Potenzialità e ritardi nella costruzione del sistema integrato 0-6


Aldo Garbarini | 26 Settembre 2022

Le premesse normative

La Legge 107/2015 e il D.Lgs. 65/2017 hanno riconosciuto anche nel nostro Paese che i processi educativi, se di qualità e accessibili a tutte e tutti, sono un fattore fondamentale nello sviluppo non solo dei bambini e delle bambine, ma anche della comunità allargata.

In particolare, il D.Lgs. 65 del 2017 riprende anche formalmente un’elaborazione del pensiero pedagogico sull’infanzia che già da tempo era maturata a livello nazionale: l’acquisizione del pieno diritto delle bambine e dei bambini a percorsi educativi specifici, non più pensati solo in funzione di ottiche di conciliazione o, ancor peggio, di badanza.

Il salto culturale non è ovviamente da poco ed è plasticamente rappresentato dalla definita competenza del Ministero dell’Istruzione nell’ambito dei servizi 0-3 anni. Non più, dunque, la sfera socio-assistenziale, ma quella educativa e dell’istruzione, fa da sfondo al mutamento dell’intervento pubblico sin dalla primissima infanzia.

All’idea di  un percorso di sviluppo educativo ormai riconosciuto come essenziale per la realizzazione del sé è venuta collegandosi l’individuazione di un sistema integrato che vede la correlazione educativa e dell’istruzione nel segmento 0-6 anni come snodo fondamentale per la costruzione dei processi di apprendimento e di costruzione sociale e, non secondariamente, l’individuazione di un processo di governance in grado di definire le diverse competenze degli organi pubblici, anche in rapporto all’esistente sistema privato e del terzo settore, nel perseguimento dei fini previsti.

 

Una stagione di importanti novità

Non possiamo peraltro dimenticare che siamo in presenza di una stagione caratterizzata da novità non certo di contorno alla legge e che completano un quadro di riferimento teorico e operativo a sostegno del potenziale dispiegamento dei servizi nell’ambito 0-6.

Ricordo in questo senso che le Linee pedagogiche per il sistema integrato 0-6 hanno raccolto gli apporti delle scienze dell’educazione, i contributi delle migliori pratiche educative, le indicazioni della normativa europea e nazionale più recente, per offrire stimoli culturali e di lavoro a chi opera nei servizi educativi e nelle scuole dell’infanzia e a tutti coloro che hanno responsabilità nella costruzione del nuovo progetto.

Leggiamo nelle linee pedagogiche che: “(…) è evidente come il rispetto dei diritti dei bambini non si risolva in una semplice dichiarazione formale: è necessario che essi vengano tradotti in scelte legislative e amministrative, in coerenti prassi organizzative, educative e di cura che offrano una concreta garanzia del loro perseguimento. Tale compito spetta alla Repubblica nelle sue diverse articolazioni, dallo Stato alle Regioni agli Enti locali, in stretta e continuativa collaborazione tra loro. Si tratta di progettare insieme, nel rispetto delle competenze istituzionali, condizioni di apprendimento e di socializzazione che garantiscano ad ogni bambino il diritto soggettivo all’educazione e consentano a ciascuno di sentirsi riconosciuto e accolto nella propria unicità e diversità”.

 

Oltre alle linee guida sono stati elaborati dalla prevista Commissione ministeriale anche gli Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia, venendo così ad affiancare alle già note Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione un ulteriore strumento di elaborazione e di riferimento per il fare nel contesto 0-3 anni.

Gli Orientamenti completano il percorso che rende i servizi educativi per i più piccoli definitivamente agganciati al sistema nazionale di educazione e istruzione e si orientano per rendere possibile l’accesso a un numero sempre più ampio di bambine e bambini tra zero e tre anni, senza barriere, a servizi di qualità. Il documento ricorda come, per garantire questi diritti, siano necessari educatori preparati e consapevoli dell’importanza del loro ruolo, finalità condivise, ambienti inclusivi, ricchi e accoglienti, progetti educativi fondati sul protagonismo dei bambini e tali da consentire il dispiegarsi delle potenzialità di ciascuno.

 

Accanto a questi contesti di riflessione e di organizzazione del sistema, sono atterrate nel sistema risorse economiche di ampia consistenza.

Mi riferisco ovviamente in particolare agli investimenti previsti dal PNRR, anche accompagnati dalle risorse stanziate per i LEP nei servizi 0-3, finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo del 33% di offerta di servizi sull’intero territorio nazionale.

