Sociale e Sanità nella Proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza


Luca CaterinoMarco Betti | 15 Febbraio 2021

La proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNNR), approvata in Consiglio dei Ministri il 12 gennaio 2021, rappresenta il documento che nelle prossime settimane verrà discusso dagli organi istituzionali (Parlamento, Regioni e autonomie locali), dalle Parti economiche e sociali, dal Terzo settore e dalle reti di cittadinanza, per definirne i contenuti definitivi e per portarlo formalmente, entro il 30 aprile 2021, all’attenzione della Commissione Europea, con la quale già nei mesi scorsi è stata attivata una interlocuzione rispetto ai suoi obiettivi generali.

I PNRR saranno valutati dalla Commissione entro 2 mesi dalla loro presentazione e tale valutazione dovrà essere approvata dal Consiglio entro 4 settimane dalla proposta della Commissione stessa. I piani saranno riesaminati e adattati, se necessario, nel 2022 per tenere conto della ripartizione definitiva dei fondi per il 2023. La crisi politica, che in queste ultime settimane ha investito il Governo, arriva quindi in una fase decisiva della discussione relativa alla pianificazione delle risorse destinate ad orientare il sistema Paese nella fase post-pandemica.

L’Italia rappresenta il Paese europeo dove la pandemia ha sortito prima i propri effetti, e con impatti di assoluto rilievo sul tessuto economico e sociale. Per questi motivi, essa rappresenta anche il Paese che potrà usufruire in misura maggiore delle risorse dedicate al rilancio e alla crescita post-pandemia. Nell’ambito di Next Generation EU (NGEU), il Paese potrà infatti contare su 196,5 miliardi di euro tra sovvenzioni (circa 65 miliardi) e prestiti, oltre ai 13,5 mld di React-EU e ai 1,2 mld del Just Transition Fund. Nelle stime del Consiglio europeo, l’insieme dei fondi europei compresi nel Quadro Finanziario Pluriennale e nel Next Generation EU metteranno a disposizione dell’Italia, nel periodo 2021-2029, un volume di circa 309 miliardi di euro.

In termini di strategia complessiva, il Piano individua tre assi trasversali alle diverse linee di intervento: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale. Al contempo le tre priorità definite dal PNNR riguardano Donne, Giovani e Sud. Il documento si articola in 6 Missioni, che a loro volta raggruppano 16 Componenti funzionali a realizzare gli obiettivi economico-sociali.

 

Le Missioni relative al Sociale e alla Sanità

La Missione 5 – Inclusione e Coesione – e la Missione 6 – Salute – vedono l’assegnazione di risorse pari al 21,2% dei 222,9 miliardi di euro contenuti nel Piano (27,62 miliardi per Inclusione e Coesione; 19,72 per Salute), che rappresentano il punto di approdo di una trattativa iniziata con molte meno risorse (circa 10 miliardi) assegnate alla Sanità.

Le componenti relative all’inclusione sociale puntano a promuovere lo sviluppo, al fine di ridurre quei fattori che influenzano la disuguaglianza: i divari infrastrutturali, occupazionali e di servizi e beni pubblici, fra Nord e Sud, fra aree urbane e aree interne. Si tratta di interventi che partono dalla prima infanzia e dall’istruzione, con l’investimento negli asili nido e nelle strutture scolastiche, e che nelle intenzioni degli estensori dovranno generare una nuova occupazione di qualità – soprattutto per i giovani e per le donne – sfruttando le opportunità della transizione ecologica e digitale. A questi si affiancano interventi per il rafforzamento delle politiche attive del lavoro e della formazione di occupati e disoccupati, oltre al sostegno all’occupazione giovanile di qualità -attraverso il rafforzamento del sistema duale – e all’imprenditorialità, soprattutto femminile. Particolare attenzione, all’interno della Missione 5, viene poi riservata alle infrastrutture sociali a favore di minori, anziani non autosufficienti e persone con disabilità, soprattutto riguardo alla prevenzione delle vulnerabilità di famiglie e minori, così come al tema del social housing e dell’edilizia residenziale pubblica, all’interno di un quadro più ampio di rigenerazione urbana e riqualificazione territoriale.

La Missione Salute evidenzia il portato di questo lungo anno di gestione della pandemia, puntando, da un lato, sullo sviluppo di una rete di sanità territoriale che parta dalla “casa come primo luogo di cura”, al potenziamento dell’assistenza domiciliare, alla più capillare diffusione delle Case della comunità e delle strutture per le cure intermedie e, rispetto alla componente più prettamente ospedaliera, sulla messa in sicurezza antisismica delle strutture.   Particolare attenzione viene inoltre dedicata all’adeguamento delle infrastrutture tecnologiche e degli strumenti diagnostici, funzionali a una più efficace implementazione della sanità digitale, in particolare attraverso la telemedicina, dal 2017 entrata a pieno titolo tra i LEA. Circa 1,5 miliardi, all’interno di questa Missione, sono poi orientati al rafforzamento quantitativo e in termini di competenze del personale sanitario.

 

Quello che manca nel PNNR

Per molti aspetti la Proposta di Piano adotta un approccio ancora in parte settorializzato, che risente probabilmente del suo processo di elaborazione demandato alle diverse strutture – ministeriali e non – coinvolte. Al di là della trasversalità che investe gli assi strategici del PNNR – digitalizzazione, sostenibilità ambientale e inclusione – proprio sugli ambiti legati all’inclusione sociale e alla sanità sarebbe auspicabile una maggiore spinta verso l’integrazione dei singoli interventi, indispensabile per rispondere a bisogni di territori e comunità profondamente diseguali. Il tema delle aree interne, e quello atavico dei divari Nord-Sud del Paese, necessitano in tal senso di una “vista dall’alto” tanto dei problemi che delle possibili soluzioni.

