Progresso sociale: Italia batte Stati Uniti. E Portogallo batte Italia. Non è il risultato di un campionato di calcio, ma di un campionato più importante. È il risultato che si ottiene se si guarda all’Indice di Progresso Sociale dei tre Paesi. È un indice che è stato pubblicato due settimane fa e che viene pubblicato ogni anno a partire dal 2013. Se si guarda invece al Reddito pro-capite il risultato è esattamente opposto: Stati Uniti batte Italia, Italia batte Portogallo.
Qual è il problema?
Da anni economisti di peso insistono nel suggerire che è necessario smettere di considerare il livello di reddito (il famoso PIL – prodotto interno lordo) come l’indicatore supremo del benessere economico/sociale di un Paese. Non si tratta ovviamente di ignorarlo. Ma di tenere conto dei limiti di quell’indicatore e di accompagnarlo da (e talvolta sostituirlo con) altri indicatori altrettanto o forse più significativi, che misurino effettivamente gli indicatori di benessere dei vari Paesi. Amartya Sen, Douglass North e Joseph Stiglitz, tre premi Nobel dell’ultima decade del secolo scorso, sono stati forse i proponenti più perspicaci di questo suggerimento.
Sulla stregua delle loro indicazioni, il primo “indice di progresso sociale”, è stato pubblicato nel 2013, redatto per 50 Paesi. Già l’anno successivo era redatto per 133 Paesi, mentre la versione del 2020 è ora applicata a 163 Paesi. Fin dalle origini la guida del gruppo di studiosi che redige l’Indice di progresso sociale (Social Progress Index – d’ora in poi SPI) è stata assunta da Michael Porter, direttore dell’Istituto per Strategie e Concorrenza della Harvard Business School e da Scott Stern, che presiede il Gruppo per l’Innovazione Tecnologica ed il Management Strategico alla Business Schol del Massachusetts Institute of Technology. In ogni Paese esiste un corrispondente responsabile per la messa a punto degli indicatori di progresso sociale di quel Paese. Per l’Italia il corrispondente è Enrico Giovannini, già Presidente Istat nel 2009-13, dopo essere stato Chief Statistician OCSE nel periodo 2001-9.
Deloitte e Skoll Foundation sono stati fin dall’inizio i partner strategici dell’iniziativa SPI, mentre Microsoft, Heron, Ford Foundation e Silicon Valley Community Foundation ne sono i major supporters, anche in termini finanziari.
Nonostante credenziali accademiche che sono, come si vede, di primissima fila, si parla pochissimo di questo indice. Per almeno due motivi. La misurazione del PIL è molto meno soggettiva rispetto alla misurazione dello SPI. Mentre il primo è la semplice somma del valore monetario di ciò che un Paese produce, il secondo è la somma ponderata di indicatori il cui valore non ha spesso valori di mercato: quanto vale la qualità dell’ambiente, quanto il livello di istruzione, quanto l’aspettativa di vita, quanto la presenza o l’assenza di fattori di insicurezza personale? Ecc. E sulla ponderazione dei singoli indicatori le opinioni possono ovviamente variare, anche di molto.
Senza essere troppo maligni, esiste un secondo motivo dello scarso rilievo attribuito alla misurazione dello SPI. Esso deriva dal fatto che proprio con riferimento agli Stati Uniti le due graduatorie danno un risultato molto diverso, assai più che in altri Paesi sviluppati. Il ranking degli Stati Uniti, elevato in termini di PIL è invece molto meno brillante in termini di SPI. E questa distanza non tende affatto a diminuire con il passare degli anni. Forse anche per questo tende ad essere rimossa non solo dalla cultura politica di quel Paese ma anche dalla sua cultura economica prevalente.
Un esempio per tutti. Negli Stati Uniti il prodotto di tutto ciò che ha come destinazione la salute dei propri cittadini ammonta al 17% del PIL, la quota più elevata al mondo. Ma negli Stati Uniti l’aspettativa media di vita (l’indicatore sintetico più adeguato per valutare il “rendimento” del prodotto sanitario), è nettamente più basso rispetto a quello di quasi tutti i Paesi europei, dove il “prodotto” sanitario è pari in media a poco più del 10 per cento del loro reddito. Il PIL americano somma un prodotto sanitario che in termini pro-capite è il più elevato al mondo. Lo SPI americano valuta invece il risultato di tale spesa in termini di obiettivi raggiunti, molto meno soddisfacenti. Non è difficile dire, almeno in questo caso, quale dei due indicatori è preferibile utilizzare.
