Settimo Rapporto sulle povertà e l’inclusione sociale in Toscana
Principali evidenze
Cristina Corezzi | 1 Marzo 2024
Sono passati ormai quattro anni da quando il Rapporto sulle povertà è diventato Rapporto sulle povertà e sull’inclusione sociale, ma nell’ultimo periodo ci siamo trovati in diverse occasioni a riflettere sul significato più profondo del termine “inclusione”. Includere in una comunità, in una società, presuppone il fatto che ci siano persone di un certo tipo – considerato “normale” – che ammettono e favoriscono la partecipazione sociale di “altre” persone, concedendo loro di esprimere una differenza. Questo evidenzia uno sbilanciamento di potere, che poggia sulle stesse logiche che motivano la marginalizzazione: ci stiamo impegnando a riammettere nella società persone che già vi appartengono per diritto di nascita, invece di chiederci come, quando e perché ne vengano escluse.
È sempre maggiore la consapevolezza che al centro degli interventi di contrasto alla povertà ci debba essere la persona vista nella sua globalità e che non sia possibile imporre percorsi omologati che non ne considerino vissuto e obiettivi personali. Considerando questi punti di partenza, nel 2023 sono stati proposti ai professionisti (dei servizi sociali, del lavoro, della sanità) che operano nei territori diversi momenti di riflessione sul ruolo nella comunità/della comunità: perché diventa sempre più importante l’allargamento delle reti di supporto agli interventi contro la povertà non solo agli enti del Terzo settore ma anche alla cittadinanza che abita nei quartieri dove queste attività si svolgono. Tutte queste riflessioni trovano in modi diversi un’eco nei contenuti dell’edizione 2023 del Rapporto sulle povertà e sull’inclusione sociale, che quest’anno si struttura in diverse sezioni tematiche specifiche.
La prima sezione riporta il quadro nazionale e regionale sulle condizioni di povertà con un approfondimento sulla nuova misura della povertà assoluta, a cui segue l’aggiornamento della situazione rispetto alle nuove misure di contrasto (Assegno di Inclusione e Supporto per la Formazione e il Lavoro). La seconda parte è dedicata all’inclusione lavorativa e si apre con una indagine sull’occupabilità dei beneficiari delle misure di contrasto, vista attraverso l’opinione degli operatori sociali che hanno in carico le persone, per poi chiudersi con un focus sul tema dei low wage worker. La terza sezione analizza attraverso un nuovo approccio (la deprivazione cumulata) il concetto della povertà multidimensionale e approfondisce temi quali povertà educativa, povertà relazionale, povertà alimentare e homelessness. Infine, la quarta parte si apre con l’illustrazione dei punti di accesso nei territori, seguita dai risultati di due indagini sullo stato dell’arte delle équipe multidimensionali e dei Centri servizi di contrasto alla povertà (con un focus sul programma “Nessunə Esclusə”) e, a chiudere, un focus sulla povertà nelle aree interne.
Prima di entrare un po’ più nel dettaglio dei risultati, è bene evidenziare come il Settimo Rapporto sulle povertà e l’inclusione sociale, nella varietà dei temi trattati, abbia come sfondo comune quello costituito dalle tensioni geopolitiche connesse alle guerre in corso, che hanno generato uno straordinario aumento del livello dei prezzi, e dalle tensioni dovute ai cambiamenti nelle misure di contrasto alla povertà, che hanno comportato – e ancora comportano – un complesso periodo di transizione.
Povertà assoluta e misure di contrasto
Nel 2023 ISTAT ha rivisto la metodologia di stima della povertà assoluta: le nuove soglie di povertà sono state per adesso stimate solo per il 2021 e il 2022; non è possibile, pertanto, ad oggi effettuare un confronto dell’incidenza di famiglie in povertà assoluta rispetto agli anni precedenti. Nel quadro generale, comunque, si rilevano alcuni dati incoraggianti: nel 2022 in Toscana il PIL è quasi tornato ai livelli pre-pandemici mentre l’occupazione li ha superati e, grazie al miglioramento nel mercato del lavoro e agli interventi contro l’inflazione, la povertà assoluta nello spazio dei redditi è diminuita dal 6% del 2021 al 5,5% del 2022. Dal lato dei consumi, però, a causa dell’inflazione, le famiglie toscane hanno ridotto non solo le spese per svago e tempo libero ma anche quelle per beni essenziali come luce e gas.
Ma quali sono i dati che emergono in relazione all’attuazione delle attuali misure di contrasto alla povertà? Al 1° novembre 2023 in Toscana 19.690 nuclei familiari (corrispondenti a 35.324 individui) risultavano percettori di Reddito di Cittadinanza: per la maggior parte si tratta di nuclei composti unicamente da adulti (una persona 56,1%, due persone 16,2%) con richiedente cittadino italiano (83,2% dei nuclei familiari). I Progetti Utili alla Collettività (PUC) in Toscana risultano ancora poco considerati: in 14 Ambiti territoriali su 28 risulta un numero di PUC inferiore a 10 ed in 6 casi nessun progetto è stato attivato; al 1° novembre 2023 risultavano in corso 387 PUC per 191 beneficiari, attivati in circa il 40% dei Comuni toscani.