Mi limito a ricordare che sono state pubblicate le graduatorie degli avvisi pubblici relativi ad asili nido e scuole dell’infanzia. Parliamo di più di 3 miliardi di euro (3.108.496.490,50€), che andranno a finanziare 2.190 interventi: 333 per scuole dell’infanzia e 1.857 per asili nido e poli dell’infanzia per l’intera fascia di età 0-6 anni. In particolare, alle regioni del Mezzogiorno andrà il 54,98% delle risorse per gli asili nido e il 40,85% di quelle per le scuole dell’infanzia.

 

Tutto bene, dunque? Non proprio

Anche come Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia abbiamo da tempo fatto rilevare ritardi nell’applicazione del disposto normativo, in alcuni casi tali da depotenziare le innovazioni previste. Mi riferisco, tanto per citarne alcuni, alla costituzione dei coordinamenti pedagogici territoriali, che potrebbero/dovrebbero essere un concreto strumento di confronto e interazione sinergico tra i diversi soggetti gestori dei servizi, dallo Stato ai Comuni ai gestori privati. Così come quei processi di formazione congiunta che, benché anche recentemente sollecitati dallo stesso Ministero, faticano in molti territori ad essere una seria sede di concretizzazione di un approfondimento comune tra lo 0-3 e il 3-6, ancora purtroppo molte volte vissuti come segmenti separati. Manca un serio avvio dell’anagrafe sullo 0-3, strumento necessario per monitorare con scrupolo e attenzione adeguata ciò che sta realmente accadendo nei territori. E, giusto per mettere la ciliegina sulla torta, non abbiamo ancora nemmeno un ufficio centrale di riferimento.

E per tornare al PNRR, benché vada sottolineato positivamente come gli investimenti per lo 0-6 siano in realtà inscritti in un contesto più complessivo di finanziamenti rispetto al comparto dell’istruzione, non sfugge il fatto che abbiamo investito molto sui muratori, sui mattoni, cosa peraltro assolutamente importante, per rilanciare l’economia. Ma oltre ad aver messo i mattoni, poi dentro i mattoni o fuori i mattoni, ci stanno dinamiche sociali, educative, economiche la cui dimensione forse doveva in qualche modo anticipare o almeno accompagnare i bandi stessi: per evitare, come ormai spesso si è già detto, di costruire cattedrali nel deserto.

 

Alcuni nodi

Visto l’andamento attuale e gli effetti che comunque in tutti i casi gli investimenti previsti produrranno, si pongono però questioni ancor più generali e di principio, dalle cui soluzioni potremmo ricavare contesti di riferimento anche diversi da quello attuale o comunque da quello auspicato.

In primo luogo, una dimensione che sembra ovviamente scontata: quella delle risorse complessive del sistema. Ci saranno le risorse economiche ma anche umane e organizzative, per garantire che le bambine e i bambini in ogni e qualsiasi parte del nostro Paese possano godere degli stessi servizi di qualità a sostegno del proprio sviluppo e della propria autonomia? Indipendentemente dalla loro situazione economica, sociale, fisica, familiare, di sesso e di appartenenza? Una preoccupazione che mi sembra fondamentale, se si intende seriamente combattere le disuguaglianze che affliggono il nostro paese e che si declinano anche per i più piccoli cittadini in condizioni di povertà materiale e educativa, condizioni particolarmente frequenti nei territori meridionali dove è più carente la rete dei servizi per l’infanzia e maggiore l’abusivismo, minore l’offerta di tempo pieno nella scuola dell’infanzia, massicci gli ingressi anticipati a due anni nella scuola dell’infanzia e a cinque anni nella scuola primaria, che in alcuni casi possono essere premonitori di futuro insuccesso scolastico.

A fronte di queste situazioni sarebbe dunque auspicabile che gli interventi per la necessaria estensione dei servizi per i più piccoli non andassero disgiunti da una prospettiva forte e costruttiva di interventi per la loro qualificazione. Sappiamo, peraltro, come ancora oggi una parte consistente della spesa faccia carico ai Comuni e alle famiglie e come le risorse al momento messe in cantiere attengano solo in parte ai costi di gestione del sistema; quelle previste a regime dai LEP, ad esempio, dovrebbero coprire i nuovi posti creati con gli investimenti del PNRR, ma certo non risolvono quanto al momento viene speso. Insomma, se il diritto di cui finora abbiamo parlato vuol essere un diritto universale, allora dobbiamo consentire ai gestori e alle famiglie di vedere soprattutto nei nidi d’infanzia non un centro di spesa, ma una risorsa educativa di fondamentale importanza.

