Dalla scuola materna alla scuola dell’infanzia

A 50 anni dalla legge statale sul sistema prescolastico italiano


Lorenzo Campioni | 20 Dicembre 2018

Il 1 marzo u. s. il Miur ha inviato una nota ai sovrintendenti, agli intendenti e ai dirigenti scolastici rammentando che nel 2018 ricorre il cinquantesimo della legge istitutiva della scuola materna statale1. La nota mette in risalto l’importanza che ha avuto la scuola materna, ora scuola dell’infanzia (riforma Moratti dal 2003), nel fondare un sistema educativo rivolto alle bambine e ai bambini da tre a sei anni2. Nella nota si proponeva di organizzare “un evento culturale e pedagogico in ogni capoluogo di regione”. Scorrendo i programmi di questi seminari o convegni si nota una carenza delle circostanze storiche che portarono il legislatore a istituire la scuola materna statale.

 

Se per la conquista della quasi coeva legge istitutiva dei nidi (L. 1044/1971) si fa riferimento alle lotte promosse dall’Unione Donne Italiane (UDI), dal Centro Italiano Femminile (CIF) e dalle Organizzazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL), raramente viene ricordato che a queste associazioni va pure il merito di avere richiesto ripetutamente, anche con manifestazioni pubbliche nazionali e locali, e ottenuto la scuola materna statale aperta a tutti i bambini. Forse le vicende parlamentari e governative, tra cui la caduta del secondo Governo Moro, hanno fatto da velo ai meriti di queste associazioni3.

 

La legge 444/1968 ha una importanza basilare per il sistema prescolastico italiano: finalmente lo Stato ‘si accorge’ di avere dei cittadini dai tre ai sei anni che hanno diritto all’educazione e all’istruzione; bisognerà arrivare al 2015 con la legge 107 per vedere riconosciuto finalmente tale diritto dalla nascita4.

La 444, un testo di legge non soddisfacente per gli attori sociali che ne avevano sostenuto l’istituzione, tanto da fare richiedere dall’UDI, già nel 1969, una rivisitazione radicale del testo.

La 444, una legge purtroppo in parte non applicata – pensiamo alle direzioni didattiche o alle ispettrici specifiche per la scuola materna – e con un’impostazione pedagogica arretrata rispetto a esperienze attive e innovative in scuole private laiche (Ceis/Rimini, Olivetti/Ivrea, Umanitaria/Milano…) e comunali, già definite in alcune Amministrazioni locali “scuole dell’infanzia o infantili”, con il superamento del concetto di familismo insito nella dizione scuola materna5.

Una legge, unitamente agli orientamenti successivi del 1969, che non ha saputo:

  • fare tesoro di quello che già era presente e costituiva un campo di ricerca promettente a livello educativo, soprattutto merito di Francesco De Bartolomeis e del Centro italo-svizzero di Rimini6;
  • mutuare da ricerche, anche straniere, in campo pedagogico, psicologico e sociologico una visione nuova di bambino e principi guida per l’azione educativa7;
  • tenere presente il contesto socioeconomico e culturale in accelerato mutamento (pensiamo al 1968).

 

Tra i punti critici dell’impostazione pedagogica ed educativa ricordiamo:

  • il pericolo di ribadire il suo ruolo tradizionale assistenziale e la sudditanza alla scuola elementare; quest’ultimo un pericolo sempre incombente a scapito della ricerca autonoma del bambino e dei suoi tempi di apprendimento e consolidamento delle conquiste fatte;
  • l’esclusione di bambini disabili dalla scuola di tutti per confinarli in sezioni o scuole materne speciali, quando già vi erano esperienze significative di inserimento nelle scuole comunali di bambini, allora definiti handicappati;
  • la visione gerarchica all’interno della stessa sezione con l’insegnante e l’assistente con diversi titoli per l’accesso, distinzione superata un decennio dopo con l’introduzione del team di due insegnanti per sezione;
  • la proibizione per gli uomini di accedere ai ruoli di insegnante o assistente, superata quasi dieci anni dopo, nel 1977 (vedi anche sentenza 173/1983 della Corte Costituzionale);
  • la sottovalutazione del tema, allora molto vivo, della partecipazione delle famiglie (in molte scuole comunali era già attiva da tempo la cosiddetta “gestione sociale”);
  • la scarsa attenzione per la professionalità del personale insegnante, assistente e collaboratore;
  • la non scelta del tempo pieno generalizzato, consentendo una scuola azzoppata con turno solo antimeridiano o pomeridiano;
  • nessuna formazione in servizio e silenzio sulla scelta di un lavoro collettivo tra il personale.

 

Ebbene nonostante queste limitazioni, la prassi è andata oltre ogni possibile aspettativa. Il periodo istituente, quindi di grande creatività e sperimentazione, il desiderio di cambiare, il grande entusiasmo che vedeva il semivolontariato di molte insegnanti e assistenti (con un orario iniziale di lavoro fino a 42 ore), un nuovo rapporto con le famiglie e la società… hanno portato queste scuole ad essere innovative nel panorama dell’educazione e dell’istruzione italiana.

