Verso una rete social-sanitaria
Osservazioni al piano sociosanitario integrato della Regione Lombardia
Antonio Monteleone | 7 Febbraio 2020
La Giunta della Regione Lombardia con la Dgr 2498 del 26.11.2019 ha approvato la proposta di Piano Sociosanitario Integrato della Lombardia per il quinquennio 2019 – 2023 (PSL). In attesa dell’approvazione definitiva mi inserisco nella discussione in atto in merito ai temi di contesto che, in Dgr, sono delineati senza genericità sotto diversi aspetti, ma cui si possono aggiungere ulteriori approfondimenti in grado di guidare la visione strategica e l’azione pianificatrice di Regione Lombardia. Ne accenno alcuni.
Il progressivo invecchiamento e l’aumento di patologie croniche
Lo sforzo di frenare, se non riportare a livelli accettabili, l’epidemiologia erompente nel corso della senescenza trova ostacoli di difficile maneggevolezza, allorché si voglia intervenire sui comportamenti dei pazienti durante tempi lunghi di monitoraggio e orientamento. Sia se si intende guidare il paziente a porre in essere tutte le azioni per evitare l’aggravamento o per il controllo e contenimento di esiti più complessi di una singola malattia; sia, con ancor maggiore difficoltà, quando le patologie da affrontare sono diverse e con interagenti effetti sull’organismo. Infatti.
In merito ai percorsi per la presa in carico del paziente cronico e fragile (PIC), al fine di non limitarsi a petizioni di principio, occorrerebbe approfondire, tramite un’indagine strutturata ad hoc, le ragioni e le condizioni di quei pazienti che pur risultando cronici non hanno aderito alla PIC. Infatti, solo grazie alla piena chiarezza analitica sull’intero panorama delle (non)adesioni al reclutamento è possibile cogliere cluster di necessità cliniche e criticità sociali di non facile emersione.
In merito ai soggetti polipatologici occorre aver presente i punti di seguito esplicitati:
- la differenza tra comorbilità e multimorbilità non è semantica, ma clinica ed esige un approccio differente per evitare di dare il primato alla malattia indice e trascurare il quadro nosologico collaterale e, non ultime, le preferenze del paziente sul tipo di trattamento;
- la non prevedibilità in una singola persona dell’andamento di condizioni croniche multiple e degli effetti, positivi o avversi, della politerapia;
- la diversità dei contesti esistenziali ed economici con ricadute sulla salute;
- la soggettività psico-biologica del carico di malattia (desease burden);
- le differenze di genere nell’insorgenza e decorso delle malattie. Ad esempio, le donne sono più frequentemente affette da patologie croniche, il 42,6% vs il 37,0% degli uomini, divario che aumenta per la multicronicità che affligge quasi un quarto delle donne (24,5%) vs il 17,0% degli uomini: tali differenze si acuiscono con l’avanzare dell’età (Rapporto osservasalute 2018);
- e più in generale l’attuale crescente opzione verso una medicina orientata alle caratteristiche individuali;
- il differente grado di acquisizione dell’autogoverno (self-management) dei pazienti da cui dipende l’ottimizzazione degli esiti di salute (health autcome).
Soffermandoci su quest’ultimo punto con l’aiuto del ‘Rapporto osservasalute 2018’ va messo a fuoco che “l’autonomia dell’anziano sarà uno dei problemi da affrontare nel futuro. Si pensi che, nel 2016, erano circa 200 mila le persone tra i 65-74 anni non in grado di prendersi cura della propria persona e quasi 1 milione e 300 mila tra gli over 75enni.
Perciò più correttamente nelle condizioni croniche multiple si deve puntare all’obiettivo di un governo integrato – gli attori sociosanitari e sociali sono chiamati in gioco secondo le loro specificità operative – dei percorsi di cura e assistenza grazie a cluster il più possibile omogenei.
Le malattie croniche non trasmissibili
Va prestata maggior attenzione, più di quanta ne viene data nel testo attuale del PSL, alla prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili (MCNT), che oltre ad avere un attuale rilevante peso epidemiologico, sociale ed economico saranno in continua crescita dato l’innalzamento dell’età media della popolazione, quale somma dell’effetto positivo della forte riduzione della mortalità infantile e nel prolungamento dell’aspettativa di vita e dell’effetto negativo della contrazione della natalità. Nel 2017, secondo i dati elaborati e diffusi dal ‘Rapporto osservasalute 2018’ le malattie croniche interessavano quasi il 40% della popolazione, ovvero quasi 24 milioni di italiani dei quali oltre 12,5 milioni con multicronicità.
Il Piano Nazionale Prevenzione ha previsto, come macro-obiettivo, la riduzione del carico prevenibile ed evitabile di morbosità, mortalità e disabilità di tali patologie attraverso un approccio che comprenda strategie di popolazione (di comunità) e strategie sull’individuo.
In particolare, se però si vuole fare ‘prevenzione’ efficiente occorre intervenire sulla popolazione pre-fragile, con sinergie di studio e pianificazione tra i diversi assessorati con compiti di welfare.