 

Esiste, come già accennavo prima, un problema di governance che va operativamente risolto. È indubbio che ipotizzare l’integrazione di servizi finora vissuti come separati anche da chi in quei servizi opera non sia di facile soluzione, così come coordinare competenze e funzioni diverse, anche territorialmente articolate, quali quelle statali, degli enti locali e dei gestori privati, a partire dal privato sociale. Sappiamo tuttavia che il D.Lgs. 65 pone in capo ai Comuni, in quanto enti essenziali di una prossimità verticale pubblica, compiti e funzioni sostanziali nella promozione, sostegno, controllo e vigilanza della gestione complessiva dei servizi 0-3 e come, d’altra parte, si ponga come elemento altrettanto ineludibile un coordinamento tra Direzioni regionali del ministero e le Regioni, per una effettiva politica di attuazione del sistema secondo le rispettive competenze. È dunque necessario che ognuno faccia la sua parte e che si incominci seriamente a pensare a strumenti anche sostitutivi nei confronti dei soggetti che non rispettano appieno il mandato che la norma loro assegna. Credo peraltro che solo a partire da questa dimensione si possa trovare un fertile terreno per affrontare quel tema del rapporto tra pubblico e privato ormai da tempo sollevato soprattutto dal sistema del terzo settore; una questione, questa, che richiederebbe ulteriori approfondimenti, investendo temi quali la titolarità dei servizi, le modalità di gestione degli appalti, le forme di coordinamento nella gestione.

Mi permetto di aggiungere una personalissima riflessione: forse bisognerebbe iniziare a superare anche la frammentazione tra ministeri e centri di spesa, nonché tra competenze e progettualità disseminate tra servizi e uffici, per arrivare a un centro unico di intervento sull’infanzia e l’adolescenza. Avere a tutti i livelli della struttura pubblica, anche a livello governativo, un centro chiaro e preciso, in cui trovare quell’unitarietà di progettazione e di complementari risorse organizzative e gestionali, forse permetterebbe un deciso balzo in avanti nella realizzazione di un reale sistema integrato.

 

Terza questione che mi pare necessariamente da risolvere: i processi formativi. Non mi riferisco solo alla “stramberia” di percorsi formativi diversi per un contesto che vorrebbe essere integrato, ma anche alla questione tutta immediata e presente di una grave carenza del personale educativo oggi necessario per la gestione dei servizi 0-3. Iniziamo ad avere un problema di nidi che chiudono perché non si è più in grado di assumere il personale. E, come rete nazionale di Alleanza per l’Infanzia che raggruppa enti e organizzazioni che agiscono nell’ambito dei servizi educativi, abbiamo previsto che l’apertura dei nuovi servizi entro il 2026 implicherà circa 42.000 nuove assunzioni. Le motivazioni di tale carenza possono essere ovviamente tante, a partire dall’ancora sempre bassa considerazione sociale del lavoro di cura, ma certo non possiamo sottacere come i percorsi formativi oggi previsti inizino a creare un problema. Non credo in questo caso si debbano nascondere alcune sottese dinamiche di fatto ostative al processo: dagli stessi operatori del sistema (penso in particolare al timore di una dequalificazione paventata da alcuni profili professionali), fino al ruolo svolto dalle Università, che potrebbero ben essere un soggetto attivo di promozione di percorsi formativi integrati. Il rischio è quello di tornare a qualificazioni pre-riforma, superando nei fatti un percorso di formazione che dovrebbe invece essere coerente con quegli assunti di qualità nei servizi, anche relativa al personale che lì opera.

 

E proprio con il tema del personale impiegato nello 0-6 ritengo di chiudere. Lo dico in poche parole: mi sembra doveroso pensare che se qualcuno ha la stessa formazione, se qualcuno fa lo stesso tipo di lavoro, se lavora nello stesso sistema di qualità, allora le retribuzioni e le discipline contrattuali debbono essere non dico per forza eguali, ma almeno omogenee. Abbiamo in sostanza bisogno di una decisa valorizzazione del personale, tutto, senza distinzioni, dai percorsi formativi di ingresso a quelli in itinere fino ad una coerente ricomposizione contrattuale. Perché un sistema di qualità si fonda anche su un processo virtuoso capace di valorizzare agli occhi di chi ancora non se ne è accorto quanto queste professionalità siano decisive nello sviluppo di un sistema educativo fondamentale per il nostro contesto democratico.