Cosa serve di più agli anziani non autosufficienti, oggi in Italia? Se mi dessero solo un minuto per rispondere a questa domanda direi tre cose: più servizi, di tutti i tipi, domiciliari, residenziali, semiresidenziali e così via; poi una diffusione più perequata di questi servizi tra le regioni, in proporzione agli anziani residenti; infine una maggiore facilità di accesso, più informazione, canali semplici e diffusi sul territorio.
Il recente disegno di legge delega va in queste direzioni? La risposta è sì, ma c’è ancora molto lavoro da fare (è disponibile qui qui lo schema di disegno di legge). Approvato in zona Cesarini, nell’ultimo Consiglio dei ministri del governo Draghi, la delega avvia un processo di riforma a lungo atteso, un primo traguardo giustamente salutato con grande plauso. L’atto dovrà essere ratificato prima in Conferenza Stato-Regioni poi da parte del nuovo Parlamento entro il prossimo marzo, e già lì potrebbero esserci degli emendamenti, si spera migliorativi.
Gli anziani non autosufficienti sono in Italia un esercito di oltre 2,8 milioni di persone, che attraversa cambiamenti importanti, come la crescita esponenziale delle demenze. Finalmente la delega dà inizio a una riforma attesa da decenni, con l’obiettivo di migliorare presenza e qualità dei servizi in uno dei paesi più longevi del mondo. Presenza e qualità molto diverse da una regione all’altra, dove i servizi sono cresciuti in modo relativamente disordinato e soprattutto scoordinato, creando vaste iniquità orizzontali.
Quattro novità
La delega introduce, o meglio prefigura, diversi cambiamenti. Mi concentro in particolare su quattro elementi di peso che riconfigurano, svecchiano e rilanciano la rete dei sostegni alla non autosufficienza.
Primo. L’istituzione di un “Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente” (SNAA), con il compito di realizzare una programmazione integrata dei servizi, monitorarne e valutarne l’andamento. Il braccio operativo dello SNAA è il CIPA (Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana). Tale organo adotta un Piano nazionale dell’assistenza, sulla base del quale Regioni ed Enti locali adottano a loro volta e coerentemente piani territoriali. Quindi, l’insieme dei diversi interventi per la non autosufficienza sono programmati congiuntamente dai diversi attori responsabili ad ogni livello di governo: Stato, Regioni e territori.
Le indicazioni su regolazione e governance possono essere giudicate positivamente per tre ragioni. Primo, sono coerenti tra loro nel disegnare un welfare per la non autosufficienza unitario, integrato e semplificato. Secondo, promuovono il riconoscimento della specificità della non autosufficienza, così da favorire interventi professionali appropriati e da incrementare la forza politica del settore. Terzo, provano ad innovare sostantivamente l’impianto di questo ambito dello stato sociale. La programmazione, la progettazione e la realizzazione degli interventi dello SNAA avvengono in partnership tra l’ente pubblico e i molteplici soggetti privati che sono espressione dell’economia sociale e della comunità.
Secondo. Si introduce la riforma dei percorsi di valutazione, che passano dagli attuali cinque/sei a due, uno nazionale e uno regionale, e che vengono messi in connessione fra di loro. Quello regionale, gestito dalle UVM (Unità di Valutazione Multidisciplinare), rimane invariato; quello nazionale invece assorbe le valutazioni che oggi vengono fatte per le misure statali e ne prevede una sola, frutto di uno strumento molto più adatto di quelli attuali nel valutare le condizioni degli anziani.
Viene in questo modo superata l’ampia discrezionalità attuale delle commissioni di valutazione dell’invalidità verso una maggiore univocità di analisi. Soprattutto, si esce da una analisi delle sole condizioni bio-mediche. Si parla infatti di valutazione multidimensionale unificata, da effettuarsi secondo criteri standardizzati e omogenei, finalizzata all’identificazione dei fabbisogni di natura sociale, sociosanitaria e sanitaria della persona anziana e del suo nucleo familiare, ove attivamente presente. La delega dedica un’attenzione specifica al ruolo dei caregiver familiari, e alle relative esigenze di supporto.
