Terzo settore: prospettive e urgenze


Felice Scalvini | 16 Aprile 2020

Se l’emergenza fosse predittiva del futuro, non dovrebbero esservi dubbi: il domani vedrà il Terzo Settore, con tutti gli enti che lo compongono, occupare uno spazio ancora più rilevante nei diversi ambiti del tessuto sociale ed economico del paese. La sua capacità di reagire, riorganizzandosi e mettendosi al servizio della collettività in questi tempi particolarmente duri è sotto gli occhi di tutti, e innumerevoli sono le iniziative che potrebbero essere ricordate. Molteplici sono gli esempi ormai noti di una capacità complessiva che, su tutto il territorio nazionale si sta esprimendo lungo tre fondamentali direttrici: della tenuta, della innovazione adattiva, e del ripensamento strategico.

 

Innanzitutto, la tenuta di decine di migliaia di enti che non hanno chiuso i battenti e continuano ad offrire, nelle RSA e con l’assistenza domiciliare per anziani, nelle strutture di accoglienza per disabili, minori e malati di mente e in mille altre situazioni una continuità di risposta ai bisogni delle persone.

Ma è l’innovazione adattiva che, soprattutto, ha caratterizzato l’azione degli ETS. Le realtà di volontariato nei diversi territori hanno organizzato con creatività e fantasia attività di supporto alle comunità locali. Ed allo stesso modo le altre organizzazioni, più organizzate ed imprenditoriali, hanno prodotto un innumerevole fiorire di iniziative che, usciti dalla crisi, potrebbero ispirare i futuri assetti del nostro vivere sociale, secondo criteri di maggiore attenzione e solidarietà reciproche.

 

Assetti e pratiche futuri che pure sono oggetto in questo momento di una riflessione di carattere strategico all’interno dell’universo del terzo settore. Un esempio è il Manifesto della filantropia istituzionale, promosso da Assifero, che invita le proprie diverse componenti a rimeditare e far progredire le modalità di erogazione di fondi privati, superando i finanziamenti esclusivamente per progetti e puntando al sostegno alle organizzazioni e alla costruzione di stabili partnership.

Perché il domani, la stagione del dopo covid-19 che tutti aspettiamo, sappia non disperdere ed anzi conservare e risultare stabilmente arricchita da un tale patrimonio di inventiva, solidarietà e capacità organizzativa, bisogna dunque attivarsi sin da ora. È infatti questo il tempo in cui stanno maturando, spesso in modo confuso e disordinato, decisioni e assetti che caratterizzeranno stabilmente e strutturalmente il tempo a venire. Mai come ora sono necessarie visione, strategia e leadership, qualità che, speriamo, il mondo del Terzo settore sappia dimostrare di saper mettere in campo. Perché se è vero che il futuro ha le radici nel presente e dunque innanzitutto è necessario sopravvivere, è altrettanto vero che il come si sopravvivrà segnerà inevitabilmente gli assetti futuri e pertanto le urgenze del momento vanno attentamente considerate e gestite. Fondamentale è dunque una lettura ad un tempo completa e articolata del presente per saper proporre le iniziative più adeguate a garantire che quanto si produce oggi sia predittivo di un futuro, per quanto possibile, lucidamente immaginato.

 

Per questo nell’urgenza del momento deve essere tenuto in debito conto che oggi alla carenza di risorse economiche si accompagna la carenza di legittimazione istituzionale. Si deve infatti avere la piena consapevolezza che, mentre sto scrivendo, dal punto di vista istituzionale, il Terzo Settore non esiste, per il semplice motivo che, mancando la registrazione nel Registro Unico, ancora non esistono gli Enti del Terzo Settore. Questo a quasi tre anni dalla promulgazione del Codice.

Scelte sbagliate in sede di messa a punto della normativa – sulle quali dovrebbero riflettere le forze politiche che ancora vivono le iniziative della società civile con sospetto, ma anche le Regioni e le rappresentanze del mondo del terzo settore – hanno determinato una sorta di percorso di guerra attuativo, nel corso del quale non ha certo prevalso il senso di urgenza, ma piuttosto la sollecitudine a tutelare micro esigenze di specifici e vari soggetti, inducendo una faticosa e non sempre semplice – quindi inesorabilmente lenta –  fase di mediazioni e alchimie regolamentari. Con risultato che oggi nel pieno della crisi, siamo ancora privi di un contenitore univoco e organizzato quale il Registro Unico. È come se un esercito arrivasse sulla linea del fuoco senza aver organizzato le truppe in armate distinte, identificabili e ben distribuibili sul fronte complessivo delle operazioni. Per questo riveste una assoluta urgenza l’istituzione del Registro Unico.  Senza di esso mancano i necessari centri di imputazione di norme e provvedimenti, come appare evidente in questa fase emergenziale, che vede una frenetica produzione di interventi legislativi. Ci si trova così a ricorrere all’utilizzo di categorie (ONLUSS per tutte) superate, ma tenute in vita per riempire il vuoto di una estenuante e indefinita transizione. Quindi la risorsa decisiva, che oggi va reclamata con forza e urgenza al pari quelle economiche, è l’identità istituzionale. Se non arriva in tempi rapidi, gli assetti futuri che oggi si stanno comunque definendo, risulteranno inesorabilmente per il mondo del Terzo Settore sfarinati e inadeguati a fondare il progetto di reale e complessivo protagonismo del quadro sociale ed economico a cui legittimamente ambisce.

 

Per certi versi analoghe considerazioni valgono per la questione della notifica alla UE del regime fiscale previsto per le imprese sociali. Anche su questa doverosa azione istituzionale è scesa la cappa del silenzio. Eppure, credo sia chiaro che lo sviluppo dell’impresa sociale dipende soprattutto dal regime di intassabilità degli utili e che senza la sua introduzione, le “forme-rifugio” organizzative continueranno ad essere rappresentate dalle cooperative sociali da un lato e dagli enti decommercializzati dall’altro. E non sarà certo il vagheggiare di ibridi o di benefit corporation a offrire prospettive ad una spinta realmente e da tempo esistente nel paese, ma mortificata, già con la legislazione del 2007, dall’assenza di una normativa fiscale coerente. Si tratta di richiedere con convinzione l’impegno del Governo nel portare a termine una “pratica” che giace immotivatamente in qualche ufficio ministeriale e non è ancora approdata a Bruxelles. Appare davvero paradossale questa inerzia, che perdura da più di due anni, su una piccola questione – ma grande per il Terzo Settore – mentre si dispiega un grande impegno per richiedere nuove opportunità riguardo ad altre misure d’aiuto. Tra l’altro si tratta di una procedura poco più che burocratica, visto che una norma simile era già in vigore in UK prima della Brexit e visti i consolidati pronunciamenti della UE sul regime fiscale delle cooperative ed i recenti provvedimenti circa l’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato.