Riflessioni sulla legge delega sulla non autosufficienza

Criticità e proposte per i decreti delegati


Maurizio Motta | 26 Giugno 2023

L’autore presenta le riflessioni previste per il suo intervento al recente Seminario Welforum “La delega sulla non autosufficienza: a che punto siamo?” tenutosi a Milano il 21 giugno 2023.

 

Potenziare l’assistenza domiciliare

Per “curare a casa” davvero (come dice il PNRR) un non autosufficiente occorre:

  1. Certo, potenziare gli interventi sanitari a domicilio: infermieristici, diagnostici (come la radiologia domiciliare e i prelievi per esami), riabilitativi, e superare interventi del medico di medicina generale come operatore che lavora da solo.
  2. Ma soprattutto bisogna fornire molti più sostegni per la tutela negli atti della vita quotidiana (per andare a letto ed alzarsi, usare i servizi igienici, mangiare, vestirsi). È la mancanza di questi sostegni che oggi costringe a ricoveri indesiderati in RSA, o ad opporsi alle dimissioni dall’ospedale, o a portare per disperazione i non autosufficienti al Pronto Soccorso, o al crollo delle famiglie.

E (purtroppo) il PNRR finanzia soprattutto il potenziamento dell’ADI come è ora (infermieri a domicilio, a volte in alcune Regioni con poche ore di OSS).

La legge delega non contiene un impegno strategico per potenziare l’offerta di supporti domiciliari tutelari negli atti della vita quotidiana. Si limita a rinviare a fondi esistenti, e a prevedere “integrazione tra ADI e SAD (’art. 4, comma 2, lettera n), che non è un potenziamento. 

Come offrire assistenza domiciliare tutelare

Non solo con poche ore di OSS o con denaro alle famiglie (perché ci sono quelle che non riescono ad usarlo da sole). Occorre un’assistenza domiciliare che possa articolarsi in più modalità, da concordare con la famiglia per adattarle alla specifica situazione.

La legge delega non prevede nessun vincolo ad offrire questa gamma di possibilità. C’è solo: un obiettivo di “accesso al continuum di servizi” ( art. 3, comma 2, punto c.2)  e la previsione di un generico “budget di cura e assistenza” del quale non si descrive costruzione ed uso (’art. 4, comma 2, lettera l, punto 2).

L’assistenza domiciliare ai malati non autosufficienti deve includere ruoli e spesa del SSN

Qualunque famiglia od operatore sanitario sa bene che è inutile una buona assistenza sanitaria al domicilio senza sostegni del non autosufficiente nelle funzioni della vita quotidiana. Ma questi sostegni non possono essere a carico solo delle famiglie o dei servizi sociali dei Comuni; devono invece essere sotto titolarietà del SSN o almeno con una sua compartecipazione finanziaria, e per più ragioni:

  1. Perché già succede: i LEA vigenti già prevedono che la retta in RSA sia metà a carico del SSN; spesa che copre non solo e spese o  professioni sanitarie, ma tutte le prestazioni di tutela della vita in RSA (inclusi pasti, pulizie, etc). Dunque perché non deve accadere lo stesso nell’assistenza domiciliare prevedendo che se la stessa persona è assistita a casa la tutela sia in parte a carico del SSN? Ma entro i LEA (e non con risorse “extra LEA”). Non prevederlo implica che per le stesse tipologie di non autosufficienti il SSN di fatto incentiva solo il ricovero. È un criterio assurdo e irrazionale.
  2. Perché il SSN oggi spende circa 150 euro al giorno per un posto in case di cura post ospedaliere (per degenze che spesso sono solo “posteggi” in attesa di un posto in RSA o in assistenza domiciliare). E il SSN spende intorno ai 45 euro al giorno per la parte sanitaria della retta in RSA (il 50% del costo totale). Con spesa minore potrebbe coprire il 50% del costo di una robusta assistenza domiciliare tutelare. Non sarebbe un significativo risparmio interno allo stesso SSN?
  3. Perché dove questo è accaduto (con risorse anche del SSN negli interventi domiciliari tutelari) l’offerta ai non autosufficienti diventa più consistente. Garantire a un non autosufficiente poche ore settimanali di OSS al domicilio serve ad evitare il ricovero solo per le famiglie che possono aumentare queste ore con proprie risorse, ed è inutile per le altre che hanno meno risorse proprie.
  4. Perché i non autosufficienti sono tali perché malati o con esiti di patologie. Dunque è un’area sulla quale dovrebbe essere chiara la titolarietà del SSN, anche nella spesa e nel governare il sistema delle offerte.