Nella Missione 5, tra le riforme richiamate come necessarie al potenziamento delle infrastrutture sociali (Componente 2), si fa riferimento alla (pur necessaria) completa attuazione della riforma del Terzo settore, senza alcun accenno al mai perseguito obiettivo di superare interventi segmentati e categoriali, oltre che basati principalmente su trasferimenti monetari. Un tentativo in questa direzione può essere rintracciato nel Family Act e nell’Assegno unico e universale per i figli, che non a caso rappresenta però ancora una volta uno strumento in cash.

 

A oltre 20 anni dalla Legge 328, la definizione e il finanziamento dei Livelli Essenziali delle Prestazioni restano ancora in larghissima parte inattuati. Se è vero che le risorse del Next Generation EU e di ReactEU andranno a finanziare soprattutto spese per investimento in conto capitale, allora l’occasione sembrerebbe quella giusta anche per fare un ulteriore passo nella direzione di fissare i diritti civili e sociali esigibili sull’intero territorio nazionale.

Il tema dei LEP va messo poi in relazione anche con l’obiettivo di perseguire una migliore e più efficace integrazione sociosanitaria, tema cui nella Missione Salute viene dato spazio attraverso il richiamo allo sviluppo delle domiciliarità, dei servizi distrettuali, delle Case di comunità e delle cure intermedie. La mancanza di un pieno corrispettivo ‘sociale’ ai LEA costituisce in questo senso un grosso limite alla possibilità concreta di sviluppo di percorsi socioassistenziali integrati, con equipe multiprofessionali e risorse minime garantite per fronteggiare le complessità, in particolare quelle di tipo emergenziale, come è emerso in tutta evidenza attraverso la gestione della Pandemia in questi ultimi mesi.

La gestione dei percorsi integrati dovrebbe idealmente contare su strumenti informatizzati a servizio della parte professionale: se, da un lato, il Piano persegue la piena entrata a regime del Fascicolo Sanitario Elettronico, con l’implementazione di ulteriori funzioni – ad esempio – predittive dei bisogni sanitari, non viene invece previsto l’auspicabile sviluppo di un fascicolo sociosanitario, dove i professionisti del mondo sociale e di quello sanitario possano scambiarsi informazioni relative agli interventi assistenziali fruiti da individui e famiglie, con la possibilità quindi di analizzare, valutare e implementare gli interventi sulla base di un quadro informativo più completo, o quantomeno non a compartimenti stagni.

Sempre in riferimento al tema dell’integrazione sociosanitaria, il PNRR non affronta poi il tema della governance istituzionale all’interno degli ambiti territoriali e dei distretti, un’infrastruttura non fisica ma non per questo meno necessaria al coinvolgimento delle diverse componenti istituzionali, professionali e comunitarie chiamate a governare le politiche della salute dei territori. In altre parole, gli investimenti sulle azioni relative alle Cure primarie, agli interventi sociosanitari e a quelli socioassistenziali previste dal Piano (ma non solo) troveranno maggiori potenzialità di impatto in presenza di una governance adeguata a governare e orientare le risorse sulla base dei bisogni e degli assetti territoriali, per definizione contestuali.

 

Nell’ampio panorama dell’assistenza territoriale, la Medicina Generale e la Pediatria di Libera Scelta hanno mostrato con una certa evidenza i limiti di essere presidi assistenziali ancora troppo poco integrati tra loro e con i servizi sanitari e sociali di comunità. Il Piano potrebbe essere l’ulteriore occasione per il rilancio delle aggregazioni tra questi professionisti, la messa in comune di risorse umane (infermieristiche, amministrative) e di strumentazione diagnostica in grado di favorire un reale alleggerimento del carico sui presidi ospedalieri.

 

Quest’ultimo obiettivo viene chiaramente esplicitato rispetto al ruolo delle Case di Comunità, per le quali viene fissato uno standard di una struttura ogni 24.500 abitanti, attraverso la realizzazione di nuove 2.564 Case destinate a prendere in carico circa 13 milioni di pazienti cronici. Tale criterio, tuttavia, rischia di penalizzare ancora una volta quei territori montani e le aree interne, in assenza di correttivi che tengano conto della conformazione fisica del territorio e delle infrastrutture – anche digitali – di comunicazione.

Molto positivo potrebbe essere inoltre l’impatto dato dagli investimenti per l’ammodernamento tecnologico e digitale del SSN sullo sviluppo di telemedicina e teleassistenza, in particolare proprio per quelle aree del Paese caratterizzate da maggiore perifericità fisica e infrastrutturale, oltre che da carenza di personale sanitario, in particolare Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta.

Il piano di sviluppo delle competenze tecnico-professionali, digitali e manageriali dei professionisti in sanità rappresenta l’ultima, certamente interessante, componente relativa alla Missione Salute, prevedendo la copertura di profili professionali a maggiore domanda, oltre che per i MMG. Sono inoltre previsti percorsi formativi rivolti ai ruoli apicali degli Enti del SSN ai fini dell’acquisizione delle necessarie competenze e capacità manageriali.


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