I cittadini non comunitari in Italia
Presentazione dei principali risultati del report Istat
A cura di Eleonora Gnan | 9 Dicembre 2020
Il 26 ottobre Istat ha pubblicato il Report Cittadini non comunitari in Italia. Il documento, oltre a contenere – come di consueto – i dati relativi all’anno procedente la pubblicazione, dedica ampio spazio a quanto avvenuto nei primi mesi del 2020, durante i quali il nostro Paese ha fronteggiato la prima ondata della pandemia Covid-19, che ha fortemente influenzato il trend dei flussi migratori e il numero degli arrivi di cittadini stranieri in Italia.
Nel 2019 calano i nuovi ingressi
Una prima diminuzione dei flussi di ingresso nel nostro Paese si è verificata già nel corso del 2019, precedentemente quindi all’emergenza sanitaria. Nel corso dell’anno passato infatti sono stati rilasciati poco più di 177 mila nuovi permessi di soggiorno, registrando una riduzione di quasi il 27% rispetto al 2018. Tale contrazione, pur avendo interessato in maniera generalizzata i permessi richiesti per tutti i diversi motivi di ingresso, ha colpito più duramente i permessi rilasciati per motivi di asilo, che passano da 51,5 mila del 2018 a 27 mila del 2019, registrando un decremento di oltre il 47%. Seppur meno bruscamente, diminuiscono anche i permessi per lavoro (-22,5%), per ricongiungimento familiare (-17,8%) e per studio (-7,4%).
Considerando gli ingressi per motivi di asilo distinti per cittadinanza, a fronte di una generalizzata tendenza alla diminuzione, colpisce il dato relativo al Perù che compare per la prima volta nel 2019 tra i primi dieci paesi per questa motivazione di ingresso, registrando un incremento del 174,5% rispetto al 2018.
Oltre agli ingressi per motivi di asilo, una larga parte di cittadini stranieri giunge nel nostro Paese alla ricerca di un lavoro. L’Italia negli anni si è specializzata soprattutto nell’inclusione di lavoratori con un profilo professionalmente scarsamente qualificato: ne è dimostrazione la recente procedura di emersione dei rapporti di lavoro relativi ai settori dell’agricoltura, del lavoro domestico e dell’assistenza alla persona, avviata il 1° giugno con il Decreto Rilancio (art. 103, c. 1) e conclusasi il 15 agosto scorso. Tale questione è stata sottolineata, in un recente articolo pubblicato su Welforum.it, anche da Maurizio Ambrosini che riflette sul tema – diventato particolarmente spinoso in seguito all’emergenza sanitaria – del sottoutilizzo di personale qualificato immigrato nel settore pubblico, sanitario in particolare. L’autore ricorda come il personale sanitario presenti nel mondo il maggior fenomeno di mobilità internazionale dell’immigrazione professionalmente qualificata. Tale fenomeno, benché poco valorizzato, riguarda anche l’Italia: secondo l’Associazione Medici Stranieri in Italia il personale sanitario di origine straniera operante nel nostro Paese ammonterebbe a 77,5 mila persone, occupate solo per il 10% nella sanità pubblica.
L’emergenza Covid-19 dimezza i nuovi arrivi
La diffusione della pandemia ha indotto molti paesi a chiudere le frontiere, sia in entrata che in uscita. Tali provvedimenti hanno avuto rilevanti conseguenze sui flussi migratori anche verso il nostro Paese.
Nei primi sei mesi del 2020 Istat ha registrato, rispetto allo stesso periodo del 2019, una riduzione di quasi il 58% di nuovi permessi, che scendono da 100 mila a meno di 43 mila. Come mostra il grafico seguente, se anche nei mesi di gennaio e febbraio i nuovi ingressi sono sensibilmente diminuiti rispetto all’anno precedente, i mesi che hanno fatto registrare una contrazione maggiore sono aprile (-93,4%) e maggio (-86,7%), complice la chiusura delle frontiere e il rallentamento delle attività amministrative nelle prime fasi del lockdown.
Figura 1 – Cittadini non comunitari entrati in Italia, primi sei mesi dell’anno 2019 e 2020
Fonte: Istat 2020
I permessi per ricongiungimento familiare sono diminuiti del 63,3%, quelli per motivi di asilo del 55,5%. Anche se meno consistente in termini assoluti va ricordato anche il calo degli ingressi per lavoro stagionale: a livello regionale, in Emilia-Romagna, che è stato il territorio ad aver registrato nei primi sei mesi del 2019 il maggior numero di permessi di questo tipo, la diminuzione è stata del 90%. In generale, le Regioni che hanno registrato le maggiori riduzioni di ingressi sono, in valori relativi, l’Umbria, la Calabria e l’Emilia-Romagna e, in valori assoluti, la Lombardia con oltre 14,5 mila nuovi permessi in meno.
