Convergenze pericolose nell’Edilizia Residenziale Pubblica


L’edilizia residenziale pubblica (ERP) è il terreno di convergenza di alcune tra le questioni sociali più urgenti del contemporaneo. Molti tra i circa 2,2 milioni di residenti (Federcasa, 2021) negli alloggi popolari sono caratterizzati da più forme di fragilità, oltre che da un reddito contenuto: lavoro discontinuo e disoccupazione, scarsi livelli di istruzione, salute più incerta e accesso discontinuo alle cure, forme di solitudine affettiva, invecchiamento poco protetto e più esposto all’abbandono, forme di degrado e violenza urbana. Inevitabilmente questa complessità e disagio sociale entrano nei processi produttivi e organizzativi delle Aziende Casa, gli enti che hanno raccolto l’eredità degli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP) a seguito del processo di regionalizzazione e aziendalizzazione delle politiche della casa. Questi enti gestori stanno attraversando anni incerti, segnati dalla difficoltà di ridefinire la propria identità e missione nel sistema pubblico: non più enti di costruzione di immobili, ma nemmeno operatori di welfare a pieno titolo. Questa indeterminatezza strategica impatta in maniera irrimediabile sui sistemi di gestione: se non è chiaro il prodotto generato (muri e tetti? welfare?) rispetto a cosa si può definire la coerenza dell’azione manageriale? Come si può valutare l’efficienza e l’efficacia della gestione, se non con misure di processo, alla lunga irrilevanti?

 

A partire da queste premesse, SDA Bocconi ha avviato un percorso di ricerca in collaborazione con Federcasa1, che ha visto il coinvolgimento di dieci Aziende Casa2, collocate in nove regioni e rappresentative delle diverse configurazioni giuridiche e di governance del settore, i cui esiti sono stati raccolti in un Rapporto di ricerca. L’obiettivo del lavoro è stato quello di enucleare le principali sfide che le Aziende Casa stanno affrontando, al fine di identificare percorsi di innovazione manageriali comuni. La scelta di posare lo sguardo sul funzionamento delle aziende deriva dal riconoscimento che le stesse rappresentano spesso l’anello dimenticato tra le deliberazioni delle politiche della casa a livello nazionale (ma anche regionale e comunale) e gli effetti generati sulle persone nelle città. Nel mezzo, infatti, vi sono le Aziende Casa, che con il loro funzionamento concorrono a raggiungere (talvolta anche ad orientare) gli obiettivi delle politiche e rispondono direttamente ai bisogni degli utenti. Se in altri settori di policy – si pensi alla sanità – vi è ormai un’esperienza pluridecennale di investimento sul funzionamento delle aziende come tassello essenziale per l’efficacia delle politiche, nel dibattito sulle politiche della casa occorre rinforzare la consapevolezza che la capacità di rispondere in maniera efficiente ed efficace ai bisogni abitativi delle fasce più deboli della nostra società dipende anche – non solo, ma anche – dalla capacità delle aziende di gestione di assolvere al meglio il compito loro assegnato. L’orizzonte di fondo di questo studio è stato quindi quello di contribuire alla riflessione e alla pratica dello sviluppo delle politiche della casa, guardando dentro alla “scatola nera” dei processi di gestione. A questo scopo, i meccanismi di funzionamento delle Aziende Casa sono stati analizzati lungo cinque assi:

  • Gli assetti istituzionali: quali modelli di governance caratterizzano il settore?
  • Le politiche abitative regionali: in che modo le policy regionali definiscono le condizioni gestionali?
  • Il profilo dell’utenza servita: chi abita oggi e chi abiterà domani nelle case dell’ERP?
  • Il profilo del patrimonio: quante case vengono gestite, di quali dimensioni, con quale modalità e strategia complessiva?
  • Gli equilibri economico-finanziari: cosa assicura e cosa rischia di minare l’economicità delle aziende nel presente e nel futuro?

 

Di seguito si presentano i principali esiti della ricerca, che vanno alle radici della crisi di sostenibilità economica e sociale del settore, mettendone in discussione il modello di funzionamento.

 

Un modello di gestione di quasi mercato…

Il processo di trasformazione degli ex IACP in Enti di gestione, in genere enti pubblici economici, si basa sull’ipotesi che per finanziare l’offerta di un servizio abitativo pubblico per le fasce di popolazione che faticano a trovare una soluzione del mercato siano sufficienti i proventi della gestione del patrimonio a loro affidato. Nei fatti, le differenze che si riscontrano nei diversi contesti regionali, che a valle della riforma del 1998 hanno regolato in maniera eterogenea i modelli di gestione, si concentrano principalmente lungo alcune direttrici: ad esempio, la governance (regionale o provinciale), la proprietà del patrimonio (conferito all’Azienda Casa oppure mantenuto nel bilancio regionale o comunale), la natura dell’azienda (ente pubblico titolare di funzioni o società in regime di in-house providing). Ma esiste un modello dominante:

  • Ente pubblico economico (6 Aziende su 10)
  • Controllato dal livello regionale (8 Aziende su 10)
  • Patrimonio di proprietà (8 Aziende su 10)
  • Gestione finanziata basata su canoni di locazione, in un modello di quasi mercato (8 Aziende su 103).

 

Proprio osservando il funzionamento di questo “archetipo” è possibile individuare alcune contraddizioni nel modello di servizio.

 

…sconfessato dall’analisi dei bilanci

Dall’analisi dei bilanci è emerso che questo modello fatica a essere sostenibile. Non tanto e non solo per ragioni di mera efficienza, la ricerca della quale negli anni ha condotto fondamentalmente (come in larga parte della Pubblica Amministrazione) alla riduzione del numero degli addetti ed alla riduzione della spesa per investimenti. Quanto, piuttosto, ad una crisi del modello di gestione in sé.

