I costi dell’approccio Salvini: richiedenti e lavoratori dell’accoglienza a rischio
Silvia Pitzalis | 27 Febbraio 2019
La legge 132/2018 su “migrazione e sicurezza” apporterà mutamenti radicali nel sistema di accoglienza, con ripercussioni non solo sul diritto di asilo ma anche sul diritto al lavoro di migliaia di giovani professionisti formati on the job (Barberis 2010).
Con la conversione, con modifiche, del D.L. del 4 ottobre 2018 n. 113 (anche conosciuto all’opinione pubblica come “Decreto Sicurezza” o “Decreto Salvini”), è entrata in vigore la legge del 1 dicembre n. 132 del 2018 su immigrazione e pubblica sicurezza. La “Protezione umanitaria” è stata abrogata e frazionata in altre tipologie di permesso, per nulla paragonabili per qualità e quantità alla “vecchia umanitaria”. Inoltre scompare la dicitura “motivi umanitari”, segnando una svolta epocale in termini etici, morali e umani nel nostro sistema di riconoscimento di protezione. Sebbene lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria rimangano invariate perché regolamentate da leggi internazionali, e malgrado l’articolo 10 comma 3 della Costituzione continui a garantire la “protezione costituzionale” (ancora poco concessa), stiamo già assistendo a importanti mutamenti nelle procedure che conferiscono invece quella tipologia di protezione a riconoscimento nazionale, i nuovi permessi di soggiorno per “casi speciali”. Questi verranno rilasciati direttamente dal Questore e si dividono in: cure mediche, calamità, atti di particolare valor civile, vittime di tratta o sfruttamento, vittime di violenza. La nuova legge si inserisce all’interno di un più ampio ripensamento non solo del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione ma anche dell’approccio politico al fenomeno migratorio. Nei prossimi mesi assisteremo al completo stravolgimento di questo sistema, a causa anche della riduzione delle risorse economiche a disposizione degli enti gestori, con gravi ripercussioni in termini occupazionali.
Entrando nello specifico, il modello di accoglienza imposto dalla nuova legge prevede, innanzitutto, l’esclusione dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione umanitaria dalle strutture ex SPRAR. Ribattezzato in SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori non accompagnati) al suo interno potranno essere accolti solo i titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, i minori stranieri non accompagnati (richiedenti e titolari) e i nuclei famigliari. Non è ancora chiaro chi tra i titolari di permessi per casi speciali potrà risiedere nelle strutture di accoglienza del SIPROIMI.
I richiedenti in attesa di esito (commissariale o giudiziale) – che prima della nuova legge avevano la possibilità di essere ospitati anche negli SPRAR – verranno in questi mesi spostati nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) o nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), riaffermando, così, un modello di accoglienza basato su un approccio fortemente assistenzialista ed emergenziale e ridotto al soddisfacimento dei bisogni primari.
Inoltre, la probabile esclusione dei titolari di protezione umanitaria dal sistema di accoglienza sta portando ad un aumento delle persone destinate alla strada, non avendo più diritto a risiedere nelle strutture. Queste persone, alle quali non verrà offerta alcuna alternativa, si troveranno, molto probabilmente, a vivere di espedienti in situazioni di forte precarietà sociale ed esistenziale.
Dopo la scadenza di alcune convenzioni e il blocco di altre da parte del Viminale, anche la gestione delle strutture di prima accoglienza CAS e CARA è stata completamente ripensata: le Prefetture, infatti, stanno basando i prossimi bandi sul nuovo capitolato, rilasciato a fine dicembre 2018 dal Ministero dell’Interno. Le nuove disposizioni favoriscono l’accorpamento dei beneficiari in strutture più grandi (fino a un massimo di 300 persone), a causa dell’ingente riduzione del budget. Se i vecchi bandi prevedevano un massimo di 35 euro pro die e pro capite, il nuovo capitolato dispone una forbice direttamente proporzionale al numero di persone accolte che va da 26,50 euro a 21,50, sempre pro die e pro capite, con il forte rischio di offerte al ribasso. Secondo alcuni, con questa nuova organizzazione molti gestori storici dell’accoglienza potrebbero non partecipare più, lasciando spazio alle holding straniere.
Ma su cosa andranno ad incidere realmente questi tagli economici?
Un simile passo indietro nella gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo viene imposto a discapito soprattutto della loro integrazione nel territorio locale. Non senza difficoltà, infatti, negli ultimi anni alcune realtà avevano tentato di strutturare una tipologia di “accoglienza diffusa” che, da un lato, evitava la concertazione massiva dei richiedenti in strutture sovraffollate; dall’altro, promuoveva la loro integrazione attraverso corsi di italiano, attività formative, tirocini, etc. Per quanto indubbiamente perfettibile, criticabile e limitato ad alcuni contesti (si veda il “Modello Bologna”), c’è stato il tentativo di sviluppare un sistema di accoglienza più attento alle esigenze non solo dei richiedenti ma anche dei lavoratori, dei territori che accolgono queste strutture e della cittadinanza. Seppur numericamente esigue, queste esperienze virtuose verranno totalmente eliminate dal nuovo approccio del Ministro Salvini.
La riduzione del budget pro die e pro capite e l’aumento del numero di richiedenti asilo ospitati per singola struttura avrà conseguenze importanti sui servizi erogati, ridotti ai bisogni essenziali (vitto e alloggio). Di conseguenza si sta già verificando un consistente taglio del personale impiegato nel sistema di accoglienza, con licenziamenti e mancati rinnovi che coinvolgeranno 50 mila lavoratori (stime della FP CGIL), una forza lavoro a maggioranza femminile e prevalentemente giovanile. Verranno eliminate, soprattutto, quelle figure professionali costruite ad hoc e on the job per soddisfare bisogni inerenti l’integrazione dei richiedenti e dei titolari di protezione sul territorio italiano. Ad esempio: prima della nuova legge erano previste da bando figure specifiche come il tutor lavorativo, impiegato nel coadiuvare l’offerta del territorio – in termini di corsi di formazione, tirocini e posti di lavoro – con le capacità/competenze possedute e costruite dai beneficiari. Questo fondamentale servizio è gestito negli SPRAR (fino al prossimo capitolato) da figure apposite assunte dagli enti gestori. Nei CAS – nei quali, secondo l’elaborazione dell’ISPI basata sui dati del Ministero dell’Interno, erano accolte nel 2017 158.821 persone contro le 24.741 di quelle accolte negli SPRAR – questa mansione viene, invece, svolta dagli operatori sociali. Queste figure professionali, oltre a dedicarsi al soddisfacimento dei bisogni primari dei beneficiari (consegna denaro per il vitto e il pocket money, iscrizione al Sistema Sanitario Nazionale, iscrizione alla residenza anagrafica e ottenimento del codice fiscale, accompagnamenti sanitari, etc.), si occupano anche della stesura del curriculum vitae dei beneficiari, della loro eventuale iscrizione a corsi di formazione o professionalizzanti, e del loro orientamento e accompagnamento nel mondo lavorativo.
Per richiedenti e titolari erano previsti altri servizi con lo scopo di potenziare il loro coinvolgimento sociale e culturale nel territorio: inserimento a scuola di tutti i minori; supporto legale; realizzazione di corsi di lingua italiana da parte degli enti gestori o iscrizione e accompagnamento ai corsi L2; orientamento e accompagnamento all’inserimento abitativo; attività socio-culturali e sportive.
Tutti questi servizi, con la nuova legge, vengono azzerati per i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria, e ridotti per titolari di protezione internazionale, data la volontà da parte del Governo di ridurre la spesa pubblica per finanziare il sistema di accoglienza. Se il nuovo capitolato si riferisce per il momento solo alla gestione delle nuove strutture CAS, l’orientamento e le parole del ministro Salvini non danno molte speranze rispetto al budget di spesa dei SIPROIMI (ex SPRAR), con forti riduzioni delle risorse (materiali e umane) a disposizione.
Prendiamo ad esempio il supporto legale erogato dagli enti gestori ai beneficiari accolti. Questo compito è svolto da figure specifiche chiamate operatori o (più raramente) consulenti legali, i quali posseggono competenze giuridico-amministrative. Da bando ministeriale questa tipologia di personale deve possedere una laurea in giurisprudenza o equipollente (scienze politiche). Più raramente è possibile trovare laureati in altre discipline (scienze sociali e umanistiche). Questo settore, come la maggior parte dei settori del sistema di accoglienza, è occupato da personale giovane a prevalenza femminile: per questo motivo da ora in poi si userà il femminile per rivolgersi a questa categoria lavorativa.
Le operatrici legali svolgono, prima di tutto, un importante lavoro di rafforzamento della consapevolezza dei beneficiari dell’accoglienza riguardo ai loro diritti inerenti la richiesta di asilo, tramite l’organizzazione di apposite informative legali, sia collettive che individuali. L’obiettivo è quello di informare i richiedenti riguardo alla normativa vigente, esporre le varie tipologie di permesso alle quali possono ambire e comprendere quali siano le loro esigenze legali specifiche.
Negli esempi più virtuosi presenti sul territorio nazionale (mi riferisco soprattutto ai casi del bolognese e del parmense che conosco personalmente), le operatrici legali hanno, inoltre, il compito di seguire i beneficiari durante tutto l’iter legale di richiesta asilo e monitorare le scadenze dei permessi di soggiorno temporanei, che i richiedenti in attesa di esito ottengono dalla Questura di competenza.
