Condizionalità e contrasto alla povertà: riflessioni dall’indagine INAPP


Il contesto

Molto si discute delle insufficienti modifiche apportate in Legge di stabilità 2022 al Reddito di Cittadinanza: le indicazioni fornite da esperti e tecnici della materia sembrano rimaste inascoltate. Tra i cambiamenti si fa riferimento all’inasprimento del sistema sanzionatorio che caratterizza la misura. Sono state definite da alcuni antipatiche e inutili (vedi Baldini sulla riduzione di 5 euro al mese in caso di rifiuto di un offerta congrua di lavoro) o meramente simboliche (Saraceno, 2021) a sostegno di una visione che potremmo definire ‘nullafacentista’ dei beneficiari di RDC e, dunque, ispirate ad una logica punitiva (Gori, 2022) che poco risponde alle reali esigenze degli utenti e dei servizi.

 

Ora, con il passare degli anni e delle misure, è interessante notare come lo scollamento tra intensità del sistema sanzionatorio previsto dalle norme e i risultati ed effetti della sua applicazione pratica non faccia che aumentare. Ciò appare tanto più singolare se consideriamo almeno tre aspetti: in primo luogo, nel panorama domestico, iniziano ad essere disponibili evidenze piuttosto rilevanti sulle fragilità dei meccanismi condizionali applicati dal sistema dei servizi (Alleanza contro la povertà, 2019 – Caritas, 2021); in secondo luogo, tali fragilità vengono rilevate anche dallo stesso Comitato Nazionale di Valutazione del RDC, il quale aggiunge un dato interessante sull’effettivo volume, basso, di sanzioni applicate (50 mila ad oggi) legate alla condizionalità, connesse per la gran parte dei casi alla mancata presentazione per la sottoscrizione del Patto per il lavoro; infine, in prospettiva comparativa, non solo il sistema italiano risulta essere tra i più stringenti tra quelli europei (Pacifico, 2021) insieme alla Gran Bretagna, ma dall’esperienza negativa di quest’ultima (Welfare conditionality project Final Findings Report, 2018) sembra non saper apprendere granchè.

 

In questo dibattito tanto interessante quanto complesso emergono, nell’ambito dell’indagine INAPP “Implementazione del ReI e passaggio al RdC”, alcune riflessioni che poniamo all’attenzione proponendo le principali evidenze individuate sulla questione della condizionalità nell’attuazione delle due misure nazionali di contrasto alla povertà, ReI e RdC1. L’indagine rispetto al tema ha diversi punti di forza, innanzitutto il livello di copertura dell’indagine per i tre enti coinvolti. Si tratta di una indagine nazionale censuaria per Ambiti territoriali sociali e Centri per l’impiego (coperto oltre l’80% dei rispettivi enti) e di una indagine campionaria a rappresentatività nazionale dei servizi sociali comunali. È, inoltre, a nostra conoscenza, tra le poche indagini che affronta in maniera specifica, garantendo una copertura nazionale, la questione della condizionalità dal lato dei servizi (il progetto Welfare Conditionality in Gran Bretagna, ad esempio, non ha potuto affrontare la questione direttamente con il sistema dei servizi per l’impiego inglesi).

Le istituzioni locali coinvolte prima nell’attuazione del REI e poi nella messa a regime del RdC fanno emergere un quadro interessante che, coerentemente con quanto sostenuto dalle altre ricerche sopra menzionate, ci racconta di un approccio prudente da parte del sistema dei servizi nell’applicare stringenti e complessi sistemi sanzionatori. Tale approccio deriva non da una generale diffidenza a prescindere nei confronti della condizionalità, bensì da una chiara inutilità dell’attuale disegno del sistema (sanzionatorio?), specialmente rispetto alla tipologia di persone su cui quotidianamente deve essere applicato.

 

I dati dell’indagine

Gli aspetti della condizionalità sono stati analizzati per le tre istituzioni coinvolte nell’indagine esplorando due dimensioni. La prima dimensione (soggettiva) osserva il fenomeno in chiave più valutativa, evidenziando aspetti dell’applicazione sia come valore aggiunto per incentivare il beneficiario ad attivarsi (o come meccanismo che può incidere negativamente) sia in termini di bilancio dell’esperienza avuta (criticità o risorsa). La seconda dimensione di analisi, in maniera più operativa, cerca di rilevare quali siano le modalità di verifica della condizionalità nell’ambito di applicazione dei progetti personalizzati (rispetto degli impegni presi), la frequenza nell’applicazione dei meccanismi e i relativi motivi.

