Co-progettazione: il ruolo delle fondazioni bancarie

Capacità di sperimentare nuovi strumenti operativi per il miglioramento del benessere della comunità. Il caso della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno


Marco Perosa | 6 Maggio 2021

Il contesto territoriale in cui opera la Fondazione è molto limitato ma allo stesso tempo complesso. Parliamo di 38 comuni ubicati principalmente nella provincia di Ascoli Piceno con una popolazione di circa 202 mila abitanti. Possiamo tranquillamente parificarlo, per la densità abitativa, ad un quartiere popoloso di Roma. Ed annualmente la Fondazione eroga mediamente 5 milioni di euro. Un micro-contesto, assimilabile per astratto ad una piccola comunità solidale, che presenta una particolare condizione favorevole, tale da renderlo un buon banco di prova per formulare analisi e ragionare su soluzioni, e che permette di implementare forme innovative di intervento e sperimentare nuove strategie.

Anche nella nostra realtà comunitaria sono presenti le tipiche dinamiche della forte crisi economica e grande frammentazione sociale. Oltre la metà dei nuclei familiari è composta da una sola persona e gli anziani soli sono un grande problema. Oltretutto il nostro territorio ha vissuto l’aggravante del sisma del 2016 che ha spazzato via piccole comunità montane che hanno deciso di trasferirsi nell’area costiera.

In questa situazione che presenta i tipici caratteri dell’emergenza sommati a fenomeni patologici di lungo corso come la dismissione di grandi stabilimenti industriali di multinazionali che hanno delocalizzato i processi produttivi all’estero a seguito della cessazione dei grandi aiuti derivanti dalla cassa del mezzogiorno, la Fondazione, da qualche anno è intervenuta, prioritariamente sul tessuto sociale per ricomporre la frammentazione delle comunità perché nella comunità ci sono i valori forti ed i dispositivi per realizzarli. Si è operato per costruire un nuovo welfare che sia generativo diverso da quello riparativo che tende alla conservazione. Un insieme di rapporti fatti di persone e competenze, non solo servizi, per rinsaldare le comunità del paese partendo dalla consapevolezza che senza un’infrastruttura sociale solida non è pensabile un’economia di mercato.

 

Oggi ci rendiamo con che il welfare state (lo stato sociale) spesso fa fatica a gestire la coprogettazione e la partecipazione responsabile. Talvolta la cappa burocratica – amministrativa diventa limitante. Ci rendiamo conto che spesso il modello bipolare pubblico – privato fatica a rispondere alle sfide in atto. È un dualismo fallace che necessita di adeguarsi al tempo attuale caratterizzato da profondi cambiamenti.

In questo contesto, sono almeno tre le dimensioni della rete di protezione sociale che chiamiamo welfare; tre enti che concorrono ciascuno con le proprie caratteristiche: pubblico, privato e civile, quest’ultimo rappresentato dall’associazionismo, dalle cooperative, dalle imprese sociali, dal volontariato.

 

La vera sfida è quella di trovare nuovi format per tenere vivi i valori comunitari in un contesto che cambia, e veicolarli presso Istituzioni, mercati, proponendo percorsi condivisi. Siamo assolutamente consapevoli che se le comunità sono forti lo sono anche le Istituzioni ed i mercati. Ed il Terzo Settore va visto non solo come mero erogatore di servizi ma come trama di comunità – mi piace riproporre una bella definizione del Prof. Giovanni Fosti, Presidente di Fondazione Cariplo – ovvero come un sistema di rapporti e legami di comunità.

Ed è per questo che il principale compito di una Fondazione è quello di sostenere il Terzo Settore per tenere le maglie della rete sociale fitte e connesse.

 

La strategia di intervento della Fondazione negli ultimi anni è stata focalizzata proprio nel sostegno al Terzo Settore perché potesse diventare massa critica e consapevole, superando le fragilità della frammentazione e favorendo processi aggregativi che hanno portato oggi, a costituire, ad Ascoli Piceno, un’Associazione di secondo livello – che si chiama Bottega del Terzo Settore – che conta nella propria base sociale oltre 190 organizzazioni non profit.

E per sostenere i processi di costruzione di reti e sinergie, per favorire l’emersione di idee e progettualità con il coinvolgimento dei giovani, la Fondazione ha pensato anche alla realizzazione di un luogo fisico, in pieno centro storico di Ascoli Piceno, che rappresenta non solo una casa ma anche uno spazio privilegiato di lavoro per il Terzo Settore.

