento dell’erogazione di servizi personalizzati e la diffusione dei Progetti Utili alla Collettività (PUC);
  • Migliorare le modalità di funzionamento, organizzative e gestionali dei PUC, dando centralità al loro ruolo nel potenziamento dei percorsi di attivazione e inclusione dei beneficiari e nell’inserimento (anche occupazionale) dei percettori in età lavorativa in risposta a bisogni sociali.

Il tema del potenziamento dei PUC risulta centrale anche nell’ottica di una migliore promozione delle politiche attive per il lavoro, partendo dal presupposto che possa essere utile focalizzare il ricorso a tali strumenti soprattutto per quei “bacini di utenza” più fragili, come ad esempio i lavoratori più in là con gli anni, che presentano maggiori difficoltà di re-inserimento lavorativo e necessitano di recuperare la propria autostima.

Infine, il Comitato scientifico rileva come insufficiente l’attenzione data dal RdC alle questioni attinenti alla governance dell’assetto istituzionale, e in particolare la debolezza delle indicazioni volte ad assicurare sul territorio nazionale un’effettiva unitarietà dei meccanismi operativi. Allo stesso tempo emerge una carenza quantitativa e qualitativa di risorse umane sia sul versante delle politiche attive per il lavoro che su quelle per l’inclusione sociale. Un altro tema riguarda la condivisione delle informazioni tra gli attori istituzionali e gli stakeholder impegnati nell’attuazione delle misure di contrasto alla povertà, e la presenza di una mole di dati e strumenti di monitoraggio da valorizzare per incrementare la quantità e migliorare la quantità dei servizi erogati. Tra raccomandazioni vi sono:

  • Prevedere nell’ambito del Programma nazionale per il contrasto della povertà una specifica linea di intervento rivolta a sostenere le esperienze di co-programmazione e co-progettazione con il Terzo settore nella realizzazione di interventi di politica attiva del lavoro e di inclusione sociale;
  • Rafforzare le piattaforme nazionali per la condivisione delle informazioni e degli interventi, in particolare per far evolvere il match tra domanda e offerta di lavoro e sviluppare l’Anagrafe delle prestazioni assistenziali;
  • Potenziare le politiche del personale dei servizi per il lavoro e socio-assistenziali, anche attraverso il concorso di Regioni, Enti locali e Università.

Da tali punti di attenzione emerge l’importanza che le nuove misure di contrasto alla povertà adottino – anche in risposta alle sollecitazioni contenute nella Raccomandazione del Consiglio Europeo del 30 gennaio 2023 relativa a “un adeguato reddito minimo di inclusione che garantisca l’inclusione attiva” – un approccio quanto più possibile integrato, sostenendo misure di politica attiva in grado di tener conto dei reali bisogni delle persone e valorizzando sistemi di governance efficaci e inclusivi.   

La strada è ancora lunga e a tratti impervia, ma l’esperienza è preziosa e l’equipaggiamento fornito.  

  1. Per approfondimenti sulle metodologie di calcolo della povertà si veda: Siza R., La povertà assoluta: tra recenti revisioni e nuove prospettive di indagine, Welforum, 19 febbraio 2024.
  2. Reddito di Emergenza, Assegno Unico Universale per i figli a carico, indennità una tantum, bonus bollette.
  3. Si veda anche: Mesini D., Gnan E., Crescono povertà e diseguaglianze, Welforum, 25 marzo 2024.
  4. A tal proposito, la Legge di Bilancio 2021 ha stanziato importanti risorse per il rafforzamento del Servizio sociale al fine di garantire il raggiungimento dell’obiettivo pari al rapporto di 1 assistente sociale ogni 5.000 abitanti e a un ulteriore obiettivo definito da un operatore ogni 4.000 cittadini.
  5. A titolo di esempio: il requisito di residenza per le famiglie straniere scende da 10 a 5 anni, il contributo nazionale diventa cumulabile con i contributi regionali e con i sostegni definiti nell’ambito dei progetti personalizzati, nonché con l’Assegno Unico Universale per i figli a carico.