Come è determinato l’indice di progresso sociale
In concreto, la graduatoria tra Paesi basata sullo SPI è ottenuta attraverso la sommatoria del valore di 52 indicatori, così ripartiti:
- Bisogni di base:
- Alimentazione e cure mediche di base (5 indicatori)
- Acqua e livello di igiene (3 indicatori)
- Abitazioni e loro dotazioni (3 indicatori)
- Sicurezza personale (4 indicatori)
- Livello di benessere:
- Accesso a istruzione di base (5 indicatori)
- Accesso a strumenti di informazione e comunicazione (4 indicatori)
- Condizioni di salute (4 indicatori)
- Qualità dell’ambiente (4 indicatori)
- Livello di opportunità
- Salvaguardia dei diritti personali (5 indicatori)
- libertà di scelte personali (4 indicatori)
- Assenza di fattori di discriminazione (5 indicatori)
- Accesso a livelli avanzati di istruzione (4 indicatori)
Il livello medio mondiale di progresso per ogni raggruppamento di indicatori è molto disomogeneo: esso è ad esempio elevato per alimentazione e cure mediche di base (85%), intermedio per quanto riguarda l’accesso a strumenti educativi di base (75%), basso per le condizioni di salute (61%), molto basso per quanto riguarda l’assenza di discriminazioni (39%) e la qualità dell’ambiente (37%).
Le tavole presentate nell’allegato 2 e nell’allegato 3 riportano i risultati complessivi del calcolo dello SPI per 29 Paesi, cioè i principali Paesi del mondo e quasi tutti i Paesi europei.
Vi è una inevitabile correlazione tra il livello di benessere che si ipotizza sottostante al livello di reddito (che nello studio è sempre utilizzato nella versione “a parità di potere di acquisto”) e il livello di benessere calcolato in base allo SPI. Ma è una correlazione assai lasca.
Proprio per questo motivo è interessante vedere i casi nei quali la distanza tra il posizionamento di un Paese nella graduatoria basata sul PIL e il posizionamento in graduatoria segnalato dallo SPI è particolarmente elevata.
Saranno presi in considerazione solo i Paesi appartenenti all’Ocse, perché tra loro culturalmente ed economicamente più omogenei. Ma non si può non annotare en passant (occorre parlarne per esteso in altra sede) che le maggiori distanze tra le posizioni di Paesi nelle due graduatorie riguardano grandi e importanti Paesi come la Cina (68ª posizione nella graduatoria del PIL pro-capite contro 100ª posizione nella graduatoria per SPI), la Turchia (46ª per PIL contro 92ª per SPI), e l’Arabia Saudita (20ª per PIL contro 101ª per SPI).
Paesi Ocse con posizionamento nella graduatoria SPI marcatamente più elevato rispetto al posizionamento nella graduatoria PIL
Sono quattro i casi più eclatanti. Tre di questi riguardano Paesi non europei. Il caso europeo riguarda un piccolo Paese del Sud-Europa.
- Canada. Questo Paese è in 18° posizione nella graduatoria per PIL pro-capite e in 7ª posizioni (11 posizioni più in alto) nella graduatoria SPI. L’elevato posizionamento in graduatoria SPI è omogeneo per gran parte dei 52 indicatori. Le due eccezioni negative riguardano gli indicatori di qualità ambientale (36ª posizione) e l’utilizzo di tecnologie di comunicazione (16ª posizione).
- Giappone. Negli anni ’80 il Giappone era quasi su posizioni di vertice per quanto riguarda il livello di PIL pro-capite. Dopo circa 30 anni di relativa stagnazione economica il Giappone è ora sceso in 28ª posizione, appena al di sotto della posizione italiana. Ma anche durante questi anni il Giappone ha continuato a migliorare il suo posizionamento in classifica per quanto riguarda lo SPI, collocandosi oggi in 13ª posizione, 15 posizioni più avanti rispetto alla graduatoria per PIL pro-capite. Il Giappone è addirittura in posizione di avanguardia per livello di sicurezza personale e per condizioni sanitarie (è il Paese con la più elevata aspettativa di vita al mondo). I punti di relativa “debolezza” del Paese emergono dagli indicatori legati alla qualità dell’ambiente (35ª posizione), alla libertà di espressione (59ª posizione), alla discriminazione nei confronti delle donne (73ª posizione) e delle “minoranze sessuali” (58ª posizione).
- Corea. Questo Paese ha iniziato un percorso di sviluppo economico accelerato più tardi rispetto al Giappone, ma lo ha continuato anche nel periodo più recente tanto da collocarsi oggi in 26ª posizione per PIL pro-capite, di due posizioni più in alto rispetto al Giappone. La Corea è riuscita a farlo seguendo un percorso di miglioramento dei propri indici di progresso sociale ancora più marcato. Oggi la Corea si colloca infatti in 17ª posizione nella graduatoria SPI, nove posizioni più avanti rispetto al suo posizionamento nella graduatoria PIL. Come il Giappone, la Corea è in primissima posizione per quanto riguarda il livello di sicurezza personale e l’utilizzo di nuove tecnologie. Il maggior drawback del Paese sta nelle sue condizioni ambientali (80ª posizione), nel basso livello di alcuni diritti politici (64ª posizione) e, ancora una volta come il Giappone, in indici di inclusività non elevati per quanto riguarda la condizione delle donne (127ª posizione) e delle “minoranze” sessuali (52ª posizione).