A livello nazionale viene adottata una definizione di popolazione anziana non autosufficiente che tiene conto delle indicazioni dell’International Classification of Functioning Disability and Health – ICF dell’OMS.
Terzo. Si introduce (in via “sperimentale e progressiva”) la riforma dell’indennità di accompagnamento, che diventa “Prestazione universale per gli anziani non autosufficienti”. Essa viene graduata secondo il bisogno e può essere usufruita, a scelta del beneficiario, come trasferimento monetario o come corrispettivo di un servizio di assistenza. Come si sa l’indennità di accompagnamento è la misura di gran lunga più diffusa di sostegno della non autosufficienza, rimasta per 40 anni graniticamente uguale a se stessa, mentre intorno è cambiato il mondo.
I beneficiari della Prestazione Universale possono dunque scegliere tra due opzioni: a) il percepimento di un contributo economico senza vincoli di utilizzo; b) la fruizione di servizi alla persona, svolti sia in forma organizzata da prestatori di servizi di cura, inclusi servizi domiciliari e residenziali autorizzati o accreditati, sia in forma individuale da assistenti familiari regolarmente assunte. La scelta dell’opzione “b” comporta un aumento dell’importo della prestazione: questo non viene specificato nella delega ma è un elemento qualificante la misura.
La realtà italiana si allinea così con gli altri sistemi europei di long-term care, superando uno dei limiti principali della situazione attuale, che non riconosce l’esistenza tra la popolazione non autosufficiente di stati di bisogno molto diversi. Il nuovo meccanismo permette di garantire equità orizzontale tra persone con bisogni di cura di differente intensità. Su questa partita, più che altrove, dovrà essere elaborato un meccanismo di funzionamento con una discreta quantità di dettagli tutti ancora da definire.
Quarto. Si va verso servizi domiciliari integrati in termini sociosanitari. Ciò significa che i servizi delle Asl (Adi) e quelli dei Comuni (Sad) convergono in un unico servizio di Assistenza domiciliare integrata sociosanitaria e sociale (ADISS). Qui l’obiettivo è quello di generare interventi di durata e intensità adeguate ai bisogni dell’anziano, risposte costruite con un adeguato mix di prestazioni, integrando Comuni e Asl.
Lo stesso PNRR, sul cui potenziamento dei servizi domiciliari investe 4 miliardi di euro (Missione 6), è stato netto sulla necessità di integrare l’assistenza sanitaria domiciliare con interventi di tipo sociale. Peraltro i limiti dell’ADI erogata dalle Asl sono noti: un servizio ridotto a una media di 18 ore di intervento all’anno per utente, limitato nella durata (2-3 mesi) e nelle prestazioni che offre, di tipo prevalentemente infermieristico.
Purtroppo i processi in atto non stanno andando in questa direzione. Della prospettiva richiamata nel PNRR, nel DM 77/2022 del Ministero della Salute pubblicato nel mese di giugno in verità non c’è alcuna traccia: ci si riferisce unicamente al potenziamento dell’ADI, un servizio che deve raggiungere il 10% della popolazione anziana. Una cifra decisa a tavolino, avulsa da qualsiasi lettura del bisogno, ed oggetto di conteggi surreali su cosa significhi “raggiungere” questa popolazione: se basta, per esempio, un solo prelievo o una sola medicazione a domicilio per arrivare a questa percentuale.
È qui doveroso ricordare come buona parte di questi cambiamenti (governance nazionale, valutazione unificata del bisogno, nuova indennità di accompagnamento) provengono direttamente dalle proposte avanzate dal “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”, un organismo coordinato da Cristiano Gori e composto da oltre 50 organizzazioni della società civile e delle parti sociali. Si rimanda qui ai documenti prodotti dal “Patto”.
Le criticità: una macchina senza benzina?
