Stili e spazi di partecipazione giovanile. Una ricerca europea
Alessandro MartelliIlaria Pitti | 13 Settembre 2018
Stili e spazi di partecipazione giovanile in Europa
Tra il maggio 2015 e l’aprile 2018 il progetto di ricerca “Spazi e Stili di Partecipazione in Europa” (Partispace), realizzato nell’ambito del programma europeo Horizon 2020-Excellent Science, ha condotto un’analisi sistematica e approfondita di esperienze di partecipazione giovanile partendo dal presupposto che tutti i giovani siano partecipativi, ma che non tutte le forme assunte dalla loro partecipazione vengano riconosciute come tali. Partispace, infatti, si è interrogato sull’influenza che prospettive adulto-centriche e tradizionali su cosa significhi “partecipare” hanno sul mancato riconoscimento delle espressioni di civicness e interesse politico delle nuove generazioni, domandandosi se la presunta “apatia partecipativa” dei giovani contemporanei non stia soprattutto negli “occhi di chi guarda”.
Partendo da questa prospettiva, Partispace ha prestato attenzione ai diversi spazi e stili in cui la partecipazione giovanile trova espressione nella scena pubblica, guardando non solo agli ambiti e alle modalità di coinvolgimento formali (consigli comunali dei giovani, parlamenti dei giovani e altri contesti partecipativi di tipo istituzionale) e non-formali (associazioni giovanili, centri giovanili ed altre realtà che offrono attività culturali e ricreative destinate ai giovani, caratterizzate da un livello di formalità ridotto rispetto agli ambiti formali), ma anche e soprattutto una serie di contesti informali di partecipazione che, ancora oggi, incontrano particolari difficoltà di riconoscimento. Si pensi, ad esempio, ad una serie esperienze di auto-organizzazione giovanile dal carattere più o meno legale come le occupazioni, le comunità ultras o i gruppi di writers.
Combinando etnografia, interviste biografiche, focus group, interviste semi-strutturate con esperti e action-research, il team del progetto ha condotto 48 casi studio in 8 paesi europei (Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Svezia, Svizzera, Turchia e Regno Unito) esplorando le modalità con cui le giovani generazioni in Europa partecipano a decisioni che riguardano loro e, più in generale, la vita delle loro comunità, ma anche considerando se e come il loro agire sia supportato dalle politiche giovanili locali e nazionali. Concentrando la ricerca empirica sui contesti urbani di Bologna, Eskisehir, Francoforte, Göteborg, Rennes, Manchester, Plovdiv e Zurigo, l’analisi ha infatti cercato di mettere in relazione le dimensioni locali con i modelli e i discorsi nazionali ed europei sulla partecipazione giovanile.
Costruire il proprio spazio
Nel suo complesso, il progetto Partispace ha cercato di ampliare la tradizionale comprensione del concetto di partecipazione giovanile integrando le definizioni proposte dalle autorità pubbliche con le interpretazioni emergenti dagli stessi giovani e dalle loro pratiche di partecipazione. Mettendo in relazione le biografie giovanili e gli spazi sociali in cui i giovani agiscono, il progetto ha dato rilevanza al significato che la partecipazione assume per i giovani nella loro vita quotidiana e nelle loro esperienze di transizione all’età adulta.
È stato interessante rilevare come molte delle pratiche di partecipazione prese in analisi possano essere interpretate come tentativi da parte dei giovani coinvolti di creare o di trovare il proprio “posto ideale”, ovvero di ritagliarsi uno spazio – simbolico e concreto – in cui sentirsi riconosciuti, accettati e in grado di esprimersi.
In alcuni casi, la costruzione dello spazio ideale si realizza attraverso una vera e propria “risignificazione” di attività e contesti quotidiani – la propria scuola, il parco in cui si incontrano le amiche, la curva dello stadio locale, il corso di parkour, un edificio abbandonato – in spazi di partecipazione civica e politica dove la propria quotidianità costituisce la base per lo sviluppo di progetti di rilevanza sociale.
L’analisi delle biografie dei giovani coinvolti nel progetto, infatti, sottolinea un forte continuità tra la storia di vita degli intervistati e le loro esperienze partecipative: da un lato, la partecipazione diviene spesso uno strumento attraverso cui rispondere a specifiche esigenze (di socializzazione, di auto-formazione, di identità, di protezione) emerse nel corso della vita, dall’altro, le risorse e le reti necessarie allo sviluppo di esperienze di attivazione e coinvolgimento sociale vengono spesso cercate e trovate nel proprio quotidiano prima che negli spazi istituzionali di partecipazione.
Sebbene siano rilevabili differenze tra i diversi contesti locali presi in analisi a seconda della ampiezza e ricettività delle politiche giovanili implementate, le opportunità istituzionali di partecipazione sembrano delineare dei perimetri troppo ristretti per i giovani, che spesso appaiono utilizzare gli spazi formali di partecipazione in modo prettamente strumentale, con consapevole diffidenza, sebbene nei processi di risignificazione non manchi l’interazione – che non si limita alla dimensione conflittuale, pur prevalente – con gli attori istituzionali.
