Il rinnovo del CCNL delle cooperative sociali, un anno dopo

Verso una rottura del patto sociale della cooperazione sociale?


Luca Fazzi | 13 Febbraio 2025

È trascorso un anno dalla firma del nuovo contratto nazionale dei lavoratori delle cooperative sociali, un periodo di tempo che dovrebbe essere sufficiente a tirare delle conclusioni e che invece offre un quadro ancora molto contraddittorio e con diversi nodi da sciogliere. Dopo 12 mesi, a macchia di leopardo diverse amministrazioni pubbliche hanno riconosciuto in toto o in parte gli aumenti. In alcune regioni dove storicamente il legame tra politica e cooperazione è più radicato (per esempio l’Emilia-Romagna o l’Umbria post leghista), gli adeguamenti sono stati estesi e la situazione è molto migliorata rispetto all’inizio dello scorso anno.

Tuttavia, molte cooperative che hanno regolarmente anticipato gli aumenti salariali continuano a operare con appalti e tariffe che riconoscono solo in parte residuale, o non riconoscono, il maggiore costo del lavoro. Le negoziazioni con il pubblico sono in molti cantieri ancora aperte e sono soggette a dei tiri di fune dagli esiti incerti. Per esempio, cooperative a cui era stato promesso in primavera un adeguamento con la riprogrammazione autunnale dei bilanci degli enti locali sono state pagate con l’adeguamento dell’Istat, oppure quanto pattuito non è stato più erogato a causa di problemi di finanze dei bilanci pubblici. In altri casi, gli aumenti sono stati concessi per il 2024, mentre resta incerto il riconoscimento per il biennio successivo. In generale, il processo di adeguamento delle tariffe agli aumenti sta procedendo ancora in molti territori con ostacoli e questo impone delle riflessioni più ampie di quelle economico contabili, per esempio, relativamente al valore effettivamente dato al sociale nell’ambito delle attuali politiche pubbliche.

Il focus sul riconoscimento degli aumenti è un importante indicatore dello stato di salute del welfare locale. Nel corso dell’ultimo decennio, in particolare la cooperazione è diventata spesso una riserva di lavoro povero forzando fino al punto di rottura l’ideologia delle alte motivazioni valoriali dei lavoratori del sociale1.  Recuperare il gap salariale accumulato rappresenta di conseguenza un segnale non solo materiale, ma anche simbolico rispetto alla rilevanza sociale di certe attività di pubblico interesse.

Al di là della tabella dei riconoscimenti degli adeguamenti salariali nelle varie regioni e nei vari settori, quali sono i costi non solo economici, ma anche organizzativi e politici, di questo recupero tuttavia rimane qualcosa di poco esplorato e che meriterebbe invece di qualche considerazione più approfondita. In due precedenti contributi sono stati riportati i risultati di un focus longitudinale sull’applicazione del nuovo contratto nazionale in un campione di 30 cooperative sociali che ha messo in luce la fatica di ottenere da parte dei committenti pubblici il riconoscimento delle nuove tariffe2. A un anno di distanza cosa è accaduto? Il processo di adeguamento dei salari si è completato? Chi sta pagandone i costi?