Passando alla nuova misura dell’Assegno di Inclusione (attiva dal 1° gennaio 2024), è noto che la platea di beneficiari è stata modificata rispetto al RdC: si tratta infatti di nuclei familiari con componenti over 60, persone con disabilità, minori o componenti in condizione di svantaggio, inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari e dell’UEPE. Questo comporta che in tutte le categorie di beneficiari, compresi gli stranieri (sebbene il requisito della cittadinanza sia stato allentato a 5 anni), si ridurrà il numero di percettori e la riduzione sarà più intensa nelle realtà produttive e meno forte nelle città e nelle aree interne. A regime, gli individui beneficiari di AdI e SFL diventeranno la metà rispetto ai percettori di Reddito di Cittadinanza.
Disagio abitativo, povertà lavorativa ed educativa
In questo contesto, si rileva anche che la Legge di Bilancio 2023 ha ridotto il Fondo per l’Affitto alle sole componenti regionali e comunali, e il Fondo per la Morosità incolpevole alle rimanenze degli anni precedenti (tagli confermati anche per il 2024): i nuclei familiari che vivono in affitto sono caratterizzati da un reddito più basso (nel 2022, infatti, il 41,6% degli affittuari faceva parte del primo quintile di reddito che rappresenta il 20% della popolazione più povera) e quindi la riduzione di questi fondi incide ulteriormente sul rischio di povertà e sulla condizione abitativa. Lo spettro della povertà connessa al disagio abitativo va, quindi, ampliandosi comprendendo una infinità di situazioni molto eterogenee, tra cui: working poors, famiglie low work intensity, giovani in precarietà abitativa, donne che vivono in situazioni insicure e sono costrette ad abbandonare la propria abitazione perché vittime di violenza.
Infatti, il cosiddetto fenomeno della work poverty contribuisce ad allargare il bacino dei potenziali soggetti a rischio, che dispongono di redditi da lavoro così bassi da non poter far fronte ad imprevisti e si ritrovano con facilità nel disagio economico e abitativo. Dietro l’aumento della povertà lavorativa si nascondono, oltre a salari stagnanti, anche l’aumentata instabilità delle carriere e l’esplosione del tempo parziale “involontario”, determinate dalla debolezza della struttura economica (e quindi la crescita di “lavoretti” a basso valore aggiunto) ma anche da cambiamenti strutturali, come un aumento del peso dei servizi facilmente spezzettabili in brevi fasce orarie. Povertà lavorativa, quindi, non solo economica ma anche qualitativa, motivo per cui riveste molta importanza anche il riconoscimento simbolico per la soddisfazione professionale e personale. Per chi invece è più lontano dal mondo dal lavoro, è necessario un ulteriore supporto per potersi ri-socializzare al contesto lavorativo e sociale e fare i conti con la marginalità interiorizzata; spesso pesa molto la distanza tra il mondo della produttività ed il riconoscimento delle capacità delle persone.
Considerando il benessere-reddito, le condizioni di salute-abitative, le condizioni lavorativo-educative e l’accesso ai beni essenziali, la Toscana si posiziona in tutte le quattro dimensioni tra le Regioni con posizione media più alta, con margini di miglioramento relativo per quanto riguarda le condizioni lavorativo-educative e di accesso ai beni essenziali. Il 3,7% delle famiglie toscane è comunque in una situazione di deprivazione cumulata nelle quattro dimensioni del benessere considerate, mentre il 14,3% delle famiglie risulta a rischio di povertà o esclusione sociale. La deprivazione cumulata colpisce di più i single con più di 65 anni, le donne ed i soggetti con cittadinanza italiana.
È ormai patrimonio comune che la natura multidimensionale del fenomeno della povertà richieda uno sguardo più articolato che non quello meramente economico, che renda consapevoli anche delle povertà educative. Il fenomeno della povertà educativa – incrementato dalla pandemia e dalla conseguente chiusura delle scuole – viene infatti correlato all’aumento dei casi di drop-out e a un’involuzione/rallentamento nell’acquisizione delle competenze di base (lettura, scrittura, calcolo). La recente indagine del Centro Regionale di Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza rivolta agli studenti toscani lascia in questo senso segnali positivi e criticità: il 49% dei ragazzi toscani pensa che la propria famiglia stia “molto bene” o “abbastanza bene” dal punto di vista economico, il 43% è soddisfatto della qualità delle relazioni con i pari (ma per i ragazzi più grandi la quota scende al 33%), il 47% testimonia un elevato indice di benessere relazionale con i genitori (ma tra le femmine si attesta al 40%), il 43% dichiara un buon livello di benessere culturale e ricreativo (ma con una forte penalizzazione per gli stranieri). In questo senso, la comunità locale dovrebbe avere una responsabilità educativa diffusa (la scuola, la famiglia, il quartiere, i centri di aggregazione informali, la comunità educante), abbracciando una logica di intervento estesa a tutti i soggetti, pubblici e non, che collaborano a vario titolo per sviluppare beni e servizi in grado di rispondere alle problematicità del territorio, in una reale attuazione del principio di sussidiarietà.
