Denatalità e sostegno alle famiglie con figli

Verso un assegno unico che incorpori vecchie misure?


Emanuele Ranci Ortigosa | 8 Luglio 2019

Il numero dei nati in Italia è in costante contrazione: nel 2018 439.7471, circa 46.000 in meno rispetto al 2015, 137.000 in meno rispetto al 20082. Diminuiscono in particolare i primi figli, i nati da genitori coniugati (che sono il 69,1% del totale contro il 30,9% dei nati fuori dal matrimonio, che però aumentano), i figli di genitori entrambi italiani3. Ma diminuiscono anche i nati da genitori stranieri, ora uno su cinque, che tendono ad assumere comportamenti riproduttivi simili a quelli degli italiani4.

La diminuzione delle nascite osservata tra il 2008 e il 2017 secondo Istat è imputabile per quasi i tre quarti alla diminuzione della popolazione femminile tra 15 e 49 anni (circa 900 mila donne in meno). La restante quota della diminuzione dipende dal calo della fecondità, ossia dal numero medio di figli per donna, che da un secolo decresce. Si va dai 2,5 figli delle madri nate nei primissimi anni Venti (cioè subito dopo la Grande Guerra), ai 2 figli delle generazioni dell’immediato secondo dopoguerra (anni 1945-49), fino a raggiungere il livello stimato di 1,44 figli per le donne della generazione del 1977. Negli anni più recenti tale numero scende da 1,45 del 2008 a 1,32 (1,24 delle donne italiane, 1,98 delle straniere) del 2017, uno dei più bassi di Europa. Contemporaneamente si osserva un aumento della quota di donne senza figli: nella generazione del 1950 è stata dell’11,1%, nella generazione del 1960 del 13% e in quella del 1977 si stima che raggiungerà (a fine del ciclo di vita riproduttiva) il 22,0%. Sale contestualmente dal 31,1 del 2008 al 31,9 del 2017 l’età media al parto (32,5 anni per le donne italiane, 28,9 per le straniere) che ha portato alla contrazione dei secondi e soprattutto degli ulteriori figli. Si riducono quindi le famiglie con più figli, mentre si diffondono le famiglie con un solo figlio o senza figli.

 

Le tendenze descritte sono preoccupanti perché le famiglie con figli svolgono una cruciale funzione di riproduzione delle generazioni, rilevante nella sfera privata ma cruciale anche nella dimensione collettiva, del presente e del futuro sociale, economico, culturale del paese5. Nell’attuale situazione le famiglie in Italia riescono sempre meno a svolgere tale funzione, anche perché troppo poca attenzione viene prestata alla loro situazione, sia che abbiano figli sia che vogliano averne, ai loro problemi, alle politiche più adeguate per trattarli. Bene quindi che attori di più parti, governo, Pd e varie associazioni, esprimano ora l’intenzione di intervenire sulle attuali misure di sostegno alle famiglie per riformarle e rafforzarle, riconoscendone l’inadeguatezza e l’obsolescenza.

 

La riduzione delle nascite è dovuta a fattori culturali, sociali, economici, abitativi complessi, anche di lungo periodo, in atto a livello internazionale ben oltre i nostri confini. Rilevazioni effettuate evidenziano una differenza fra il tasso di natalità effettivo e il numero di figli, due, che la maggioranza delle donne dicono di desiderare. Evidenziano anche che il rinvio a generare figli è spesso attribuito all’attesa di condizioni economiche più favorevoli, e che questa stessa ragione è la prima addotta da chi rinuncia ad avere più figli.  Sulla brusca accelerazione che la contrazione delle nascite in Italia subisce dal 2010, contraddicendo le previsioni più gradualistiche che l’Istat aveva stimato nel 2007 e ancora nel 2011, ha quindi probabilmente inciso l’irrompere della crisi economica e il progressivo manifestarsi dei suoi effetti sociali che penalizzano in particolare le famiglie con figli. Contrazione che si è verificata in molti altri paesi dell’Europa centro settentrionale, generalmente con welfare più solidi e efficaci del nostro, in ciascun paese con tempi e consistenza diverse a seconda dell’incidenza della crisi e della efficacia delle contromisure assunte6.

In effetti le recenti stime dell’Istat ci informano che fra le famiglie in povertà assoluta (nel 2018, 1,8 milioni, pari al 7% delle famiglie residenti) sono presenti 725.000 famiglie con figli minori, con una incidenza dell’11,3%. Fra i 5 milioni di individui poveri, pari al 8,4% dei residenti, i minori poveri sono 1.260.000, con una incidenza del 12,6%, ben superiore quindi a quella dell’insieme degli individui poveri. La incidenza della povertà cresce insomma fortemente all’aumentare del numero dei figli e, passando da uno a tre figli, quasi triplica. Fra le famiglie monogenitoriali molte sono povere anche con un solo figlio. Fra le famiglie con figli di genitori solo italiani e le famiglie con uno o entrambi i genitori stranieri l’incidenza della povertà cresce fino a quattro volte.