Vivere nell’incertezza

La gran parte della negoziazione con gli enti pubblici per l’adeguamento delle tariffe è stata svolta dalle singole cooperative, mettendo in evidenza inevitabilmente il ruolo del potere contrattuale di ciascuna di esse dispone. Le centrali cooperative a livello regionale si sono mosse seguendo strategie differenziate. La principale è rimasta quella dei tavoli di lavoro regionali e solo in poche realtà la negoziazione si è trasformata in una protesta organizzata per spingere gli enti pubblici a sbloccare la situazione (Roma è stato uno dei pochi casi in cui alcune centrali hanno spinto verso la mobilitazione in piazza). La prima tranche di aumento dei salari prevista dal nuovo contratto nazionale è stata pagata ai lavoratori da parte di quasi tutte le cooperative. Solo in due casi tra quelli oggetto di studio questo non è avvenuto per una condizione di grave crisi economica accumulatasi negli ultimi anni e esplosa con la stipula del nuovo contratto. Le cooperative sociali che hanno riconosciuto gli aumenti ai lavoratori nei primi sei mesi si sono trovate quasi tutte inizialmente in una situazione di difficoltà. Le interlocuzioni con i committenti pubblici da cui deriva ancora la gran parte delle risorse per il finanziamento dei servizi sono state molto faticose perché c’è voluto tempo per spiegare la situazione. Solo in pochissimi casi a livello locale si era provveduto a allertare per tempo le pubbliche amministrazioni negli aumenti e a concordare previsioni di bilancio già nel 2023 per fare fronte all’adeguamento delle tariffe. Gli adeguamenti delle tariffe sono avvenuti in forme variegate: gli aumenti sono stati spesso parziali come nel caso dei servizi sociosanitari rispetto ai quali, in diverse regioni sono stati concessi gli aumenti per la quota assistenziale e non per quella sanitaria. In diversi casi l’aumento non è stato possibile per via di limitazioni dei contratti in vigore e c’è stato uno scarico di responsabilità tra i diversi livelli amministrativi: per esempio con le regioni che davano il via libera alla possibilità degli aumenti scaricando sui comuni o le aziende sanitarie la decisione di implementarli. Nonostante il riconoscimento degli aumenti stia lentamente procedendo, l’altra grande incognita riguarda il futuro biennio. Se la prima tranche degli aumenti, stimata nell’ordine del 5-6% del valore salariale, è stata faticosa da recuperare, il riconoscimento degli incrementi per il 2025 e il 2026 sembra essere ancora più complicato da inserire nei bilanci previsionali. Le condizioni della finanza degli enti locali sono caratterizzate da un elevato livello di incertezza. Così, per esempio, in un paio di casi gli incrementi già promessi dopo lunghe trattative sono tornati a non essere per il 2025 più sicuri, mentre in altri casi le trattative sono ancora in alto mare. Solo il 20% delle cooperative ha certezza che anche per il 2025 gli adeguamenti saranno garantiti e la maggiore penalizzazione sembra riguardare le cooperative di inserimento lavorativo che operano tradizionalmente fuori dai regimi a retta.

I tre quarti delle cooperative contattate dunque vivono una condizione di forte precarietà per quanto riguarda il breve medio periodo che si aggiunge all’ormai consolidato trend di riduzione delle marginalità registrato a partire dalla metà dello scorso decennio per l’intero comparto nazionale3. Questo combinato disposto rischia di creare una grave impasse sugli investimenti e sulla programmazione strategica in un momento storico in cui i bisogni si moltiplicano e servirebbero urgentemente nuove risposte e nuovi posizionamenti da parte degli attori del welfare. “Sappiamo che sarebbe il momento di cambiare – sintetizza il direttore di una cooperative di medie dimensioni che eroga servizi ai disabili – ma se non sappiamo se ci saranno i soldi per pagare gli aumenti, come si fa a decidere di investire?”

Se i costi aumentano, come si comportano i compratori?

Un secondo aspetto che la partita dell’aumento contrattuale sembra avere aperto almeno per alcune amministrazioni pubbliche riguarda il costo dei servizi offerti dalle cooperative sociali. La situazione, anche in questo caso, è molto variegata e dipende dalle tradizioni amministrative e dai rapporti tra pubblico e cooperazione sociale a livello locale. Diversi intervistati segnalano la comprensione da parte degli amministratori e dei dirigenti pubblici rispetto al problema dei bassi salari offerti dalle cooperative sociali. Tuttavia, anche gli stessi interlocutori più comprensivi evidenziano come la stessa condizione finanziaria degli enti pubblici sia gravata da preoccupazioni e problemi di bilancio. La forte centratura del dibattito sulle risorse mette in luce quello che una presidente di una cooperativa sociale denuncia essere la percezione di una ormai “terribile perdita di interesse” sul significato sociale dei servizi di welfare, che sono visti sempre di più attraverso l’unica lente della contabilità economica. “Ci sono i soldi? Allora si fa. Se no si taglia. Il ragionamento ormai è tutto qui.”