Mi soffermo su tre criticità, che potranno essere via via risolte nell’iter di approvazione e poi nella messa a terra del disegno di riforma, attraverso i decreti attuativi previsti, da emanarsi entro marzo 2024.
La prima è quella delle risorse, che non vengono previste in sede di disegno di legge delega, ma che inevitabilmente occorreranno. Il disegno di legge ripete come un mantra che le disposizioni attuative dovranno appoggiarsi alle risorse disponibili dalla legislazione vigente, precisando alla fine (articolo 8) che ogni eventuale onere aggiuntivo dovrà essere accompagnato da corrispondenti mezzi di copertura.
È evidente che qui si gioca la fattibilità di molti dei cambiamenti previsti. Basti pensare che la Prestazione Universale è considerata “sostitutiva” dell’indennità di accompagnamento, che tradotto significa che il suo importo non potrà scendere al di sotto degli attuali 525 euro mensili. Dato piuttosto iniquo a fronte di una nuova misura che si vuole graduata in base al bisogno, quindi rivolta anche a persone con esigenze limitate, per le quali quella cifra può risultare sovradimensionata.
L’introduzione di risorse potrà avvenire con estrema gradualità e con un sostegno politico importante. Solo il combinato disposto di questi due fattori daranno le gambe al progetto di riforma.
Secondo: le residenze per anziani. Su di esse la delega dice poco, manca un’idea sul modo in cui lo Stato possa sostenerle, promuovendone presenza (estremamente difforme tra le regioni) e qualità. Eppure si tratta di un settore in cui la domanda inevitabilmente continuerà a crescere per molto tempo, un settore tornato “redditizio” dopo l’emergenza pandemica, al netto della crisi, speriamo transitoria, del “caro bollette”. Un settore molto disomogeneo in termini organizzativi, di dotazione di personale, di qualità dell’offerta, che suscita ancora molti appetiti da parte del privato, e che proprio per questo avrebbe grande bisogno di una regolazione omogenea sul territorio nazionale.
Terzo: le badanti. La delega di fatto si occupa solo di welfare pubblico. Tranne un passaggio molto sfumato dove si accenna alla necessità di rivedere la tassazione sul lavoro domestico di cura, è assente un progetto d’insieme, che richiederebbe una proposta compiuta su come collegare le assistenti familiari alla rete dei servizi, incentivarne le condizioni di lavoro regolari e promuoverne le competenze professionali.
Il numero delle assistenti familiari in Italia non accenna a diminuire, anzi. Con Francesca Pozzoli abbiamo approfondito come sta cambiando questo mondo in una ricerca svolta l’anno scorso. Un mondo che sta soffrendo la mancanza di ricambio generazionale, e dove le famiglie faticano sempre più a trovare la persona giusta, anche per il drastico calo di disponibilità alla convivenza. Un settore ancora pesantemente marcato dal sommerso e dalla irregolarità, lontano dal mondo dei servizi del welfare pubblico.
E adesso…
Il Parlamento dovrà approvare definitivamente la legge delega entro marzo 2023. Il governo poi dovrà predisporre i decreti legislativi che tradurranno operativamente le indicazioni della delega entro il marzo 2024. Tempi lunghi, in cui sarà possibile migliorare e correggere dove necessario il testo di legge. Ma soprattutto, fare in modo che si stanzino alcuni primi finanziamenti. La congiuntura attuale non offre grandi margini, ma avviare un percorso pluriennale di graduale crescita è possibile, se si riuscirà a tenere alta l’urgenza del tema1, alimentando nel tempo un’attenzione politica trasversale.
- Su cui sono positivamente sensibili alcuni grandi organi di stampa. Si veda F. de Bortoli, Gli anziani sono una risorsa del Paese, in “Corriere della Sera”, 15 ottobre 2022.
Da rimarcare l’attenzione alla transizione delle persone con #disabilità: si veda l’articolo 4 comma 2, punti a) e p).