Rispetto alle collettività, le maggiori riduzioni riguardano gli arrivi da India, Marocco, Ucraina, Albania e Bangladesh.
È tuttavia bene evidenziare come i dati presentati siano ancora provvisori: per un bilancio complessivo relativo all’impatto del Covid-19 sui nuovi flussi di ingresso e sulla presenza di cittadini non comunitari in Italia – ricorda Istat – si dovrà attendere la fine dell’anno. In particolare, dovranno essere valutati anche gli effetti della procedura di emersione dei rapporti di lavoro sopracitata che, secondo il report finale del Ministero dell’Interno, ha portato alla registrazione di oltre 207 mila domande, con prevalenza di quelle riguardanti il lavoro domestico e di assistenza alla persona (85% contro il 15% del lavoro subordinato). Molto probabilmente tale procedura di regolarizzazione farà registrare, nei prossimi mesi, un aumento dei nuovi permessi concessi, tuttavia Cinzia Conti e Salvatore Strozza ricordano, nel loro contributo su Neodemos, che si tratta di autorizzazioni rilasciate a persone già presenti – seppur irregolarmente – nel nostro Paese.
Meno cittadini non UE, ma più presenti nelle città
Nel corso del 2019 in Italia i cittadini non comunitari con regolare permesso di soggiorno sono diminuiti del 3%, passando da 3,7 milioni a 3,6. Il calo più rilevante ha interessato i cittadini di nazionalità cinese (-5,3%). Se si considerano solo i permessi di soggiorno non di lungo periodo, quasi la metà (46%) dei cittadini non comunitari si trova nel nostro Paese per motivi di famiglia, il 30% per lavoro e il 16% per protezione internazionale. Rispetto a tale articolazione, si registrano notevoli differenze territoriali: mentre i permessi di soggiorno per famiglia superano la metà del totale nelle Regioni del Nord Italia, le presenze connesse alla protezione internazionale sono più significative nelle Regioni del Mezzogiorno.
Oltre il 46% dei cittadini non comunitari vive in grandi città e zone densamente popolate, il 41,5% in piccole città e sobborghi, quasi il 12% in zone rurali e scarsamente popolate. Le diverse collocazioni dei cittadini non comunitari rispondono ad alcune tendenze relative alle diversità dei modelli migratori e di insediamento lavorativo delle popolazioni. Se la concentrazione nelle città risulta massima per cittadini delle Filippine, dell’Egitto e del Bangladesh, marocchini e albanesi preferiscono i piccoli centri e le aree rurali, tipologia di insediamento molto diffusa anche tra gli indiani.
Aumentano le acquisizioni di cittadinanza
Nel corso del 2019 sono 127 mila gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana, di cui quasi il 90% precedentemente cittadino non comunitario. Le acquisizioni di cittadinanza italiana di cittadini non comunitari registra, rispetto al 2018, un lieve incremento pari a poco più del 10%. Rispetto all’anno precedente tornano a crescere le acquisizioni per residenza (+28,3%) e quelle per elezione, ovvero dei diciottenni nati e residenti in Italia che decidono di diventare italiani (+15,1%). Continua inoltre ad aumentare il numero di nuovi italiani che acquisiscono la cittadinanza per ius sanguinis, ossia per discendenza da un avo italiano (+27,1%), mentre subiscono un forte decremento le acquisizioni per matrimonio (-29,8%).
Per quanto riguarda la nazionalità di provenienza, tra le prime dieci collettività per numero di acquisizioni di cittadinanza italiana nel 2019, i maggiori incrementi rispetto all’anno precedente riguardano i cittadini macedoni, pakistani ed ecuadoriani, mentre gli indiani mostrano il calo più consistente.
Infine, da un punto di vista territoriale, quasi due nuovi cittadini italiani su tre risiedono in una Regione del Nord Italia. Una netta prevalenza di acquisizioni per residenza si registra in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Liguria, dove rappresentano più della metà dei procedimenti. In Molise, Basilicata e Calabria invece – notoriamente e storicamente “terre di emigrazioni” e allo stesso tempo meno interessate dall’insediamento stabile di migranti non comunitari – si registra una netta preponderanza di nuovi italiani per discendenza.
Molto interessante. Una domanda: leggo che, per quanto concerne le richieste di asilo, il Perù compare per la prima volta nel 2019 tra i primi dieci paesi, registrando un incremento del 174,5% rispetto al 2018. Quali situazioni spingono i peruviani a chiedere protezione all’Italia? Ne conosco una, ma non può certo portare a questo aumento delle richieste.
Grazie