Come si comportano i compratori dei servizi delle cooperative sociali di fronte all’aumento dei costi è un argomento che la focalizzazione, anche legittima, della discussione sulla necessità di adeguare i salari per garantire dignità del lavoro e attrattività da parte delle cooperative sociali rischia di non considerare in modo adeguato. Il welfare mix in Italia si è affermato per diverse ragioni collocate in periodi storici successivi: nella fase cosiddetta pionieristica la cooperazione sociale esprimeva istanze sociali e culturali provenienti dalla società civile e date anche le dimensioni del fenomeno e le condizioni della finanza pubblica veniva supportata con un volano di spesa espansiva. Con l’aumento delle dimensioni del welfare locale e la crescita dei fatturati investiti in servizi sociali, a giustificare l’espansione delle cooperative sono state però sempre più, oltre a motivazioni di consenso politico, anche ragioni economiche relativa al minore costo del lavoro esternalizzato e alla flessibilità dell’offerta. Venendo meno la spinta politica a un’idea di welfare dei diritti e con l’ascesa delle politiche di austerity l’imperativo economico è così diventato quasi ovunque il parametro principale di valutazione dei compratori. Così non stupisce che alcuni intervistati riportino posizioni da parte del pubblico che paventano un ritorno in house di alcuni servizi perché il vantaggio economico del contracting-out comincia a essere inferiore rispetto ai vantaggi delle gestioni pubbliche o para-pubbliche (per esempio attraverso la costituzione di aziende servizi sociali che assumono assistenti sociali prima esternalizzati alla cooperazione).

Un analogo fenomeno di disaffezione si rileva peraltro per i compratori privati: una cooperativa di assistenza domiciliare che eroga servizi a mercato, per esempio, ha subito un drastico calo della domanda perché l’aumento di uno o due euro orari imposto dall’adeguamento dei salari al nuovo contratto ha per molte famiglie rappresentato il superamento di una linea rossa che ha spinto a cercare fornitori alternativi nel mercato nero o presso altri erogatori profit.

Questi movimenti da parte dei compratori sono segnali che dovrebbero fare pensare non solo alla sostenibilità degli aumenti salariali, che sono legittimi e importanti per restituire dignità al lavoro, quanto alla reale competitività di molti servizi erogati dalla cooperazione. Se il prezzo è diventato l’elemento di discrimine che cosa eventualmente è mancato da parte della cooperazione per rendere i propri servizi e prodotti realmente distintivi e non sostituibili solo in base a un computo economico? Una riflessione su questo tema sarebbe probabilmente necessaria perché, se realmente fosse la qualità dei servizi a fare la differenza nell’offerta delle cooperative un incremento del costo in linea con quello registrato negli ultimi due anni con la maggior parte dei prodotti di consumo dovrebbe essere meno impattante sulla stabilità del rapporto con i compratori.  

Chi paga i costi degli aumenti?

L’ultimo aspetto che si profila dall’analisi longitudinale dell’applicazione del contratto dei lavoratori delle cooperative sociali è relativo a chi è il soggetto che si prende carico dei nuovi costi. La grande partita del rinnovo contrattuale sembra coinvolgere principalmente la cooperazione sociale da una parte e le pubbliche amministrazioni dall’altra. A causa delle difficoltà di riconoscere gli aumenti da parte del pubblico in realtà c’è un terzo attore che entra in gioco, ovvero gli utenti dei servizi. Per esempio, dopo una lunga negoziazione una piccola cooperativa di servizi per l’infanzia è riuscita a ottenere il riconoscimento dell’aumento nelle nuove tariffe del comune. Questo è stato accolto inizialmente come un successo, ma nei mesi successivi la pubblica amministrazione ha aumentato le rette dei nidi scaricando l’incremento dei costi sulle famiglie. “Alcuni famigliari, racconta la presidente della cooperativa, hanno protestato con la nostra coordinatrice dicendo che ci approfittiamo che il nostro è l’unico nido della zona.” Un’altra cooperativa di grandi dimensioni, su cui l’aumento salariale pesa per più di settecentomila euro solo nel 2024, ha già dovuto programmare un aumento delle rette per i posti di RSA perché “altrimenti non ce la facciamo” e con la consapevolezza che già adesso che le rette pesano in modo importante sul reddito dei famigliari.

