Decreto impresa sociale: questioni risolte e problemi aperti


Gianfranco Marocchi | 31 Luglio 2017

Alcune settimane fa, dopo l’approvazione in via preliminare del decreto sull’impresa sociale al Consiglio dei Ministri, si era commentato il testo evidenziandone alcune problematicità.

Sono seguiti i passaggi di consultazione istituzionali dovuti e a fine giugno il testo è stato approvato in via definitiva e quindi pubblicato la settimana scorsa in Gazzetta Ufficiale (D.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’articolo 2, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106.

In queste ore il panorama si sta arricchendo di commenti molto stimolanti ma per ora ci si limita ad una semplice domanda: quali delle osservazioni a suo tempo fatte sono superate dalla versione definitiva, quali rimangono ancora in tutto o in parte valide? Vediamo i punti ad uno ad uno.

 

I settori di attività delle imprese sociali

Limitazione delle attività sanitarie ai settori riconducibili ai LEAsuperato, la nuova formulazione parla solo di “interventi e prestazioni sanitarie” dizione che quindi include anche ambiti di attività quali le cure odontoiatriche a indigenti o a stranieri non regolari che proprio perché non incluse nei LEA possono essere di interesse del terzo settore.

Impostazione “dirigistica” per cui la legge si prende il compito di determinare il “chi fa cosa” e non solo di individuare le modalità operative corrispondenti alle diverse vocazioni delle famiglie di terzo settorepersiste e quindi vi sono attività del terzo settore precluse alle imprese sociali (es. beneficenza o protezione civile, per fare due esempi di attività che implicano investimenti rilevanti e che potrebbero essere svolti in forma di impresa sociale) e più in generale non è passato il principio ragionevole che, una volta definito quali siano gli ambiti di attività di interesse generale, sia l’autonoma creatività della società civile a inventare in quale modo operare. In generale si è fotografato l’esistente (ove, per continuare nell’esempio, le due attività prima citate sono svolte in forma di volontariato) piuttosto che fornire una cornice in cui liberare risorse della cittadinanza. Ma un aspetto positivo è comunque l’inclusione dell’accoglienza dei migranti tra le attività svolgibili dalle imprese sociali, superando il sillogismo impresa = business = profittare sui migranti.

Preclusione alle imprese sociali della possibilità di fare raccolta fondisuperato. La disposizione, contenuta nel Codice del terzo settore e non nel decreto impresa sociale, è stata cancellata, tutti i soggetti di terzo settore possono fare raccolta fondi.

 

I settori di attività delle cooperative sociali

Il testo originario lasciava invariati i settori di attività della 381/1991, escludendo quindi le cooperative sociali da tutti i settori di attività delle imprese sociali: superato in modo assai parziale. Il D.lgs. 112 aggiunge ai settori 381/1991 le prestazioni sanitarie, l’educazione, istruzione e formazione professionale, la formazione extra scolastica finalizzata a contrastare la dispersione e la povertà educativa e i servizi per l’impiego. In sostanza, come evidenziava Beppe Guerini in una sua intervista a Welforum, si è tradotto in termini attuali il perimetro della 381/1991; ma – osservazione invece nostra – non si coglie la portata innovativa degli slanci che in questi vent’anni hanno portato le cooperative sociali ad agire in modo innovativo in ambiti quali l’housing sociale, l’agricoltura sociale, l’accoglienza dei migranti, il turismo sociale, la gestione di beni confiscati, in generale ciò che ha a che fare con lo sviluppo locale; tutti questi ambiti potranno vedere attive le cooperative socaili solo indirettamente – come già avviene oggi – nel caso ad esempio con tali attività si realizzi inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

 

L’inserimento lavorativo

Le cooperative sociali nel testo originario rimanevano legate alle categorie del 1991il problema persiste quasi totalmente. Altre imprese sociali sono tali se assumono – pur senza sgravi – una platea ampia di lavoratori svantaggiati – secondo le definizioni di svantaggio “comunitario” – , le cooperative rimangono legate all’inserimento delle sole situazioni di disabilità, dipendenze, salute mentale, detenzione. Quello che è cambiato che oggi le cooperative A possono offrire servizi volti a favorire l’occupazione di tutte le fasce di svantaggio, cosa che già facevano ma che diventa ufficialmente riconosciuta.

 

La cooperazione sociale in generale

Scrivevamo: “Avremo da una parte una cooperazione sociale rintanata nel suo «perimetro 1991», dall’altra, in imprese sociali e in altre forme di terzo settore, tutti i fermenti di innovazione.” La questione, come si può evidenziare dai due paragrafi precedenti, persiste. Ovviabile, forse, in termini pratici, con cooperative che daranno vita a imprese sociali controllate per operare nei settori preclusi, ma a prezzo di una delle tante soluzioni per cui si fa la legge con la serenità di avere trovato a priori l’inganno. Ma culturalmente non si tratta di un bel passaggio. Chi da tempo – e sino ad ora con poca base fattuale – preconizza o auspica un superamento della “vecchia” cooperazione sociale verso forme più aggiornate e dinamiche probabilmente ha un motivo in più per ritenere che tutto ciò sia effettivamente destinato ad accadere.

 

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