E non basta invocare una generica “integrazione sociosanitaria” (come purtroppo fanno anche i vigenti LEA). L’integrazione sociosanitaria non deve essere l’attribuzione ai soli servizi sociali di tutta l’assistenza tutelare ai non autosufficienti, senza un ruolo del SSN.

Merita ricordare sul punto la recente ordinanza della Cassazione del 18 maggio 2023, che prevede che la retta per pazienti con Alzheimer in RSA sia tutta a carico del SSN, con queste motivazioni: se il trattamento richiede anche prestazioni socioassistenziali queste vanno interamente assorbite nelle prestazioni del Sistema sanitario pubblico perché ad esse sono strumentali, e l’intervento complessivo deve essere erogato a titolo gratuito.

Dunque se un Alzheimer in RSA è tutto a carico del SSN, quando è invece in tutela a casa non può nemmeno avere un PAI con il 50% a carico del SSN? Io lo trovo assurdo e intollerabile.

La legge delega non prevede questo ruolo del SSN, né una integrazione dei LEA, ma soltanto impegni sui LEPS. E’ solo prevista all’art. 2, comma 3, lettera b) una “armonizzazione dei LEPS con i LEA”, e all’art. 4, comma 2, lettera f) un coordinamento tra interventi sociali, sociosanitari e sanitari.

Ma se non si vuole prevedere il 50% dei costi del PAI tutelare a carico del SSN allora per coerenza tecnica e politica si elimini il 50% del SSN nelle rette in RSA, cioè si modifichino in peggio i LEA.

Più diritti esigibili per i non autosufficienti

Oggi molti territori utilizzano (specialmente per gli interventi per i non autosufficienti) il criterio di intervenire “solo se e quando ci sono risorse finanziarie”. Ossia un criterio di “diritti finanziariamente condizionati”, che pure la Corte Costituzionale ha invalidato in diverse leggi regionali. Perciò occorre proprio entro i LEA sociosanitari dare agli interventi natura di diritti davvero esigibili (interventi anche minimi, e non solo “un posto in lista d’attesa”). Ed è bene che ciò avvenga entro i LEA perché:

  1. è bene che i LEA restino il principale contenitore che regola il SSN, per non frantumare la normativa; e per il profilo giuridico costituzionale che hanno i diritti entro i LEA;
  2. perché i LEA vigenti sono deboli nel definire sia l’assistenza domiciliare per non autosufficienti, sia l’integrazione sociosanitaria: nel loro Dpcm ci si limita a prevedere che gli interventi del SSN ”…sono integrati da interventi sociali”, il che non spiega nulla.

La legge delega non prevede alcun rafforzamento dei LEA, né più diritti entro il SSN. Di fatto la legge poggia tutto sull’idea che gli interventi domiciliari mirati alla tutela negli atti della vita quotidiana debbano essere compito dei soli servizi sociali, o delle famiglie.

Qualche proposta sull’assistenza domiciliare

Che qui espongo come se fosse un testo da immettere nei decreti delegati:

“Il  piano per l’ assistenza domiciliare tutelare deve obbligatoriamente potersi articolare in più modalità possibili, da concordare con la famiglia per adattarle alla specifica situazione: assegni di cura per assumere lavoratori di fiducia da parte della famiglia (ma anche con supporti per reperirli e per gestire il rapporto di lavoro, ove la famiglia non sia in grado), contributi alla famiglia che assiste da sé, affidamento a volontari, buoni servizio per ricevere da fornitori accreditati assistenti familiari e pacchetti di altre prestazioni (pasti a domicilio, telesoccorso, ricoveri di sollievo, piccole manutenzioni, trasporti ed accompagnamenti), operatori pubblici (o di imprese affidatarie)”.

“Il piano di assistenza deriva dal budget di cura e assistenza, il quale è graduato per crescere all’aumentare del grado di non autosufficienza, ed è composto per il 50% da risorse del Servizio Sanitario Nazionale, indipendentemente dalla condizione economica del non autosufficiente, e per il 50% da risorse dell’utente o degli enti gestori dei servizi sociali quando egli non ha capacità economiche sufficienti. Tale budget viene trasformato nella retta per l’inserimento in strutture residenziali, oppure nella gamma di interventi di assistenza tutelare al domicilio per supportare il non autosufficiente negli atti della vita quotidiana”.

E così si estenderebbe all’assistenza domiciliare il dispositivo che da sempre è in opera nelle RSA, dove questo budget di cura già esiste ed è appunto la retta.

