Cosa sarà del Reddito di cittadinanza?


Cristiano Gori | 20 Settembre 2022

Cosa accadrà al Reddito di Cittadinanza (RdC) in seguito al voto del 25 settembre? Affrontare questa domanda significa interrogarsi sulle conseguenze della tornata elettorale per le politiche di contrasto alla povertà. Le informazioni contenute nei programmi delle 4 principali forze in campo – Partito Democratico (PD), Movimento 5 Stelle (M5S), Centrodestra (CD) e Terzo Polo (TP) – non permettono di rispondere in modo puntuale. Consentono, però, di evidenziare i rispettivi orientamenti. Vediamoli di seguito, partendo dalla constatazione che nessuno intende abolire gli interventi nazionali contro la povertà. Il principale discrimine, invece, è tra chi vuole rafforzare il RdC e chi intende sostituirlo con altre misure1Una versione di questo articolo, differente e più breve, è stata pubblicata il 26 agosto su www.lavoce.info/note].

 

Eliminare le politiche contro la povertà non è un’opzione

Dopo mesi di infuocati dibattiti, che hanno visto contrapporsi i fautori dell’abolizione del RdC ai sostenitori del suo mantenimento, è opportuno partire da qui per capire che cosa è in gioco adesso. La lettura dei programmi elettorali indica che nessuno schieramento propone di cancellare gli interventi nazionali contro la povertà. Le forze politiche, invece, si differenziano tra chi vuole potenziare quello esistente (il RdC) e chi intende sostituirlo con misure diverse. In altre parole, i partiti concordano sulla necessità di politiche contro la povertà mentre si dividono su come disegnarle. Il cammino cominciato nel 2017, con l’introduzione della prima misura nazionale, il Reddito d’Inclusione (Rei) – poi sostituto dal RdC nel 2019 – è destinato a continuare.

 

Sostituzione o rafforzamento del RdC?

È questa la scelta strategica fondamentale che separa le principali forze in campo. Il CD (Centro Destra) intende sostituire il RdC con altre prestazioni, mentre PD (Partito Democratico) e M5S (Movimento 5 Stelle) lo vogliono mantenere e rafforzare, attraverso alcuni correttivi (a partire da quelli legati all’ampliamento dell’utenza).

L’idea dei partiti di CD è piuttosto chiara: sostituire il RdC con due misure, una rivolta ai poveri che non sono in condizione di lavorare e l’altra destinata a quelli che – invece – lo sono. S’intenderebbe affrontare così un limite intrinseco del RdC, cioè il sovraccarico di obiettivi: voler essere, contemporaneamente, una politica di contrasto alla povertà ed una politica attiva del lavoro. Tale confusione ha prodotto – negli scorsi anni – innumerevoli criticità ad ogni livello, sia nella concreta realizzazione degli interventi che nel caotico dibattito pubblico. Costruire due misure, con logiche differenti, può essere – in linea generale – una finalità condivisibile sulla base della letteratura in materia.

Tuttavia, il fattore decisivo è come la si traduce in pratica. È Fratelli d’Italia a fornire le poche indicazioni disponibili in proposito. I soggetti ritenuti inoccupabili e, quindi, destinatari della misura non lavoristica sono le persone con disabilità, gli individui con almeno 60 anni e i nuclei familiari con minori carico. Per gli altri, invece, si punta sull’inclusione lavorativa. Si tratta di una suddivisione errata, basti notare che considerare non occupabili tutti i componenti adulti di famiglie con minori e occupabili tutti quelli di famiglie senza è fuori dalla realtà. Inoltre, si chiederebbe ad un sistema di welfare sotto stress di realizzare la terza riforma delle politiche contro la povertà in pochi anni, dopo il varo del Rei (2017) e del RdC (2019). È noto come l’attuazione delle riforme risulti sempre più complicata di quanto non si valuti inizialmente e che a fare le spese delle difficoltà incontrate nel gestirla siano – in ultima istanza – gli utenti. Pertanto, per intraprenderle è necessario avere ben chiaro il complicato insieme di componenti tecniche ed operative coinvolte ed essere in grado di governare opportunamente la transizione dal vecchio al nuovo assetto.

Il TP (Terzo Polo) è da considerare a parte perché – a differenza degli altri soggetti – non propone una visione complessiva sul futuro del RdC, bensì si focalizza sui temi legati all’occupazione. Indica azioni per meglio avvicinare gli utenti del RdC al mondo del lavoro (come il rafforzamento della formazione e del ruolo delle agenzie private per l’impiego) e definisce per loro regole più severe da rispettare (revoca della misura dopo il primo rifiuto di un’offerta congrua di lavoro e riduzione di un terzo dell’importo se dopo due anni non si è trovata un’occupazione). Il TP è l’unica forza politica a prospettare – nel proprio programma – un inasprimento degli impegni richiesti ai beneficiari e delle relative penalizzazioni. È da notare che l’attuale RdC fa già dell’Italia il Paese dell’Ocse che prevede la maggiore severità in proposito.

 

L’ammontare dei finanziamenti pubblici 

In base a quanto esposto nei programmi, nessuna tra le principali parti politiche sembra prefigurare una riduzione delle risorse destinate al contrasto della povertà. PD e M5S prevedono azioni di rafforzamento del RdC che incrementerebbero gli stanziamenti dedicati, come quelle di ampliamento dell’utenza. Il CD, dal canto suo, non fornisce indicazioni in materia. Bisogna ricordare che, grazie al massiccio innesto di nuovi fondi avvenuto con l’introduzione del RdC, la spesa pubblica italiana contro la povertà è oggi in linea con la media europea. Un’esplicita riduzione dei finanziamenti è presente solo nel programma del TP, come effetto della menzionata riduzione degli importi per alcuni utenti e di altri dispositivi.