 

Con il nuovo piano pluriennale 2020/2022, approvato nel 2019, la Fondazione ha implementato la propria strategia di intervento definendo una mission orientata alla generazione di rapporti e sinergie tra il non profit, il profit e la pubblica amministrazione; tale scelta è motivata dalla necessità di contaminarsi e contaminare il territorio con processi di innovazione che potessero superare le barriere dell’autoreferenzialità e potessero accompagnare tutti gli attori decisionali verso una unica visione territoriale. Ed in questo ambito la Fondazione ha previsto, oltre 15 mesi fa, l’adozione dello strumento della coprogettazione e della coprogrammazione.

Siamo partiti dalla consapevolezza che la vera ripartenza ci sarà solo se torna la fiducia. E per generare fiducia bisogna ripartire dai legami di comunità. Per questo il radicamento del Terzo settore, delle cooperative e delle imprese sociali nei territori non è qualcosa di meramente strumentale nel fornire risposte ai bisogni ma è il collante stesso delle nostre comunità, ciò che davvero contribuisce alla costruzione della coesione sociale.

Ci troviamo difronte ad un bivio: o ci rinnoviamo oppure ci spegniamo nella rassegnazione. È necessario riuscire ad aggregare saperi, risorse e capitali, sia umani che economici. È necessario innovare ed avviare processi di contaminazione ed ibridazione ed alleanze con le imprese profit ed il mondo finanziario. Il Terzo Settore deve svolgere un ruolo attivo nelle comunità; deve diventare un punto di riferimento.

 

Perché la Fondazione ha previsto l’adozione dello strumento della coprogettazione?

Per prima cosa mi preme ringraziare l’Istituto per la ricerca sociale che da oltre due anni ci ha accompagnato nel percorso di conoscenza della coprogettazione – ed oggi che abbiamo attivato diversi tavoli di coprogettazione e di cogestione (sulla povertà economica e sociale, per la costituzione di un’accademia per la formazione ed il lavoro per i disabili, per l’assistenza domiciliare per malati oncologici e terminali) – ci supporta in modo eccellente nell’applicazione della metodologia con ottimi risultati.

Le motivazioni della scelta degli strumenti della co-programmazione e della co-progettazione risiedono:

  • nel favorire la costruzione di reti e sinergie tra le Organizzazioni del Terzo Settore;
  • nella necessità di passare da un modello competitivo ad un nuovo modello inclusivo e di leadership partecipata;
  • nella storia erogativa della Fondazione che insegna che con il bando sono state sostenute tante progettualità – alcune molto belle e valide – ma di queste progettualità soltanto il 30% hanno assicurato continuità nel corso del tempo;
  • nella considerazione che il modello del “bando”, adottato in modo esclusivo, favorisce l’emergere di una pensiero comune dove la Fondazione è un “bancomat” dove poter acquisire sempre le risorse; con la coprogettazione si passa da una logica di responsabilità singola ad una logica dove la responsabilità è condivisa e solidale;
  • in questo contesto di profonda crisi economica e sociale – a fronte di risorse economiche limitate – far “gareggiare” in forte competizione, privilegiando alcune Organizzazioni rispetto ad altre, favorisce un’impostazione selettiva “darwiniana” dove i più forti ed organizzati vincono ed i più deboli rimangono ai margini; da ciò deriva l’opportunità di applicare un modello dove il valore della rete e della sinergia è superiore al valore della singola organizzazione; l’essere uniti, il sostenersi a vicenda, valorizzare le proprie competenze mettendole a disposizione di altri, specializzarsi su ambiti specifici e settoriali in modo tale da generare economie di scala ed economie di scopo.

 

La vera sfida è passare da una progettazione partecipata ad un modello di cogestione di prossimità (o coproduzione come mi insegna Ugo De Ambrogio) dove anche le Organizzazioni più piccole e fragili hanno la possibilità di apprendere e di mettere al servizio le proprie capacità ed in particolare il lavoro volontario.

Ma perché la coprogettazione abbia successo è necessario ricordarsi sempre che dietro un progetto, un’iniziativa, un intervento – in particolare in ambito sanitario – ci sono volti di uomini e donne che spesso soffrono e vivono ai margini della società: non avere questo sguardo genera solo tecnicalità che – seppur validissime – non sono al servizio di nessuno ma solo di sé stessi.