- Infine un piccolo Paese europeo, il Portogallo. Altri Paesi Europei, quelli scandinavi in particolare, hanno una posizione di prima fila nella graduatoria SPI, sempre di vari punti superiore rispetto al posizionamento già elevato nella graduatoria del PIL pro-capite. Ma il Portogallo è il Paese OCSE che segna la distanza positiva più marcata tra posto in graduatoria del PIL pro-capite (36ª posizione, assai bassa per un Paese europeo) e posto in graduatoria SPI (17ª posizione, sei punti più avanti rispetto alla posizione italiana). Quasi tutti gli indicatori di sviluppo sociale in quel Paese sono allineati intorno al punteggio complessivo. Gli unici indicatori relativamente negativi riguardano l’accesso alla istruzione di base (59ª posizione) e istruzione avanzata (41ª posizione). Per contro il Portogallo si posiziona in modo quasi ottimale per le sue condizioni ambientali (5ª posizione).
Paesi OCSE con posizionamento nella graduatoria SPI marcatamene meno elevata rispetto al posizionamento nella graduatoria PIL pro-capite.
All’estremo opposto abbiamo tre casi assai importanti, di cui uno riguarda un Paese europeo (piccolo, anche in questo caso):
- Il caso più macroscopico riguarda gli Stati Uniti. Quel Paese è in 8ª posizione nella graduatoria mondiale del PIL pro-capite, ma si colloca 20 posizioni più in basso, in 28ª posizione, per quanto riguarda la graduatoria SPI: sono cinque posizioni più in basso rispetto all’Italia, undici rispetto al Portogallo. Gli Stati Uniti hanno un posizionamento in graduatoria quasi da terzo mondo per quanto concerne la sicurezza personale (57ª posizione), un indice basso relativo allo stato di salute (hanno una aspettativa di vita a 60 anni allineata a quella del Libano e del Costa Rica) e un livello particolarmente basso (119ª posizione) degli indici di qualità ambientale. Gli Stati Uniti hanno un posizionamento in graduatoria marcatamente positivo solo per quanto riguarda l’accesso ad istruzione superiore di qualità elevata.
- Ancor più eclatante, in termini relativi, è il caso di Singapore. Singapore si colloca il 2ª posizione al mondo nella graduatoria del PIL pro-capite ma scende addirittura in 31ª posizione per quanto riguarda la graduatoria SPI. Se da una parte quel Paese gode di un ottimo livello di sicurezza personale e di indicatori molto positivi per quanto riguarda il livello di salute, dall’altra ha un posizionamento scolastico mediocre (42ª posizione per la scuola di base e 30ª per i livelli più avanzati di istruzione), una cattiva condizione ambientale (95ª posizione), e indicatori assai negativi per quanto riguarda tutti i diritti personali (94ª posizione).
- E infine anche in questo caso un piccolo Paese europeo. L’Irlanda è il caso europeo opposto rispetto al Portogallo: si colloca in 4ª posizione nella graduatoria mondiale del PIL pro-capite (che si attesta su un livello più che doppio rispetto a quello italiano e quasi del 30% superiore rispetto a quello statunitense), ma si colloca “solo” al 12° posto per quanto riguarda la graduatoria SPI. L’Irlanda presenta un solo punto di eccellenza a livello mondiale: il rispetto delle minoranze (lo si capisce, essendo stata per secoli la povera “colonia di casa” dell’Inghilterra). Si colloca invece relativamente in basso (intorno alla 20ª posizione) per quanto riguarda tutti gli indicatori relativi alla salute, all’istruzione e all’uso di tecnologie di comunicazione.
L’Italia
E l’Italia? Il nostro Paese si colloca in coda a gran parte dei Paesi europei sia per quanto riguarda la posizione nella graduatoria PIL pro-capite (27ª posizione) che per quanto riguarda la graduatoria SPI (23ª posizione, comunque di quattro punti più in alto). Tuttavia la distanza tra Italia e gli altri maggiori Paesi europei in termine di SPI è relativamente contenuta: poco più di un punto rispetto a Spagna e Regno Unito, un punto e mezzo rispetto alla Francia, mentre vi è una distanza più ragguardevole con la Germania (3,2 punti) e l’Olanda (3,7 punti).
L’Italia risulta essere (allegato 4) il Paese del G7 che ha fatto di recente più progressi in termini di valore assoluto del suo SPI: ha guadagnato oltre 4 punti tra il 2011 ed il 2020, contro i 2,2 guadagnati dal Giappone, 1,7 dalla Francia, 1,2 dalla Germania e 0,6 del Regno Unito (gli Stati Uniti sono retrocessi di 0,7 punti nello stesso periodo). Se quando è avvenuto nell’ultimo decennio dovesse ripetersi nel prossimo, l’Italia si posizionerebbe nel 2030 sostanzialmente alla pari con i maggiori Paesi europei.
Gli indicatori più positivi per l’Italia (vedi allegato 5) sono: alimentazione e cure mediche di base (9ª posizione in graduatoria), condizioni di salute (6ª posizione), assenza di discriminazioni (13ª posizione). I punti di maggior debolezza: sicurezza personale (43ª posizione), accesso a istruzione di base (45ª posizione), libertà di scelte personali (46ª posizione). Per utilizzo di Internet l’Italia scende addirittura in 64ª posizione.