Il meccanismo migliore (e sperimentato) è: 1) la valutazione individua un grado di non autosufficienza crescente abbinato a un crescente budget di cura da usare, 2) si compone il budget di cura con 50% del SSN, 50% di utente e/o Comuni), 3) si trasforma  il budget nell’intervento che è più utile in quel momento, potendo modificarlo nel tempo. Che è ciò già accade per gli inserimenti in RSA

L’assistenza domiciliare ai malati non autosufficienti deve prevedere meccanismi di compartecipazione del cittadino analoghi alla residenzialità.

Due attenzioni:

  1. Il budget di cura per l’assistenza domiciliare (cioè la spesa dalla quale ricavare il piano di assistenza) deve essere costruito con lo stesso meccanismo di quello per l’assistenza residenziale, perché non deve esistere alcuna forma di “convenienza economica”, né per le famiglie né le amministrazioni, che influenzi la scelta tra le due forme/setting di cura, scelta che deve invece derivare soltanto dall’appropriatezza clinica e dalla preferenza dei cittadini.
  2. Inoltre, al contrario di cosa accade ora in norme nazionali e regionali, la valutazione della condizione economica non deve essere usata per determinare se si può o meno accedere alle prestazioni (perché l’accesso va previsto soltanto in base alle condizioni di non autosufficienza), ma unicamente per definire la successiva contribuzione al costo degli interventi che è a carico del cittadino. Altrimenti, come oggi, accade (con l’ISEE) che sia escluso anche solo dalla possibilità di accedere ad interventi un non autosufficiente perché è comproprietario di un terreno invendibile, o perché aveva 12 mesi prima dei risparmi che quando chiede l’intervento ha già speso per la sua assistenza. E peraltro l’ISEE è un pessimo misuratore della condizione economica, criticità della quale purtroppo nessuno si occupa.

La legge delega non prevede nulla su questi temi cruciali.

Una proposta

Che espongo come se fosse un testo da immettere nei decreti delegati (o nella programmazione regionale):

“La valutazione della condizione economica non deve essere usata per determinare l’accesso alle prestazioni e la loro fruibilità, ma unicamente per identificare la successiva contribuzione al costo degli interventi che è a carico del cittadino, e considerando le risorse delle quali effettivamente dispone in quel momento”.

Il primo accesso degli utenti non autosufficienti

La legge delega prevede (art. 4, comma 2, lettera i) che si semplifichi presso i PUA (Punti Unici di Accesso) l’accesso ai servizi.

Qualche proposta

Il tema del percorso di accesso (e dei PUA) è molto importante per utenti e famiglie: basti pensare alle loro difficoltà per “sapere dove andare a chiedere che cosa”, e nel peregrinare faticosamente tra più sportelli/servizi diversi. Ma sarebbe utile prevedere meglio:

  1. Chi gestisce i PUA. La legge delega ed Il Piano Nazionale Non Autosufficienza prevedono che abbiano sede o nelle “Case della comunità” (del SSN), o in altre sedi scelte dalla programmazione locale. E che l’accordo di programma tra ASL e Ambiti Sociali lo chiarisca. Dunque pare essere solo scelta regionale o locale definire bene “chi gestisce che cosa”. Ma questo può generare critici contenziosi.
  2. Obiettivi e strumenti dei PUA:
  • Nel loro primo accesso alle famiglie dei non autosufficienti interessa non solo sapere come arriveranno alla valutazione in UVG o agli interventi dell’ASL e dei servizi sociali, ma anche conoscere appena possibile tutto ciò che potrebbero chiedere ad altri enti/servizi pubblici. Contrariamente a quanto prevede la legge delega, il PUA dunque dovrebbe informare su “tutto ciò che i non autosufficienti potrebbero chiedere”, a qualunque Ente/servizio pubblico
  • E se il PUA vuole svolgere questa funzione deve essere dotato di strumenti, come un “catalogo informatizzato sempre aggiornato di tutti gli interventi per i non autosufficienti”. Strumento che non può crearsi ogni singolo PUA, ma deve essere fornito da una redazione dedicata (ad esempio dall’INPS con possibilità di integrazioni locali)

Altrimenti c’è il rischio che la famiglia venga a conoscenza in ritardo, o solo per caso, che esiste l’indennità di accompagnamento, o contributi e detrazioni per lavori di riduzione delle barriere architettoniche in casa privata, o le varie agevolazioni fiscali1.

  1. Un’analisi, con proposte, più articolata sui possibili modelli di PUA è disponibile qui.