 

 L’utilizzo dello strumento della co-progettazione può produrre effetti positivi se e solo se viene legato ad un processo di medio – lungo termine ed ad una visione strategica. Tale intervento, per l’esperienza di Ascoli Piceno, si è potuto realizzare perché ha trovato una comunità – ed in particolare un Terzo Settore – fertile all’ascolto ed alla condivisione. La Fondazione, per citare un esempio, nel percorso di costruzione del piano pluriennale 2020/2022 ha attivato un processo di ascolto, confronto e condivisione che ha coinvolto oltre 400 persone sia del Terzo Settore, sia dei policy maker e sia del mondo imprenditoriale nonché privati cittadini.

Inoltre, elementi cardine del modello di partecipazione, sono rappresentati da: una forte spinta al cambiamento, in termini di ricerca e sperimentazione di soluzioni innovative ed il ragionare avendo come condizione la sostenibilità degli interventi. Inoltre ci vuole una buona dose di apertura e condivisione per far si che esperienze autonome e distinte possano conoscersi e contaminarsi.

 

La coprogettazione è un processo ricorsivo; bisogna lavorare su ogni fase ed obiettivo raggiunto per migliorarlo costantemente. Così come la coprogettazione può favorire il cambiamento sociale in modo diretto perché migliorando la vita all’interno dei gruppi e delle reti, aiuta a raggiungere gli obiettivi e ad aumentare l’efficacia di azione. In modo più indiretto, essa permette di sperimentare nuove forme di convivenza sociale e favorisce la crescita individuale e del gruppo rispetto alla gestione delle diversità e dei conflitti. In modo ancora più indiretto e profondo la coprogettazione aiuta le persone a crescere e a trasformarsi.

Siamo in una fase storica che richiede di transitare da un paradigma competitivo a una visione collaborativa, dove il bene personale può essere soddisfatto solo attraverso la costruzione di un bene comune, dove bene individuale e collettivo non sono più visti in contraddizione ma come l’uno necessariamente incluso nell’altro.

La coprogettazione è funzionale a innovare il sistema delle risposte, a creare qualcosa che precedentemente non c’era nell’offerta di servizi ed opportunità e nel modo con cui sono realizzati, solo se ogni partner trova un suo ruolo attivo e propositivo e vede riconosciuta la propria identità. In sintesi, la vera sfida è quella di “Alimentare processi generativi attraverso patti di fiducia e di reciprocità, non affidandosi unicamente ai contratti e alle norme codificate”.

 

Ma qual è il ruolo delle fondazioni?

Il compito della Fondazione è quello di sperimentare nuove soluzioni che siano linee di lavoro per tutti; sperimentare prospettive di innovazione sociale di cui la filantropia deve essere portatrice. In Italia proprio le Fondazioni sono tra gli avamposti per creare nuove pratiche che possano diventare modello, nel Terzo Settore ed ovunque. Oggi le fondazioni devono diventare soprattutto “agenti di sviluppo” in grado di trasformarsi sempre più da soggetto meramente erogativo ad “attore di valorizzazione” mettendo in campo non solo le risorse economiche ma anche una più ampia gamma di competenze tecniche, relazionali, finanziarie e progettuali orientandosi verso logiche di misurazione dell’impatto. Le fondazioni devono diventare facilitatori per una rinnovata regia territoriale fornendo strumenti, risorse strategiche ed occasioni di confronto (e ciò è possibile e naturale visto che le fondazioni sono portatrici di interessi propri ma di comunità). Le fondazioni devono quindi diventare tessitrici di reti con le istituzioni, con il mondo del terzo settore, con il mondo delle imprese, capaci di aggregare e generare un effetto leva nei territori; devono mettere in campo la capacità progettuale, il coraggio di sperimentare, la solidità di bilancio, la capacità di costruzione delle reti. Significa passare dal modello autoreferenziale che ha caratterizzato la storia passata delle fondazioni ad un nuovo modello in cui la fondazione è parte di un sistema ampio e diversificato dove tutti convergono verso un obiettivo di bene comune.

 

Mi piace concludere con una riflessione del filosofo Hume che ha scritto nel 1740 “Il trattato sulla natura umana” e che può contribuire a dare un senso al nostro agire.

«Il tuo grano è maturo, oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io… lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia».

Come si suol dire … “è il tempo del noi”!


Commenti

Prezioso approfondimento sul tema della coprogettazione che prima di tutto è luogo di incontro, perché solo grazie all’altro l’uomo scopre la propria autenticità. Grazie Dott.Perosa!