Rammentiamo che si è “fragili” quando sono compromesse le capacità di far fronte a quotidiani fattori di stress, sicché è più facile incorrere in danni alla salute e all’autosufficienza. Manca però un gold standard per identificare inequivocabilmente la fragilità, per cui ci si avvale del criterio proposto da Fried e collaboratori1 in base al quale tale condizione emerge quando si soddisfano 3 dei 5 aspetti fenotipici indicativi di capacità compromesse, vale a dire, ridotta forza di presa manuale, scarso vigore, velocità di veglia rallentata, diminuita attività fisica e la perdita di peso involontaria. Una fase di pre-fragilità, in cui sono presenti 1 o 2 dei criteri accennati, identifica un sottoinsieme ad alto rischio di passare alla fragilità.
Le famiglie italiane sempre più piccole
“Le famiglie italiane sono sempre più piccole” come ci informa l’Istat nell’Annuario statistico 2019.
«Le famiglie, 25 milioni e 700 mila, sono sempre più numerose e sempre più piccole. Il numero medio di componenti è passato da 2,7 (media 1997-1998) a 2,3 (media 2017-2018), soprattutto per l’aumento delle famiglie unipersonali che in venti anni sono cresciute di oltre 10 punti: dal 21,5% nel 1997-98 al 33,0% nel 2017-2018, ovvero un terzo del totale delle famiglie», scrivono gli estensori dell’Annuario. La Lombardia supera la media nazionale con 34,1% di persone sole. In allegato il dataset più dettagliato.
Le proiezioni dell’Istituto Nazionale di Statistica mostrano che la fascia di popolazione ultrasessantacinquenne, nel 2028, ammonterà al 26,0%, pari a poco più di 15,6 milioni di abitanti, mentre nel 2038 saranno oltre 18,6 milioni, il 31,1% degli italiani e in cornici familiari sempre più deboli, formate in grande prevalenza da anziani, in gran parte soli.
Proprio il costante aumento delle persone anziane, sole e spesso e con problemi cognitivi, come documentato anche dalla natura dei beneficiari della Rsa aperta, fa sorgere diverse criticità ed esigenze.
In particolare, facciamo presente che tutti i servizi e i modelli organizzativi, che contemplano il rientro a domicilio con continuità assistenziale o il lavoro sia di educazione sanitaria orientata a favorire l’autonomia del paziente sia di supporto all’accuditore familiare (empowerment e selfmanagement), devono mettere in conto il rischio di confinamento in casa e di non comprensione dei suggerimenti in merito all’autogestione delle situazioni.
Allungare i percorsi assistenziali e di cura
Occorre allungare i percorsi verso i ricoveri di lunga durata o permanenti in strutture residenziali arricchendo e ampliando la rete dei servizi sociali nonché calibrando le politiche abitative e i criteri edilizi a questa specifica fascia della popolazione, prestando particolare attenzione a quanti denunciano una riduzione dell’autosufficienza e richiedono ambienti controllati e protetti per tutelare le funzioni residue.
Già si sta facendo molto in questo senso (C.A.S.A. e altre tipologie di alloggi per anziani) grazie all’impegno nella quasi totalità dei casi da gestori privati operanti attraverso business plan pluriennali, ai quali dunque serve chiarezza e stabilità di regole.
Stringere un patto di sussidiarietà
Infine, non va dimenticato che il crescente fabbisogno di salute si manifesta lungo una persistente scia della crisi economica che offre l’occasione per ripensare il modello welfare in chiave partecipativa e di corresponsabilità. In altri termini, secondo noi la congiuntura rimanda alla necessità di stringere un patto di sussidiarietà, in ambito sociale e sociosanitario, ancora più forte che in passato tra settore di diritto pubblico (con funzioni di governo regolazione e controllo di equità ed appropriatezza) e settore di diritto privato (con funzioni di investimento ed erogazione dei servizi) per dare una risposta concreta e rapida alle nuove emergenze epidemiologiche determinate dall’invecchiamento in un frangente in cui alcuni degli strumenti più consolidati del sistema sociale e socio-sanitario trovano impedimento ad essere utilizzati e sviluppati per la necessità di contrazione della spesa e a motivo costante riduzione delle risorse.
Nel 2017 il SSN dispone di circa 191 mila posti letto per degenza ordinaria, di cui il 23,3% nelle strutture private accreditate, 13.050 posti per day hospital, quasi totalmente pubblici (89,4%) e di 8.515 posti per day surgery in grande prevalenza pubblici (78,2%). A livello nazionale sono disponibili 3,6 posti letto ogni 1.000 abitanti, in particolare i posti letto dedicati all’attività per acuti sono 3,0 ogni 1.000 abitanti. La distribuzione dell’indicatore risulta piuttosto disomogenea a livello territoriale: Molise (4,4 posti letto) mentre Calabria (3,0 posti letto), Campania (3,1) e Puglia (3,1) fra le Regioni con la minor disponibilità di posti letto. A livello nazionale i posti letto destinati alla riabilitazione e lungodegenza sono 0,6 ogni 1.000 abitanti con notevole variabilità regionale.