Se il sociale e il sanitario lavorano insieme

Il nuovo Piano sociale e sanitario 2017-2019 della Regione Emilia-Romagna


Elisabetta Gualmini | 6 Novembre 2017

La Regione Emilia-Romagna si è recentemente dotata del nuovo Piano sociale e sanitario per il triennio 2017-2019, un documento di programmazione politico-strategica che traccia le principali linee di intervento che il sistema Regione-Enti locali è chiamato a realizzare. È un provvedimento che mette insieme la sfera del sociale e quella della sanità, lavorando per superare la tradizionale separatezza e frammentazione che spesso contraddistingue questi due mondi e per dare massima concretezza alla loro integrazione. In questo senso sposa una tesi ben precisa che vede il sociale come solido alleato del sanitario: quanto più investiamo nelle politiche e nei servizi sociali e quanto più le iniziative messe in campo sui territori dai Comuni concorrono a prevenire forme di disagio, tanto più allontaniamo i nostri cittadini dalla dimensione della ospedalizzazione e da risposte di tipo esclusivamente medico-sanitarie.

 

Il documento nasce da un lungo percorso a più voci, che ha visto il contributo e la partecipazione di tutti gli attori sociali e sanitari provenienti dalle istituzioni e non (gli Enti locali, le Aziende sanitarie, le parti sociali, il mondo del terzo settore, l’associazionismo, il volontariato, il sistema dei servizi, le imprese sociali), mediante il ricorso a una pluralità di strumenti (tavoli istituzionali, gruppi di lavoro, OST, percorsi di community lab, ecc.), per un totale di oltre 500 soggetti coinvolti. Nella convinzione che l’ascolto, il confronto e la condivisione con le nostre comunità, che toccano con mano le nuove emergenze e la vulnerabilità, fungendo così da primi sensori, non possano che essere le leve da cui partire, oggi imprescindibili.

Oltre a questa sua natura partecipata e condivisa, il documento si contraddistingue per una grande attività di updating, ammodernamento e adeguamento che potremmo definire a 360 gradi. In primo luogo per ciò che riguarda il formato: il Piano si presenta infatti come una sorta di Libro bianco, snello e agile come sono ormai i documenti di indirizzo di matrice europea, corredato da un annex di schede tecnico-operativo sulle azioni tecniche da sviluppare. Le 39 schede allegate riportano infatti i destinatari e descrivono gli indicatori per il monitoraggio e la valutazione del risultato, mantenendo una forte attenzione a garantire integrazione e trasversalità degli interventi. Uno dei principali obiettivi era proprio la semplificazione: produrre cioè un documento fruibile e accessibile da tutti i cittadini, privo dei soliti bizantinismi e delle inutili complicazioni di cui si compone spesso il linguaggio delle pubbliche amministrazioni.

 

Sul fronte dei contenuti il Piano rinnova e ricalibra gli interventi per affrontare le profonde trasformazioni che hanno interessato la nostra società e rispondere così ai nuovi bisogni, alle emergenze e fragilità che ne sono scaturiti. La prima stesura del documento risale infatti al 2008, in uno scenario che potremmo definire di pre-crisi, visto che i suoi effetti più dirompenti non erano ancora emersi e l’economia emiliano-romagnola registrava ancora le dinamiche positive della ripresa dei primi anni 2000. Nel corso del 2013, con l’approvazione da parte dell’Assemblea legislativa delle indicazioni attuative per il biennio 2013-2014, si introducevano già alcuni nuovi indirizzi e alcune sfide legate ai mutamenti economici e sociali in atto, che oggi diventano prioritari.

 

La cornice socio-demografica appare infatti, nel 2017, profondamente cambiata: la popolazione emiliano-romagnola aumenta, anche se più lentamente rispetto al passato visto il calo del tasso di natalità, e soprattutto invecchia, a ritmi sempre più incalzanti (nel 2016 il 12,6% dei residenti è rappresentato da “grandi anziani”, sopra gli 80 anni, e l’indice di vecchiaia si attesta al 175,5). Il tempo di vita continua ad allungarsi, anche se gli stili di vita (sedentarietà) e consumi (fumo, alcol, insufficienza di frutta e verdura) non sempre adeguati fanno registrare ancora aspetti critici che possono incidere sul rischio di vivere la vecchiaia in condizione di disabilità o non autosufficienza. Allo stesso tempo la cittadinanza diventa sempre più multiculturale e “frammentata”, ovvero composta da famiglie sempre più ristrette, con un incremento dei nuclei unipersonali (che rappresentano oltre un terzo del totale) e monogenitoriali, in primis composti da madri sole con bambini e ragazzi (anche come conseguenza della crescente instabilità coniugale).

La crisi economico-finanziaria ha prodotto inoltre nuove forme di fragilità nelle famiglie, concorrendo ad aumentare le difficoltà in particolare di quelle con capofamiglia di nazionalità straniera o di quelle numerose, con presenza di minori e/o anziani: aumentano i nuclei in condizioni di povertà sia assoluta che relativa (nel 2015 il 4,8% del totale delle famiglie residenti in regione) e, di conseguenza, crescono i rischi di povertà materiale ed educativa nell’infanzia (che concorrono per altro a determinare elementi di fragilità che si manifestano nell’intero arco della vita sia in termini di salute che di opportunità lavorative, sociali, relazionali). E ancora, si espande il disagio abitativo, in virtù sia dell’aumento dell’incidenza sul reddito delle spese per l’abitazione, sia del numero di famiglie che incontrano difficoltà a pagare l’affitto, sia del numero di pignoramenti di case abitate dai proprietari (con un conseguente allungamento delle liste di attesa per l’assegnazione di una casa popolare, circa 35mila a fine 2014, a fronte di poco più di 51mila alloggi di edilizia residenziale pubblica occupati).