Il trasferimento dei costi per finanziare gli aumenti salariali sui cittadini è un problema drammaticamente sottovalutato, che rischia di essere esplosivo per la cooperazione sociale. Le cooperative nascono con lo scopo di includere e favorire le persone meno abbienti e storicamente questo è stato un importante argomento per legittimarne sia il trattamento giuridico di favore che l’accesso a mercati pubblici protetti. Di fronte alla necessità di coprire i costi degli aumenti salariali, la gran parte delle cooperative sembra assumere una posizione di delega di responsabilità dei costi dei servizi al pubblico rischiando di andare in cortocircuito con l’immagine delle imprese sociali intraprendenti che in prima persona assumono l’iniziativa di dare risposte a chi soffre una condizione di difficoltà di accesso ai servizi. Che il focus sui bisogni fosse parte di una narrativa che si è ampiamente spenta con l’istituzionalizzazione del welfare mix e l’interazione della cooperazione nelle politiche pubbliche è un dato acquisito dalla ricerca empirica, che ha mostrato come le cooperative sociali si caratterizzano per una varietà di modelli e obiettivi alcuni ancora genuinamente sociali altri meramente e occupazionali4. Mentre in passato il welfare pubblico era ancora in parte espansivo, nella fase attuale la selettività e le restrizioni sono in forte aumento. Il rischio di scaricare i costi delle politiche di risparmio sui cittadini è dunque molto più elevato. In questo modo tuttavia quello che si profila è una rottura del patto implicito di cittadinanza su cui è sorta la cooperazione sociale. Nate per aiutare i cittadini più deboli, le cooperative sociali hanno fatto la loro fortuna inizialmente cercando alleanze con famigliari e attori della comunità. In questa fase, invece di costruire piattaforme negoziali con la cittadinanza e le reti della società civile per reclamare non solo i giusti aumenti contrattuali, ma anche un investimento sul welfare sociale, le rappresentanze della cooperazione e molte cooperative si sono pensate come normali attori economici senza considerare che la vera natura della loro forza contrattuale risiede nella capacità di rappresentare gli interessi sia dei lavoratori che dei beneficiari della loro azione.

In conclusione: l’applicazione del nuovo contratto dei lavoratori delle cooperative sociali allo stato attuale non rivela solo la difficoltà della cooperazione sociale di essere riconosciuta come soggetto meritevole di offrire lavoro dignitoso, ma segnala anche la necessità di progettare una strategia di promozione e rivendicazione di diritti che non si limita ai soli lavoratori, ma ricomprende anche le persone e i gruppi sociali che beneficiano dei servizi delle cooperative. Solo attraverso una nuova alleanza è pensabile di avanzare piattaforme negoziali che offrono servizi di qualità che motivano i lavoratori e rinforzano le politiche di welfare nel loro insieme e non frammentano gli attori e le loro rappresentanza politica.

  1. Giullari B., “Le condizioni di lavoro nell’impresa sociale: un tema urgente di rilevanza pubblica”, Impresa Sociale, 2, 2024.
  2. Fazzi L., “Rien ne va plus? Il nuovo contratto nazionale dei lavoratori delle cooperative sociali”, Welforum.it, 8 febbraio 2024; Fazzi L. Coop sociali e il nuovo contratto. Cosa sta succedendo, in Welforum.it, 8 luglio 2024.
  3. Marocchi G., “Sostenibilità economica e solidità d’impresa”, Impresa Sociale, 4, 2024.
  4. Borzaga C. Fazzi L., “Civil society, Third sector, and Healthcare: the case of social cooperatives in Italy”, Social Science & Medicine, Vol. 123, pp. 234-241.

Commenti

Gentile Luca Fazzi, la ringrazio dell’utilissima analisi sullo status quaestionis.
Con accenti ugualmente preoccupati ero intervenuto anche io poco tempo fa, su Welforum.it (https://www.welforum.it/la-crisi-del-lavoro-sociale-tra-fine-della-narrazione-sussidiaria-e-working-poor/) come Vicepresidente di Associazione Italiana Progettisti Sociali e collaboratore di questo spazio. Come membro del Consiglio di Presidenza di Federsolidarietà Lazio seguo dall’interno l’evolversi di tutta questa spinosissima, e annosa vicenda, specie per quel che riguarda i servizi in accreditamento di strutture socio assistenziali residenziali (case famiglia) per minori, madri con bambino, persone adulte con disabilità. Mi farebbe assai piacere, anche fuori linea, proseguire con lei il confronto.