Anche per le famiglie con figli fra i fattori che concorrono a determinarne la povertà e a bloccare la mobilità intergenerazionale ricorrono il titolo di studio, la condizione lavorativa e la posizione professionale della persona di riferimento, ma soprattutto il poter contare su un solo reddito da lavoro. E l’abitare una casa in affitto, con il costo relativo, che assorbe circa il 35% della spesa di quasi la metà delle famiglie povere.

Le tendenze evidenziate riconfigurano gradualmente l’insieme delle famiglie: in vent’anni, dal 1996-1997 al 2016-2017, le famiglie crescono di numero, da 21 a 25,5 milioni, ma con meno componenti, da 2,7 a 2,4. Le persone sole salgono al 32%, i monogenitori al 10%, le coppie con figli scendono al 34%, le coppie senza figli aumentano al 20,5%, le famiglie con almeno 5 componenti si riducono al 5,3%.

Come più volte abbiamo scritto, il nostro paese si è presentato alla critica scadenza posta dalla crisi del 2008 con una situazione sociale tutt’altro che equilibrata e un sistema di welfare arretrato, frammentato, corporativo, privo di misure universalistiche contro la povertà. Le famiglie e le coppie si sono trovate particolarmente esposte e vulnerabili a fronte di una dinamica imprevedibile nella sua evoluzione, già con crescenti e pesanti effetti sul piano dell’occupazione, e soprattutto dell’occupazione femminile e giovanile, dei redditi a questa legati, della povertà crescente che penalizza sempre più soprattutto le famiglie numerose, con più figli7.

La sensazione di insicurezza e di precarietà non favorisce certamente l’assunzione degli oneri e rischi che ogni scelta generativa comporta, soprattutto in un contesto come il nostro con molte famiglie monoreddito, per il basso tasso di occupazione femminile e il frequente ritiro o ridimensionamento del tempo di lavoro soprattutto delle donne con figli8.

Siamo il paese con uno dei più bassi tassi di occupazione delle donne fra i 15 ei 64 anni (48,1% contro una media EU di 61,3%), con una riduzione delle donne occupate legata al numero dei figli (da 62,2% di donne occupate con un figlio a 37,7% di donne occupate con 3 o più figli). E siamo uno dei paesi con maggiori difficoltà nella combinazione fra impegni famigliari e lavorativi9. E come più articoli di Welforum.it hanno evidenziato, l’avere un lavoro sempre meno di per sé basta a fare uscire dalla povertà economica10.

 

Ricordiamo che il nostro paese evidenzia anche un notevole ritardo nella corresponsabilità di genere nell’assolvimento delle responsabilità e degli oneri famigliari, oltre che una inadeguatezza anche nei confronti con altri paesi europei dei sostegni alla famiglia.

Il declino della natalità sotto certi livelli non è infatti una tendenza fatale, irreversibile, ma come le esperienze estere – ma anche le nostre situazioni regionali – testimoniano, può essere contenuto da politiche di sostegno assunte e praticate con coerenza e continuità11. Sostegni occasionali non possono infatti offrire a genitori le rassicurazioni che facilitano le loro impegnative scelte di generare figli. L’Istat ha elaborato per Save the children un Mother Index, sulla condizione delle madri rispetto all’impegno di cura, al lavoro, ai servizi per l’infanzia, che evidenzia che dove le condizioni socioeconomiche considerate sono più favorevoli, come in particolare nelle province di Bolzano e Trento, in Valle d’Aosta, in Emilia Romagna e, sia pur in minor misura, in parecchie regioni del nord e del centro Italia, maggiore è la propensione a generare. Mentre le regioni dove si sommano più povertà, minor occupazione femminile, povere dotazioni di servizi tendono a registrare maggiore denatalità12.