Disuguaglianze nell’accesso ai servizi
Le asimmetrie di accesso ai servizi sono un tema oltremodo rilevante per il soddisfacimento dei bisogni della popolazione. In Toscana sono presenti 285 sedi fisiche dei punti di accesso (media Toscana 0,8 sedi per 10.000 abitanti) con una media di apertura di 9,3 ore settimanali ed in tutte le zone distretto è presente una sede del segretariato sociale. Per quanto riguarda la presa in carico delle persone, il lavoro in équipe è tuttora legato principalmente a scambi non formalizzati e le segnalazioni avvengono prevalentemente con modalità informali o tramite e-mail.
In questo senso, i nascenti Centri servizi di contrasto alla povertà (finanziati principalmente dal PNRR sulla Missione 5, C2, investimento 1.3., sub investimento 1.3.2) possono rivestire un ruolo importante: rappresentano una porta unitaria di accesso rivolta a persone che si trovano in condizione di svantaggio (ma non solo per loro), uno spazio comune dove le équipe multidisciplinari possano incontrarsi ed anche luoghi di cittadinanza ed integrazione per le componenti attive delle comunità locali. Risulterà di importanza strategica porre in essere una infrastruttura territoriale che, da un lato, sia di supporto ai diversi percorsi collegati anche alle misure di sostegno lavorativo e di sostegno al reddito (ADI; SFL; Progetto GOL) e, dall’altro, costituisca una rete riconoscibile di punti di accesso coordinati come anche nella visione delle Case di Comunità espressa dalla DGRT 1508/2022, ispirandosi al modello europeo del One Stop Shop.
In Toscana i progetti relativi ai nuovi Centri prevedono una costante focale nell’integrazione tra Centro servizi e segretariato sociale, ed una forte presenza degli enti del Terzo settore. Proprio da questi ultimi il Centro servizi è visto principalmente come un luogo e uno spazio di rete dove il Terzo settore può avere un ruolo fondamentale mettendo a disposizione competenze, conoscenze della domanda sociale e dei profili di fragilità emergenti, ma anche un luogo nel quale apprendere dagli altri attori territoriali attraverso uno scambio continuo di informazioni e proposte. Per questo motivo la strutturazione dei Centri dovrebbe essere preceduta da attività di informazione e consultazione del territorio, al fine di creare da subito le condizioni per fare dello stesso un luogo dove realizzare un lavoro di comunità con la partecipazione di più soggetti.
Un esempio di questo è dato dall’esperienza dei Community center del programma “Nessunə Esclusə” dove fondamentale è stato il ruolo dei Community facilitator: anche quando non riescono a dare risposte, il semplice fatto di saper far emergere e registrare i bisogni della comunità rappresenta un servizio fondamentale e riconosciuto. Dal 2018 il programma ha coinvolto direttamente oltre 21.000 persone in attività educative e ricreative, nell’accesso al lavoro, ai servizi educativi e socio-sanitari, nelle procedure legate alla normativa sull’immigrazione rappresentando un punto importante di empowerment. Centri come questi sono particolarmente importanti anche nelle aree maggiormente soggette a spopolamento, lontane dai luoghi di aggregazione: la povertà sperimentata in questi territori, infatti, non è tanto quella economica quanto quella relazionale, dove il Terzo settore sembra ricoprire un ruolo importante quale attore potenzialmente trainante nel processo di riattivazione comunitaria e di ricostruzione delle reti sociali e culturali.
Appare pertanto fondamentale consolidare l’amministrazione condivisa tra settore pubblico e privato affinché possano lavorare insieme condividendo responsabilità, decisioni ed interventi. Altrettanto fondamentale è l’integrazione tra i vari servizi pubblici (sociale, sanità, lavoro, abitazione, educazione), anche alla luce delle nuove misure di contrasto alla povertà che categorializzano e segmentano ulteriormente le persone sulla base delle loro caratteristiche e requisiti. La necessità è quella di andare nella direzione opposta, ossia di vedere la persona nella sua globalità prevedendo un’azione mirata sui suoi bisogni e portata avanti congiuntamente da équipe realmente integrate. La direzione è quella tracciata dalle Linee guida di integrazione sociale-lavoro approvate nel 2023 ma che prevedono ancora un ulteriore affinamento da parte di tutti gli attori in campo, continuando a fondare il lavoro sullo scambio di esperienze e buone pratiche che rappresenta ormai da tempo il modus operandi di Regione Toscana.