Altra importante mansione riguarda la “raccolta delle memorie”, ovvero la stesura della storia personale del richiedente che ha come finalità quella di spiegare i motivi che lo hanno spinto a lasciare il Paese di provenienza. La stesura della memoria è facoltativa e non sempre risulta essere un elemento a favore del richiedente. Il suo invio viene valutato dall’operatrice legale stessa, nel caso in cui ritenga che possa realmente essere di supporto all’audizione – momento cruciale durante il quale il richiedente viene ascoltato davanti ad un membro della Commissione Territoriale. La scrittura della memoria è una tappa molto delicata e complessa del lavoro dell’operatrice legale, basata sull’instaurazione di un rapporto di fiducia con il beneficiario, sull’ascolto e la comprensione reciproca. Questa mansione necessita anche di un lavoro dal forte carattere sociale, di uno sforzo di traduzione culturale – ad esempio riguardo al sistema giuridico e amministrativo del nostro Paese – non sempre di facile attuazione. Una delle maggiori difficoltà riguarda il fatto che parlare del proprio passato con una persona estranea non è sempre agevole sia per questioni inerenti la fiducia – i beneficiari di fatto non hanno un rapporto quotidiano con gli operatori legali, come quello che, invece, hanno con gli operatori sociali – sia in riferimento ai numerosi traumi e abusi subiti nel corso del viaggio. Durante i colloqui organizzati per scrivere le memorie è sempre presente, oltre che al beneficiario e all’operatore legale, un interprete o un mediatore, per garantire la comprensione linguistica e culturale reciproca.
Una volta avuto l’esito dalla Commissione Territoriale, nel caso in cui venga negata la protezione, è possibile, entro 30 giorni, fare ricorso in Tribunale contro il diniego, grazie al lavoro di un avvocato, scelto previo colloquio esplicativo da parte dell’operatrice legale e previo consenso del beneficiario.
Il ruolo dell’operatrice legale non si esaurisce dopo l’esito commissariale; anzi, questa figura continua a seguire il beneficiario, supportando il lavoro dell’avvocato tramite la produzione di documentazione integrativa, accompagnando il beneficiario negli studi legali e monitorando le scadenze del suo permesso di soggiorno temporaneo.
Per quanto riguarda i titolari, invece, il supporto legale-amministrativo fornito riguarda l’ottenimento del passaporto e dei titoli di viaggio, e la domanda per i ricongiungimenti famigliari.
L’operatore legale infine si mette a disposizione per rispondere a dubbi e reticenze da parte del beneficiario (richiedente e titolare) riguardo il suo iter legale di richiesta di asilo e circa i suoi diritti una volta ottenuta la protezione.
Importantissimo è anche il lavoro di stretta collaborazione tra l’operatore sociale, responsabile della struttura di accoglienza del beneficiario assistito, e l’operatrice legale. Tra di essi infatti vengono condivise relazioni sociali – scritte riguardo al percorso personale del beneficiario – e qualsiasi documentazione aggiuntiva (ad esempio quella inerente le condizioni di salute del richiedente) utile ai fini della completezza della domanda di asilo o per integrare il ricorso in Tribunale.
L’operatrice legale appare essere, in ultima analisi, una figura ibrida, in possesso di competenze specifiche in materia di Protezione Internazionale e di procedure burocratiche e amministrative relative al rilascio dei permessi di soggiorno, alle notifiche delle convocazioni e degli esiti, etc. Quello dell’operatrice legale è anche un lavoro di difficile mediazione nei rapporti con i beneficiari, le Questure, le Prefetture, le Commissioni territoriali, i Tribunali, gli operatori del diritto e gli operatori sociali.
Emerge dunque quanto il supporto legale sia di fondamentale importanza per un corretto espletamento dell’iter legale e per il reale rispetto dei diritti dei richiedenti e dei titolari di protezione. Il nuovo capitolato di gestione dei CAS emesso dal Ministero degli Interno impone una riduzione delle ore di assistenza legale, previste solo per le informative.
Quella delle operatrici legali sarà solo una delle tante figure specializzate che negli ultimi anni erano state costruite e sviluppate all’interno del sistema di accoglienza, ad essere ridimensionate. In questo modo una delle forme di welfare dal basso più proficue nel panorama italiano subirà un arresto, se non una retrocessione, con gravi ripercussioni anche in termini lavorativi e occupazionali.
In una visione ottimistica, questo potrebbe essere un momento da sfruttare per pensare un modello di accoglienza alternativa bottom-up, basato sui, seppur rari, esempi virtuosi che hanno caratterizzato alcune esperienze sul territorio nazionale. Resta però il fatto che le politiche migratorie attuali non lasciano spazio al pieno esercizio dei diritti, non solo dei migranti, ma anche dei lavoratori dell’accoglienza che hanno speso energie e costruito competenze, ora fortemente a rischio.