 

Le vigenti misure nazionali di sostegno economico alle famiglie presentano gravi limiti. Nelle erogazioni monetarie la parte del leone la fanno gli assegni al nucleo famigliare le cui erogazioni di quasi 4.200 milioni di euro vanno a chi ha una situazione o un percorso di lavoro dipendente, e viene rapportata ad un reddito famigliare costruito su criteri obsoleti diversi dall’Isee. Nelle detrazioni fiscali a favore delle famiglie dominanti sono le detrazioni per famigliari a carico, 12.300 milioni, che si rapportano al reddito complessivo individuale dell’Irpef, non quindi al reddito famigliare, e che escludono dai benefici quanti hanno redditi inferiori alla soglia Irpef. L’80% circa dei 22.800 milioni del budget per la famiglia sono assorbiti da queste due misure, ciascuna delle quali seleziona i beneficiari su criteri non universali e non rapportati al bisogno delle famiglie con figli, e con scarsi effetti redistributivi. Analoga valutazione va riproposta per tante altre misure riportate negli elenchi allegati, molte delle quali legate all’evento nascita, o limitate ai primi anni di vita del bambino, affidate cioè a scelte contingenti dei bilanci annuali dello Stato e non strutturali. Perfino il Reddito di cittadinanza introdotto quest’anno penalizza assurdamente le famiglie con figli minori13.

L’insieme di queste misure lascia l’Italia fra i paesi europei che meno spendono per le famiglie, ma assorbe comunque una consistente quota della intera nostra spesa assistenziale disperdendola su criteri ed erogazioni né eque né efficaci, nel senso che non offrono alle famiglie rassicurazioni certe ed adeguate ad affrontare gli oneri della genitorialità. Ben venga quindi una coraggiosa riforma che non solo proponga una misura nuova, ma abroghi vecchie misure spostando sulla nuova le risorse finora da esse assorbite. Quanto purtroppo non è stato fatto introducendo il Rei e soprattutto il Rdc per il contrasto alla povertà.

Il riordino, secondo la prima bozza stesa dal gruppo di lavoro del ministro Fontana, vale circa 17 miliardi: al nuovo assegno unico verranno riassegnate le risorse finora destinate al premio alla nascita per le neo-mamme, agli assegni al nucleo familiare e agli assegni familiari, agli assegni familiari per nuclei numerosi, al bonus nido e al bonus bebé. Il nuovo assegno unico mensile sarebbe destinato ai nuclei con Isee non superiore a 50mila euro e modulato tenendo conto del numero e dell’età dei figli a carico, a decorrere dal settimo mese di gravidanza della madre fino al diciottesimo anno di età dei figli. Non verrebbero purtroppo riviste le detrazioni fiscali, rinunciando così a riordinare ben 13 miliardi di spesa, temo solo per non evidenziare un aumento della pressione fiscale.

 

La direzione di marcia è positiva e potrebbe convergere con la proposta di assegno unico per le famiglie avanzata da Del Rio per il Pd. Precedenti elaborazioni in merito sono state quella nel 2016 di Irs e Capp14 e quella del Pd, con primo firmatario il senatore Lepri15 e con adesione di più parti politiche, che la chiusura della passata legislatura non permise di approvare.

Sarebbe una misura che riconosce il valore sociale e l’onere della genitorialità come tale, che quindi potrebbe avere carattere universale o quasi universale, non selettiva in base al reddito e con contributo fisso per ogni minore non rapportato al reddito, escludendo solo famiglie particolarmente ricche e benestanti.16

 

L’integrazione certa dei redditi famigliari per fronteggiare i costi dei figli per tutta la durata della loro crescita e formazione è misura essenziale, ma non sufficiente. Una efficace politica per le famiglie con figli richiede infatti, come abbiamo detto, altre componenti in tema di occupazione femminile e di conciliazione fra oneri famigliari e lavoro (durata e indennità in particolare dei congedi di paternità e parentali), di disponibilità diffusa di servizi per bambini (scarsa dotazione, drammatica nel Mezzogiorno, ed elevato costo degli asili nido), di interventi complementari ai percorsi scolastici per adolescenti e giovani, di formazione e inserimento lavorativo17.

Oltre alle carenze di offerta, da ridurre e riequilibrare, questi servizi richiedono particolari attenzioni in ordine al superamento delle disuguaglianze, accentuatesi negli ultimi anni e persistenti di generazione in generazione, perché tali servizi sono di fatto più accessibili per coloro che stanno meglio e hanno anche più capacità ad utilizzare le opportunità.

Anche nel campo delle politiche famigliari, come in quello delle politiche contro la povertà e occupazionali, occorre integrare redditi carenti ma occorrono anche sostegni e servizi universali e accessibili territorialmente e culturalmente da tutti, che accompagnino famiglie e minori sfavoriti nell’impegnativo compito di generare, crescere, formarsi, inserirsi nella società e nel lavoro. Individuando e sviluppando loro competenze e capacità, a vantaggio dello sviluppo personale ma anche del capitale sociale, fattore determinante anche della crescita economica di un paese.