Rispetto alla prima dimensione di analisi uno dei quesiti dell’indagine permette una valutazione sull’applicazione della condizionalità rispetto alla condizione che il beneficio monetario sia condizionato al rispetto dei progetti individuali. Le due opzioni del quesito richiedono agli operatori di orientarsi tra due potenziali interpretazioni dicotomiche della condizionalità, ossia, condizionalità come valore aggiunto per incentivare il beneficiario ad attivarsi o come una condizione gravosa per i nuclei familiari più fragili. I referenti delle tre istituzioni chiamati a rispondere hanno una visione complessivamente positiva della condizionalità. Questa viene generalmente considerata un valore aggiunto ai fini dell’attivazione del beneficiario per tutti e tre gli enti, pur evidenziandosi differenze interessanti nelle risposte fornite dai tre sevizi: percentuali più basse emergono dalla voce di chi, sia nel sociale (SSC, 74.4%) che nel lavoro (CPI, 69.2%) è chiamato ad applicarle in maniera più diretta, rispetto a chi invece ha un ruolo più di programmazione e coordinamento (ATS, 91.1%). Un aspetto che vale la pena attenzionare è la quota rilevante di CPI (oltre il 20%) che vedono l’applicazione della condizionalità come elemento potenzialmente ‘aggravante’ se applicata alle situazioni più fragili. La visione dei CPI è relativa più alle situazioni incontrate nell’applicazione del RDC, stante il loro maggior coinvolgimento rispetto all’attuazione del REI e rappresenta un aspetto ancor più interessante se si tiene conto del fatto che il paradigma dell’attivazione costituisce una delle basi delle politiche (attive) del lavoro.

 

Tabella 1 – “Applicazione della condizionalità” (val.%) – ATS, SSC e CPI
ATS SSC CPI
È un valore aggiunto per incentivare il beneficiario ad attivarsi 91.1 74.4 69.2
Può rivelarsi una condizione gravosa per i nuclei familiari più fragili 6.5 6.5 20.7
Non sa 2.4 19.1 10.1
Totale 100.0 100.0 100.0

Fonte: Dati Inapp 2021“Indagine cawi implementazione del Rei e passaggio al RdC”

 

 

L’indagine affronta poi il tema della condizionalità come una delle componenti principali istitutive della misura e, insieme ad altri aspetti (dalle risorse umane e finanziarie all’offerta integrata), chiede ai tre servizi di esprimere un giudizio su quanto questi hanno rappresentato una risorsa o, piuttosto, una criticità. Sull’applicazione della condizionalità il 42% dei CPI ritiene che la sua applicazione abbia rappresentato di fatto una criticità e solo un 6% la ritiene una risorsa. Discorso molto simile per quanto riguarda i servizi sociali comunali: il 43% di essi si esprime negativamente, a fronte di un 19% che individua nella condizionalità un aspetto positivo ai fini dell’attuazione della misura. Gli ATS, invece, esprimono un giudizio più positivo ma sempre problematico, il 34% vede nell’applicazione della condizionalità una criticità mentre il 22% lo ritiene una risorsa. Ciò che emerge da queste prime considerazioni è che la condizionalità, pur essendo considerata da molti un valore aggiunto nell’ambito dell’attuazione delle misure di contrasto alla povertà, vada applicata con moderazione/prudenza, soprattutto nelle situazioni più fragili e delicate. I risultati della relazione tra le due domande evidenziano come più si è critici sul versante applicativo più si è propensi ad individuare i rischi di una sua applicazione nel caso di soggetti/famiglie fragili, e tale aspetto è più rilevante per chi lavora in ambito sociale.

In termini più strettamente operativi e gestionali gli ATS dichiarano, a livello nazionale, di aver ricoperto complessivamente un ruolo propositivo nella gestione della condizionalità. In quasi il 40% dei casi è stato svolto un ruolo di coordinamento delle attività di verifica e in oltre il 18% dei casi è stato addirittura predisposto un sistema centralizzato di verifica. Negli altri casi l’istituzione ha optato per la creazione di linee guida o per un ruolo ‘consultivo’. Minoritaria (poco oltre il 10%) la quota di ATS che dichiara di non aver avuto alcun ruolo. Quando ci si sposta a livello di SSC il quadro si completa nell’ambito del sistema dei servizi. A livello nazionale, infatti, circa la metà dei servizi sociali comunali coinvolti afferma di possedere un sistema di controllo del rispetto della condizionalità, situazione che si rileva però un presidio incerto di determinate dinamiche quando si analizza la diversificata situazione a livello regionale. Le realtà regionali che hanno una rilevante quota di servizi sociali a livello comunale in grado di presidiare la funzione di controllo non sono molte: Basilicata, Puglia, Emilia-Romagna e Veneto. Nell’indagine emerge che non è possibile identificare dei raggruppamenti omogenei per macro-ripartizione territoriale, evidenziando un territorio a macchia di leopardo rispetto a capacità di modalità attuative.