I dati mostrano che i ricavi da canoni coprono mediamente il 45% dei costi di gestione, che devono pertanto essere integrati da fonti diverse. Ad esempio, il 20% dei ricavi deriva da una generica voce “Altro”, dove confluiscono tra gli altri i contributi erogati da enti sovraordinati (es. c/esercizio da Comuni o fondi sociali regionali per le politiche abitative).

 

Un problema di inefficienza…

Si potrebbe ipotizzare che il problema della sostenibilità sia legato a morosità e sfittanza (magari dovuta alle occupazioni abusive), che si presentano certamente due criticità da affrontare, ma dati alla mano:

  • Vi è una soglia minima di sfittanza e di morosità anche nelle aziende più virtuose che quindi va considerata fisiologica. A titolo esemplificativo, in media il 12% degli alloggi ERP del nostro campione risultano sfitti, la quota minima registrata è comunque pari al 7% di alloggi non destinati;
  • La morosità è anche prodotta da inefficienze energetiche che sono a loro volta frutto di scarsi investimenti nel patrimonio. Rispetto a questi ultimi, in media le Aziende rendicontano spese per manutenzione straordinaria e investimenti nell’ordine dell’1,7% del valore delle immobilizzazioni materiali, nonostante queste rappresentino l’asset per eccellenza dell’organizzazione.
  • La lentezza nel turnover non è solo legata a tempi di riattazione migliorabili, ma anche ai vincoli nei processi di assegnazione che triangolano tra Regione, Comuni e Aziende. A questo si aggiunge l’incapacità delle normative regionali di porre dei limiti temporali alla permanenza negli alloggi (in media il 50% degli inquilini vive nello stesso alloggio ERP da più di 10 anni).

 

…o di scarsa sostenibilità del modello?

Un’altra ipotesi è che i canoni semplicemente non siano (più?) in grado di assicurare la gestione. Per verificare questa ipotesi abbiamo analizzato:

  • Il peso finanziario, ossia la quota di ricavi generati, rispetto al peso numerico, ossia la quota di utenza rappresentata, dei diversi gruppi di inquilini;
  • Come sta cambiando il profilo dell’utenza, confrontando gli inquilini storici con i nuovi ingressi.

 

Dal nostro campione emergono due questioni. Oggi, le entrate da canoni sono largamente assicurate dalle fasce reddituali più alte, per cui vengono trovati meccanismi di rinvio della decadenza finalizzati e non perdere queste entrate fondamentali per la sostenibilità economica aziendale. Emblematico il caso di una Azienda in cui i soggetti in fascia di decadenza (ossia, non più formalmente titolati a rimanere negli alloggi) generano il 16% del totale dei ricavi da canone, pur rappresentando solo lo 0,2% del totale degli utenti.

Allo stesso tempo, questo esercizio di preservazione dell’esistente non è destinato a durare perché il, seppur lento, processo di sostituzione degli inquilini ci restituisce una popolazione di utenti molto più fragile. Il profilo dei nuovi ingressi è infatti radicalmente diverso rispetto a quello degli utenti storici. I nuovi inquilini sono mediamente molto poveri (78% è in fascia minima, contro il 50% degli storici) e appartenenti a nuclei numerosi (il 27% dei nuclei in ingresso è fatto da 4 o più componenti, a fronte di un 17% dell’utenza storica). Di fatto, i nuovi ingressi sono decisamente più orientati ai profili di fragilità inquadrati nella rilevazione annuale di Istat, a fronte di un inquilinato storico di nuclei di ridotte dimensione e anziano, profili oggi meno esposti di altri al rischio di povertà assoluta e relativa.

 

Come invertire la rotta?

In questo quadro, il modello di gestione arriva al paradosso di favorire un sistema di convenienze per cui più basso è il numero dei nuovi inquilini (indigenti), migliore è la gestione. E non perché i nuovi siano più morosi: molto spesso i nuovi inquilini, seppur come visto più fragili, risultano meno morosi degli storici. A titolo esemplificativo, in una tra le Aziende analizzate il 34% dei nuovi inquilini (ingresso entro i cinque anni precedente alla rilevazione) risulta moroso, percentuale che sale al 46% tra i residenti da oltre 30 anni. Questo equilibrio collude inevitabilmente con le preferenze politiche, che in genere preferiscono guardare a chi è già all’interno dei servizi, rispetto a chi invece ne è escluso.

In sintesi, dalla ricerca è emerso come oggi il modello italiano di Edilizia Residenziale Pubblica sia in crisi di sostenibilità economica, e allo stesso tempo rischi di essere poco equo, perché non necessariamente orientato ai profili di bisogno oggi più pressanti. Si pone quindi problema di riorientamento delle politiche, sia sul piano di una più chiara definizione dei beneficiari sia sul piano della definizione del modello di finanziamento. Allo stesso tempo, per le Aziende Casa si tratta di rendere più visibile, anche contabilmente, questa porzione di sottofinanziamento di welfare, spesso erroneamente inquadrata unicamente come inefficienza.

  1. Federazione italiana per le case popolari e l’edilizia sociale
  2. ALER Bergamo-Lecco-Sondrio, ACER Bologna, ATERP Calabria, Casa S.p.A., ARTE Genova, ATER Gorizia, Itea Trento S.p.A., ATC Piemonte Centrale, ATER Trieste, ATER Umbria. Questi Enti operano in nove Regioni: Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, P.A. di Trento, Piemonte, Toscana, Umbria.
  3. Le rimanenti ricevono un rimborso sulla gestione da parte degli enti committenti.