 

Va dato atto dello sforzo statale per dare a tutti i bambini la possibilità di accedere alla scuola dell’infanzia e nel giro di due decenni di avere portato la percentuale dei bambini iscritti dal 30% circa a oltre l’80%.

Inoltre grazie ai nuovi “Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali” (D. M., 3 giugno 1991) e ai progetti nazionali di sperimentazione Ascanio e Alice si è dato un rinnovato slancio al progetto organizzativo ed educativo della scuola dell’infanzia statale. Impostazione che durerà fino alla riforma del Ministro Letizia Moratti (2003) che legalizzerà, purtroppo, l’inserimento di bambini sotto i tre anni senza alcuna rete di protezione, né interventi strutturali e organizzativi, né un sostegno per la qualificazione delle insegnanti e del personale collaboratore.

 

Ma nonostante tutto questo siamo convinti di quanto afferma il pedagogista, a cui la scuola italiana dal nido all’istruzione superiore deve molto, Francesco De Bartolomeis: “Gli elementi di novità che già ci sono nella scuola dell’infanzia dimostrano che anche in condizioni difficili il rinnovamento è possibile. Tutto quello che di buono c’è nella scuola è merito quasi esclusivo del volontariato di insegnanti e di dirigenti. […] Può sembrare affermazione azzardata: la scuola per l’infanzia realizza modelli formativi più progrediti rispetto a quelli dei gradi ulteriori dell’educazione”.

 

Una nuova sfida aspetta la scuola dell’infanzia tutta e i servizi educativi per bambini da zero a tre anni: creare un sistema 0/6 di cura e di educazione di alta ed elevata qualità per l’attuazione dei diritti dei bambini, del personale e delle famiglie.

  1. Nota Miur n. 483 del 1 marzo 2018 Iniziative per ricordare cinquant’anni di storia della scuola dell’infanzia italiana e l’istituzione della scuola materna statale (Legge 18 marzo 1968, n. 444).
  2. L’istituzione “asilo infantile” ha origine a Cremona nel 1829 grazie all’abate Ferrante Aporti. Nel tempo ha avuto varie denominazioni in base ai metodi educativi adottati: “giardino d’infanzia” con Friedrich Froebel, “scuola materna” con le sorelle Rosa e Carolina Agazzi, “casa dei bambini” con Maria Montessori, “scuola materna” con la legge 444/1968; dal 2003 con la riforma Moratti viene chiamata “scuola dell’infanzia”, denominazione invece in uso da tempo nelle scuole a gestione comunale. Con l’espressione “scuola dell’infanzia” si vuole segnare una svolta: un’istituzione non più assistenziale ma educativa. Oggi, oltre il 94% di bambini da tre a sei anni frequenta una scuola dell’infanzia che può essere a gestione statale, paritaria comunale, paritaria privata.
  3. Il 20 gennaio 1966 il voto segreto parlamentare sul disegno di legge sull’istituzione della scuola materna statale ottiene esito negativo, data la presenza di franchi tiratori nelle file della DC in difesa di interessi di parte e delle scuole materne cattoliche. Il presidente Moro, dato lo strappo evidente con parte del suo partito, rassegna le proprie dimissioni.
  4. Legge 13 luglio 2015, n. 107 Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. Si veda l’importante contributo di Giancarlo Cerini, Scuola materna statale: 50 anni che pesano, in Lorenzo Campioni e Franca Marchesi (a cura di), La strada maestra. Tracce di storia delle scuole comunali dell’infanzia nei Comuni capoluogo dell’Emilia-Romagna, San Paolo d’Argon (BG), Zeroseiup, 2018.
  5. Le scuole dell’infanzia comunali, per quanto ora statisticamente minoritarie (accolgono circa il 9% dei bambini), hanno segnato conquiste fondamentali per la qualificazione dell’offerta formativa per bambine e bambini da tre a sei anni e non solo. Basti pensare alla gestione sociale, che sarà alla base dei decreti delegati del 1974; alla modalità di lavoro in collettivo/équipe che valorizza l’apporto di tutto il personale, superando vecchie logiche gerarchiche; al tempo pieno; alla presenza di due insegnanti per sezione; ai primi inserimenti di “bambini handicappati”; alla formazione in servizio; alla supervisione pedagogica grazie alla figura del coordinatore pedagogico.
  6. Francesco De Bartolomeis, Il bambino dai tre ai sei anni e la nuova scuola infantile, Firenze, La Nuova Italia, 1968. Il primo testo italiano, manifesto della scuola sperimentale infantile.
  7. Carolyn Edwards, Lella Gandini, George Forman (a cura di), I cento linguaggi dei bambini, Bergamo, Edizioni Junior, 1995.