  1. Tale dato rappresenta il nuovo mimino storico dall’Unità d’Italia.
  2. Istat, Bilancio demografico nazionale. Anno 2018, 03.07.2019.
  3. Istat, Natalità e fecondità della popolazione residente. Anno 2017, 28.11.2018.
  4. Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su Il sole 24 0re del 14.06.2019.
  5. Rosina A., Crisi delle nascite. Un macigno sul nostro futuro, LaVoce, 12.12.2017.
  6. Caltabiano M. e Comolli C., Declino delle nascite: un problema non solo italiano, Neodemos, 14.06.2019.
  7. Per una riflessione e proposte più generali si veda: Ranci Ortigosa E., Per contrastare la povertà combinare più politiche, Welforum.it, 30.04.2019.
  8. Saraceno C., Sostenere lavoro e famiglie contro la spirale delle povertà, LaRepubblica, 08.06.2019; Saraceno C., Politiche per la famiglia e minori e contrasto alla povertà, Welforum.it, 14.05.2019; Sabatinelli S., Famiglia, infanzia e adolescenza. A che punto siamo, Welforum.it, 07.01.2019.
  9. Sabatinelli S., Congedi e servizi. La debole forza dei discorsi europei in Italia, Welforum.it, 24.05.2019.
  10. Istat, Famiglie e mercato del lavoro, Anno 2018, 06.06.2019; Lucifora C., Welfare e lavoro povero, Welforum.it, 20.05.2019.
  11. Caltabiano M. e Rosina A., Il declino delle nascite si può fermare, Neodemos e LaVoce 08.01.2019.
  12. Save the children (2019), Le equilibriste. La maternità in Italia.
  13. Saraceno C., Le forti criticità sulla povertà minorile, Welforum.it, 10.02.2019.
  14. Ranci Ortigosa E. e Mesini D. (2016), Costruiamo il wefare dei diritti. Ridefinire le politiche sociali su criteri di equità e di efficacia, Prospettive sociali e sanitarie, n.2. In particolare il cap.3, Politiche di contrasto alla povertà e di sostegno alle famiglie con figli, dove la proposta di Assegno alle famiglie con minori è stata curata particolarmente da Paolo Bosi.
  15. Lepri S., Assegno unico e universale per figli a carico, Welforum.it, 19.10.2017
  16. Per una discussione in merito a universalismo e selettività vedi Granaglia E., Fattori di vulnerabiltà e politiche di contrasto. Fra universalismo e selettività, Welforum.it, 14.05.2019
  17. Dodi E., Guidetti C., Sabatinelli S., Sostenere le famiglie nella frammentazione Misure nazionali e lombarde per il sostegno alle famiglie a confronto, Welforum.it, 27.12.2018; Dodi E., Guidetti C., Sabatinelli S., Sostenere l’accesso ai servizi di cura 0-3 anni, Welforum.it, 11.02.2019; Openpolis e Con i bambini (2019), Estendere i servizi per l’infanzia serve anche per l’occupazione femminile.

Commenti

Il saggio del Prof. Ranci Ortigosa è di assoluto rilievo e determina un quadro di prospettive concrete volte a promuovere le tutele e le opportunità per rilanciare le politiche famigliari, secondo il disegno della costruzione da una parte (come già succede in Francia con “les allocatons familiales” di un sostegno economico alla natalità, e dall’altro la rete dei servizi adeguati a sostenere la famiglia e i bambini nella loro impresa. Per i finanziamenti, secondo uno studio già svolto per il CNR e per il sindacato CISL, nel corso del quinquennio 2005-2010 (che sarebbe utile aggiornare) le economie di spesa registrate, rispetto alle previsioni, per la famiglia ed i minori erano assolutamente ragguardevoli, e l’accumulo di tali economie nel corso degli anni, recuperate, potrebbe costituire la base per il “fondo famiglia. Quindi recuperare le risorse potrebbe essere possibile, ma è fondamentale, a mio avviso monitorare e verificare ciò che le Regioni fanno in proposito.

Un’ottima analisi. Mi permetto solo di segnalare un fattore sempre dimenticato ma fondamentale nella vita delle famiglie: lo scollamento tra il calendario scolastico dei bambini e i tempi di lavoro dei genitori, che trova il suo massimo nei tre mesi (3!) di vacanze estive. Considerando che nessun lavoratore può contare su 3 mesi di ferie continuativi il problema è serio e, come al solito, viene affrontato diversamente a seconda del territorio in cui si ha la fortuna di risiedere e delle disponibilità economiche personali. Il che si traduce in ulteriori disuguaglianze e rende questo problema non solo un problema di conciliazione di tempi di vita e di lavoro, ma anche un problema di equità sociale.