 

Il Piano risponde a queste nuove sfide perseguendo tre obiettivi strategici prioritari.

  1. La lotta all’esclusione sociale, alla fragilità e alla povertà estrema anche attraverso l’innesto di politiche e misure mirate che, per la prima volta, si orientano ad aiutare le persone che rischiano di rimanere completamente esterne ed estranee al mercato del lavoro e alla società attiva. Tre sono gli strumenti costruiti e sperimentati in questa direzione: la legge regionale sull’avvicinamento al lavoro delle persone fragili (LR 14/2015), la legge regionale sul Reddito di solidarietà RES (LR 24/2016) e l’attuazione del Sostegno per l’inclusione attiva -SIA- introdotto dal governo con finanziaria 2016. Sono misure che presumono un nuovo modo di concepire i servizi e di far lavorare gli operatori, fondato sulla cooperazione, la progettazione condivisa, la collaborazione multi-professionale (che vede interagire personale del settore sanitario, sociale e del lavoro), concorrendo con ciò a dar concretezza a quel principio di integrazione che il Piano sostiene e ribadisce con forza. Inoltre introducono un approccio condizionale e temporaneo, in quanto non si esauriscono nella semplice erogazione di un contributo economico, ma prevedono il coinvolgimento diretto del beneficiario in un progetto personalizzato di attivazione sociale e di inserimento lavorativo, sottoscritto dallo stesso insieme ai servizi, che gli consenta di acquisire le capabilities che ha perso o che non ha mai sviluppato a causa delle condizioni di deprivazione, e pertanto di fuoriuscire, con le proprie forze e con adeguati sostegni, dalle condizioni di marginalità. In questo modo tali misure aspirano a minare una logica puramente assistenzialistica o risarcitoria e consentono di riavviare un sistema virtuoso che mette in circolo quella giustizia sociale e redistributiva che gli anni della recessione hanno fortemente indebolito.
  2. Il consolidamento dell’ambito distrettuale come nodo strategico e punto nevralgico per promuovere l’integrazione sociale e sanitaria. Le politiche sociali dell’Emilia-Romagna hanno da tempo nel distretto il loro punto di riferimento privilegiato: i 38 distretti sono il perno dell’integrazione tra sfera sociale e sanitaria, è quella la dimensione più adeguata di governo delle politiche di integrazione; il singolo Comune sarebbe troppo piccolo, l’area provinciale troppo grande per andare incontro a bisogni concreti di persone e famiglie. Il Direttore Socio-Sanitario, alla pari degli altri direttori del sociale e della sanità, ha responsabilità rilevantissime nella regolazione e gestione dell’intero sistema; ecco perché è importante che siano scelte persone con elevate competenze e professionalità.
  3. Lo sviluppo di strumenti innovativi di prossimità, quindi sempre più vicini ai cittadini, dalle politiche abitative e ai servizi di assistenza. Il Piano punta senza alcuna esitazione alla domiciliarità, come obiettivo trasversale di tutte le politiche socio-santarie. Domiciliarità significa poter assicurare agli anziani e alle persone non autosufficienti condizioni di vita dignitose e cure e assistenza presso il loro domicilio, per quanto possibile. Piuttosto che affrettare i percorsi di ingresso negli ospedali, occorre lavorare su strutture, residenze e servizi che combinino l’aspetto domiciliare con quello medico-sanitario; curare le persone a casa loro o ospitarle in alloggi con servizi condivisi in modo che possano conservare a lungo il gusto di vivere e di vivere bene. A metà tra la propria casa e l’ospedale ci sono una serie di soluzioni abitative che includono servizi assistenziali su cui vale la pena investire. La prossimità si realizza offendo servizi a cui i cittadini possano accedere facilmente (come la Case della salute, veri e propri esempi di welfare di comunità) e anche, allo stesso tempo, lasciando alle persone non autosufficienti il tempo maggiore per vivere tra i propri affetti e i propri ambienti.

 

In conclusione, dunque, il nuovo Piano rappresenta lo strumento di riferimento per lo sviluppo e l’innovazione del welfare degli anni a venire e in quest’ottica intende affermarne un modello dinamico e flessibile, che presume un ente pubblico che, oltre ad essere regista e garante della qualità dei servizi e dell’equità nell’accesso, sia capace di incentivare e rafforzare un sistema integrato di risposte ai nuovi bisogni sempre più multiformi e di valorizzare, coordinando fra loro, le risorse delle comunità anche in un’ottica di empowerment e sostegno alla crescita. In questo senso sposa una logica circolare e di comunità, fondata sulla promozione di un rapporto stabile, sinergico e collaborativo con il territorio e la comunità di appartenenza, non più visti come semplici esecutori di un mandato che la pubblica amministrazione fa cadere sulle loro spalle, ma considerati parti attive sin dalla fase di (co)progettazione e definizione degli interventi. Il potenziale di idee, di volontà, di creatività, di risorse materiali e immateriali che la nostra società regionale offre è una risorsa estremamente preziosa per il nostro welfare: tutti dobbiamo contribuire alla salute e al benessere di tutti.