 

Il sociale e il lavoro 

Dopo aver illustrato l’impianto complessivo delle politiche, passiamo ai singoli interventi. Il recente confronto politico sul RdC si è ossessivamente concentrato sui temi riguardanti l’inclusione lavorativa ed ha trascurato quella sociale, parte fondativa della lotta alla povertà. Ora bisognerebbe superare questo “dibattito distorto” ed attribuire alla dimensione sociale del contrasto alla povertà la considerazione che merita.

Tutti i programmi elettorali, invece, pongono un’enfasi assai maggiore sull’inserimento occupazionale dei percettori delle misure contro la povertà, dedicandovi varie indicazioni specifiche (riguardanti centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, formazione, incentivi alle imprese e così via). L’attenzione verso l’inclusione sociale (i percorsi di miglioramento delle proprie condizioni di vita, non legati primariamente al lavoro) è assente o, quando presente, minore. Se ne occupano il PD e – nel campo del CD – la Lega. Il PD rimanda alle proposte del Comitato Scientifico per la Valutazione del Reddito di Cittadinanza – nominato dal Ministro Orlando – che ha diffusamente mostrato la centralità dell’inclusione sociale ed ha evidenziato la necessità di potenziare i servizi sociali comunali. Inclusione sociale e rafforzamento dei servizi sociali sono obiettivi anche della Lega, seppur meno dettagliati.

Il futuro del Rdc nei programmi elettorali – Le principali posizioni
 

Partito Democratico

e Movimento Cinque Stelle

 

Centro Destra

Obiettivo strategico

 

Rafforzare il RdC

Sostituire il RdC con due interventi differenziati

 

Logica Mantenere il RdC e prevedere una serie di correttivi

Introdurre due misure rivolte:

– l’una ai poveri in condizione di lavorare;

–  l’altra ai poveri non in condizione di lavorare

Spesa pubblica dedicata

 

Crescente Non indicata
Attenzione all’inclusione lavorativa Presente e alta Presente e alta
Attenzione all’inclusione sociale Parzialmente presente e contenuta Parzialmente presente e contenuta

La vera alternativa è tra competenza e incompetenza

Quelli illustrati sin qui sono gli orientamenti che emergono dai programmi, ovviamente da considerare con la cautela che sempre richiedono simili documenti. La tabella precedente sintetizza quelle che paiono le due principali posizioni alternative in campo, che vedono PD e M5S da una parte e CD dall’altra.

Per terminare, è utile tornare a quanto detto all’inizio. Il confronto pubblico è stato prevalentemente improntato sulla contrapposizione tra abolizione o mantenimento del RdC o delle politiche contro la povertà tout court. Tuttavia, una simile alternativa non esiste e concentrarsi su di essa distoglie l’attenzione dal vero snodo cruciale. Infatti, l’alternativa decisiva per il futuro della lotta alla povertà in Italia è tra competenza e incompetenza dei prossimi governanti. L’introduzione del Reddito di Cittadinanza ha avuto il merito storico di portare finalmente la spesa pubblica contro la povertà a livelli europei; allo stesso tempo, si tratta di una misura mal disegnata sotto numerosi punti di vista, la cui traduzione in pratica ha mostrato svariate criticità. I problemi da affrontare sono tanti e difficili: solo una classe di governo ben preparata tecnicamente, consapevole della complessità delle questioni sul tappeto e attenta alle dinamiche attuative può sperare di riuscirci. Se a mettere mano al RdC fosse una élite poco competente, invece, l’esito più probabile consisterebbe nell’ulteriore indebolimento delle politiche contro la povertà in Italia.

 

Post-Scriptum. Autunno-Inverno 2022-23 

Facciamo adesso un esercizio di immaginazione su cosa potrà accadere dopo il voto, pur con tutti i limiti del caso. In base ai sondaggi, i partiti di Centro-Destra vinceranno le elezioni e formeranno il nuovo Governo. È ragionevole supporre che la portata simbolica del Reddito di Cittadinanza e il grande interesse che ha suscitato in campagna elettorale spingeranno il nuovo Esecutivo a riformarlo velocemente, nei primi mesi della nuova legislatura. Quindi avremo, in tempi rapidi, una riforma di cui oggi sappiamo poco. Si aprono allora due possibili scenari:

  1. la riforma ha una solida base tecnica e parte dall’analisi della realtà del Rdc e della povertà in Italia. Viene così colta l’occasione per mettere ordine tra gli obiettivi di contrasto alla povertà e di inclusione lavorativa e per migliorare altre criticità della misura attuale;
  2. la riforma non ha una solida base tecnica e non parte dall’analisi della realtà. Si procede così a tappe forzate verso una riforma caotica e mal disegnata, destinata a produrre per anni confusione e problemi nei territori.

In quest’ultimo caso, la storia si ripeterebbe. È, infatti, quanto già avvenuto con la nascita del Reddito di Cittadinanza, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, durante la sua rapida preparazione da parte del primo Governo Conte. Gli errori di disegno compiuti allora sono stati pagati negli anni successivi. Come andrà questa volta?