Bambini, anziani: gli errori di una pianificazione dall’alto


Sergio Pasquinelli | 8 Novembre 2022

Ci siamo disabituati a seguire una pianificazione nazionale che arriva direttamente sui territori, sul locale, saltando i corpi e gli enti intermedi. Nei 21 anni che ci separano dalla riforma del titolo V della Costituzione abbiamo scoperto i limiti del centralismo regionale, quando diventa autoreferenziale. E il potenziale che nasce dalla connessione tra territori diversi, punti di vista differenti. In fondo, è l’idea su cui nacque Welforum, luogo di confronto tra le Regioni, prima di diventare un sito.

Il caso del PNRR ci riporta invece a una modalità di programmare che pensavamo superata. Ma che dobbiamo gestire, pena la perdita dei fondi disponibili: casus horribilis da evitare, a costo di fare cose poco utili o poco sostenibili.

 

Guardiamo ai bambini, la fascia 0-6 anni (Missione 4). Il Piano Nazionale investe su questa età 3,7 miliardi di euro, una cifra ingente, ma con un problema: gran parte di queste risorse sono destinate ad investimenti (i muri) anziché alla gestione corrente (le persone), col rischio evidente di costruire servizi che non avranno le gambe per sostenersi negli anni1.

Nel caso degli asili nido, se si realizzeranno tutti i 176mila nuovi posti previsti, nel 2026 avremo superato il tasso di copertura del 40 per cento della domanda potenziale: un traguardo importante. Sono molti i progetti di nuove aperture, ampliamenti, riconversione di scuole dell’infanzia. Peccato non sia chiaro come verrà destinato il Fondo nazionale di solidarietà comunale del Ministero dell’Interno, utile a sostenere le spese di gestione dei nuovi nidi, notoriamente interventi tra i più costosi nel campo dei servizi alla persona.

Nel caso delle scuole dell’infanzia, fascia 3-6 anni, se tutto andrà come previsto da quanto programmato e dalle risorse stanziate, avremo fra quattro anni un totale di 1 milione 422mila posti disponibili, con una popolazione prevista inferiore a 1,3 milioni di bambini. Insomma avremo più posti a disposizione che potenziali fruitori: un paradosso prodotto anche dalla denatalità, che richiede evidentemente qualche correzione.

 

Nel caso degli anziani (Missione 6), il PNRR investe 4 miliardi a favore dei servizi domiciliari, di cui 2,72 miliardi per il loro potenziamento, 0,28 miliardi per l’istituzione delle Centrali operative territoriali (Cot) e 1 miliardo per la telemedicina. Per quanto riguarda i servizi domiciliari, riprendo testualmente: “solo attraverso l’integrazione dell’assistenza sanitaria domiciliare con interventi di tipo sociale si potrà realmente raggiungere la piena autonomia e indipendenza della persona anziana/disabile presso la propria abitazione, riducendo il rischio di ricoveri inappropriati”.

Bene, il DM 77/2022 del Ministero della Salute (pubblicato nel mese di maggio) è considerato il testo di riferimento sulla sanità territoriale dei prossimi anni. Peccato che in esso della prospettiva appena richiamata non rimanga alcuna traccia: ci si riferisce unicamente al potenziamento dell’ADI delle Asl, un servizio che deve raggiungere il 10% della popolazione anziana. Una cifra decisa a tavolino, giustificata come soglia “che ci avvicina all’Europa” ma avulsa da qualsiasi lettura del bisogno (italiano), ed oggetto in questo momento, nelle Regioni, di conteggi surreali su cosa significhi raggiungere questa popolazione: se basta, per esempio, un solo prelievo o una sola medicazione a domicilio per arrivare a questa percentuale.

I servizi domiciliari, quelli delle Asl e quelli dei Comuni, soffrono di gravi limiti di estensione, intensità, durata, e hanno un carattere fortemente prestazionale. Soprattutto, non si occupano (o lo fanno del tutto marginalmente) dell’aiuto negli atti quotidiani della vita, per cui le famiglie sono lasciate a se stesse. La sensazione è che se qui non facciamo integrazione oggi non la si farà più. Va in questo senso, peraltro, il recente Disegno di legge delega sulla non autosufficienza, ora in attesa di essere validato dalla Conferenza Stato-Regioni e poi dal Parlamento.

 

Anziani, bambini: che cosa ci dicono questi esempi? Che un governo top-down dei servizi, se per di più esercitato senza una grande competenza di merito, produce sprechi, al meglio, o danni, al peggio. La strada non può che essere quella di una coprogrammazione che coinvolge attori e funzioni diverse, capace di “canalizzare le risorse entro un quadro strategico” come richiama Ugo De Ambrogio. Uno sforzo che apre la strada, faticosa e complessa ma necessaria, di una governance multi-livello, spesso evocata ma ancora poco praticata. Per tornare all’area dell’infanzia, la riforma dei servizi 0-6 anni (d. lgs. 65/2017) rende cogente la collaborazione tra i tre livelli di governo (Stato, Regioni, Enti locali), prefigurando un progetto di sistema ad oggi solo parzialmente compiuto.

 

  1. Si vedano in questo senso e su questo sito gli interventi di Stefania Sabatinelli e di Aldo Garbarini.