Il caso bolognese
Per quanto concerne l’Italia, la ricerca si è focalizzata sulla città di Bologna ed è stata realizzata da un team interdisciplinare composto da ricercatori afferenti al Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia e al Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna.
A seguito di un’attività di mappatura delle esistenti esperienze di partecipazione giovanile condotta attraverso fonti documentali e interviste ad esperti, sono stati selezionati sei casi studio in base alla loro visibilità e rilevanza nel contesto partecipativo cittadino: un centro sociale creato in una caserma occupata, uno spazio autogestito da un gruppo ultras del Bologna Football Club, una realtà associativa giovanile nata dalla passione per gli sport urbani, un liceo concepito come spazio aperto allo sviluppo di progetti partecipativi da parte dei propri studenti, un’esperienza di rappresentazione studentesca a livello universitario e la sezione locale di un’associazione nazionale di giovani musulmani.
Nel loro complesso, i casi studio raccontano di una popolazione giovanile particolarmente attiva che cerca, attraverso differenziate forme di espressione, di rendere visibile la propria presenza in una città che, come generalmente riscontrato nelle altre città europee oggetto di studio, fatica a garantire alle esperienze di partecipazione giovanile un reale riconoscimento.
Dall’analisi dei casi studio è stato possibile evidenziare come la partecipazione giovanile a Bologna tenda paradossalmente e contro-intuitivamente a emergere soprattutto negli spazi lasciati ‘scoperti’ dalle istituzioni che, con la loro assenza, rendono l’attivazione giovanile tanto necessaria quanto possibile. Occupando, autogestendo e riqualificando spazi abbandonati o in disuso, i giovani attivi attraverso il centro sociale, la comunità ultras e il centro per sport urbani hanno, per esempio, creato dei veri e propri ‘servizi’ finalizzati a rispondere ai bisogni di altri giovani, ma anche di segmenti più vulnerabili della società (immigrati, indigenti) e dell’intera cittadinanza (famiglie del quartiere, visitatori). Biblioteche e aule studio autogestite, palestre popolari, spazi bimbi, doposcuola, dormitori per senza fissa dimora, eventi culturali hanno trovato spazio in queste esperienze di attivazione giovanile.
Nonostante la loro rilevanza sociale, molti dei casi studio hanno incontrato difficoltà nel loro dialogo con le istituzioni locali, le quali si sono dimostrate frequentemente incapaci di fornire a queste esperienze il supporto – materiale, logistico, politico e simbolico – necessario alla loro sopravvivenza e al loro consolidamento. Se rari sono stati i casi di attivo contrasto, altrettanto rari e/o intermittenti sono stati i momenti di ascolto e le prese di posizione in favore di questi progetti da parte delle istituzioni.
In altre parole, la stessa assenza istituzionale che ha reso necessario e possibile l’emergere di queste esperienze ha spesso messo a repentaglio la loro esistenza nel momento in cui queste realtà partecipative avrebbero avuto bisogno di essere ascoltate, supportate e difese delineando una ‘strategia’ istituzionale fatta di occasioni mancate. Allo stesso tempo, va evidenziato, è emersa in tutta la sua densità e complessità la tensione fra esigenze di distinzione e mantenimento di autonomia dal lato delle esperienze giovanili e pressioni alla normalizzazione/formalizzazione da parte degli attori istituzionali, sullo sfondo della centralità del rapporto diretto fra esperienze giovanili e comunità locale.
Trovo questo articolo molto interessante. Mi conferma che la realtà visibile sottende sempre quella non visibile agli occhi di guarda e Valuta soprattutto. Al riguardo i professionisti del Sociale. Conosco molto bene Bologna e non avrei mai pensato alle Istituzioni Locali come assenti nel collaborare con le iniziative Giovanili. Sarebbe comunque opportuno che le ricerche prendessero come campione non solo Bologna come spesso accade, ma si spostassero anche al Sud o in altre città del Nord, poichè, le realtà locali sono diverse e si potrebbero scoprire differenze importanti ad oggi mai prese in considerazione.
La ricerca presentata è molto interessante, è evidente che oggi i più giovani sentono il bisogno di appropriarsi di spazi “propri”e di gestirli con i “pari”. Un bisogno che c’é sempre stato, ma che oggi è più forte perché altre opportunità – lavoro, politica, sindacato, movimenti ecc- sono più deboli o meno apprezzate. Mi sembra però che manchi un’analisi della cosiddetta “movida”, con annesso uso/abuso di alcolici, anch’essa un’occupazione di spazi pubblici : in mancanza di meglio, o perché non si ha idea del meglio ?