 

Un ulteriore livello di analisi riguarda proprio due dimensioni applicative di estrema importanza e rispetto alle quali le informazioni a disposizione sono generalmente poco diffuse e poco discusse: la frequenza nell’applicazione dei meccanismi condizionali e la loro motivazione. Rispetto alla frequenza con cui è stata applicata la condizionalità nell’ambito del REI, i dati a livello nazionale relativi al campione dei SSC indicano come questa non sia mai stata applicata in oltre il 30% dei casi, in casi eccezionali nel 14% dei casi, qualche volta nel 13% e spesso nello 0.4% delle situazioni. Pesa ovviamente la quota di oltre il 40% di servizi che dichiarano di non essere a conoscenza della frequenza con cui la condizionalità è stata applicata, pur avendo dichiarato in precedenza di possedere un sistema di verifica/controllo della stessa. Tra le motivazioni espresse dai SSC che dichiarano l’utilizzo dei meccanismi condizionali, l’irreperibilità del beneficiario è la motivazione più frequente (41.9%). Di rilievo anche il dato più strettamente legato al progetto personalizzato, 1 servizio su 3 dichiara la mancata sottoscrizione del patto e più di 1 su 4 il rispetto degli impegni presi per il progetto personalizzato.

 

 

Tabella 2 – Motivazioni del mancato rispetto della condizionalità -SSC (multirisposta*)
%
Mancata sottoscrizione del patto 31.3
Mancato rispetto degli impegni relativi al progetto 26.2
Mancata presentazione ai colloqui periodici 20.9
Mancata dichiarazione di avvio nuovo lavoro 11.2
Irreperibilità del beneficiario 41.9
Altre ragioni 25.5

 *Le % si riferiscono ai soli servizi comunali che applicano la condizionalità

Fonte: Dati Inapp 2021“Indagine cawi implementazione del Rei e passaggio al RdC”

 

 

Per quanto riguarda i CPI, in termini generali, è possibile rilevare che circa il 70% di quelli coinvolti nell’indagine si sono dotati di un sistema di verifica della condizionalità. Nel caso però del mancato rispetto condizionale l’azione svolta è per lo più quella di un richiamo dell’utente (60%), seguita da una notifica ai servizi sociali (20%), più raro il tentativo di un coinvolgimento in altre attività (13%).

Ciò che varia invece sensibilmente, anche a seconda del territorio di riferimento, sembra essere la concreta applicazione del meccanismo condizionale che può portare alla sospensione o alla revoca del beneficio stesso in ambito ReI. In relazione a questa domanda, i CPI dichiarano di non applicarla ‘Mai’ nel 39% dei casi o ‘In casi eccezionali’ (10%).

 

Condizionalità… ma non troppo

Le evidenze empiriche presentate ci portano a sostenere che nell’affrontare la questione della condizionalità nell’ambito del contrasto alla povertà dal lato dei servizi (sociali e per il lavoro) si debba tener conto di una serie di questioni tra loro in parte connesse L’approccio generalmente prudente nell’applicare sanzioni attraverso revoche e sospensioni del beneficio testimonia la piena consapevolezza da parte dei servizi della tipologia di utenza, e della loro relativa fragilità, con cui hanno a che fare. Inoltre, le diverse motivazioni che possono portare al non rispetto della condizionalità dovrebbero aprire uno spazio di riflessione specifico proprio per comprendere meglio cosa agisce dietro ciascuna scelta (senza pregiudizi). Dall’altro lato però, la visione tendenzialmente positiva che i servizi dichiarano di avere nei confronti della condizionalità rappresenta un buon punto di partenza per un suo uso non solo consapevole ma anche efficace, e solo lì dove ve ne sia effettiva necessità. In sintesi, emerge chiaramente la necessità, per gli enti territoriali, di indicazioni precise ed adeguate all’applicazione della condizionalità, specificatamente in virtù della fragilità dei beneficiari, e dei relativi nuclei, a cui esse viene applicata.

In altri contesti, si è iniziato a porre attenzione da parte del mondo accademico/scientifico al ruolo che la comunicazione politica ha (o tenta di avere) nell’orientare l’opinione pubblica verso un minor supporto ai sistemi di protezione del welfare al fine di giustificare tagli o risparmi (O’Grady, 2017 – Jensen e Kevins, 2019). Ebbene, il nostro auspicio è che la questione della condizionalità e i meccanismi sanzionatori ad essa associati, così come la narrazione sulla propensione a frodare o a ‘non attivarsi’ delle persone in difficoltà, smettano di essere utilizzati come argomenti politici. Il sistema di servizi di welfare a livello locale, come i dati presentati dimostrano, è pienamente consapevole delle difficoltà e delle opportunità associate all’approccio condizionale così come sta imparando sempre più a confrontarsi con nuove tipologie di utenza e nuovi bisogni: tale consapevolezza va sfruttata e supportata con adeguati strumenti di policy.

  1. Il contributo riprende in buona parte quanto riportato nel INAPP Report in corso di pubblicazione