Gara di generosità verso i profughi dall’Ucraina

Come accogliere responsabilmente


Maurizio Ambrosini | 22 Marzo 2022

La gara di generosità di queste settimane nell’accoglienza dei profughi ucraini è impressionante. Forse l’unica buona notizia di una tragedia che riporta indietro l’orologio della storia europea alla seconda guerra mondiale, scavalcando per gravità e numero di persone coinvolte i conflitti che hanno frantumato l’ex Jugoslavia.

 

Le stime parlano ormai di oltre tre milioni di rifugiati oltre confini, e quasi due milioni di sfollati all’interno dell’Ucraina. Ma altre stime parlano di sei milioni di sfollati e le Nazioni Unite di 12,65 milioni di persone coinvolte nel conflitto. Tra i paesi vicini, la Polonia, sovranista e senza cuore nei confronti dei profughi curdi di nazionalità irachena che premono ai confini con la Bielorussia ha aperto le porte, secondo stime difficili da verificare, a quasi due milioni di fuggiaschi ucraini. Se anche fossero la metà, o soltanto un quarto, sarebbe comunque un fatto straordinario. Anche gli altri Stati confinanti, dalle sovraniste Ungheria e Slovacchia alle depresse Romania e Moldova, non sembrano avere remore nel dispiegare una solidarietà incondizionata. Un cambiamento tanto più rimarchevole quanto più si ricordano le chiusure politiche verso altri profughi, lo stato dei servizi sociali, le difficoltà economiche di questi paesi.

 

Nell’Europa occidentale la Germania ha già accolto più di 170.000 profughi e si prepara ad accoglierne altri, ma merita una menzione il caso particolare del Regno Unito post-Brexit: in una prima fase ha accolto soltanto poco più di 6.000 persone, avendo posto come condizione un legame di parentela con qualcuno già insediato nel paese. Ora però 350.000 famiglie, rispondendo a un appello, si sono dichiarate disponibili ad accogliere dei rifugiati ucraini in casa propria, e il governo si appresta a varare una seconda e più generosa fase di accoglienza.

 

In Italia sono ormai 53.669 i profughi arrivati alla data del 18 marzo: 27.429 donne, 4.582 uomini e 21.658 minori, ma le cifre aumentano di circa 3.500 unità al giorno e probabilmente non pochi arrivi spontanei devono ancora essere registrati. Il governo ha previsto per ora di accogliere 83.000 profughi, stimando che circa 60.000 riescano a trovare una sistemazione autonoma, soprattutto grazie a parenti e conoscenti, come è avvenuto in queste prime settimane. Il governo ha stanziato fondi per sostenere per tre mesi queste forme di accoglienza. Circa 3.000 rifugiati, tra cui 700 minori, sono invece ospitati nel sistema di accoglienza istituzionale (centri SAI e CAS), di cui si prevede un potenziamento. Si mettono a disposizione finanziamenti per gli enti del terzo settore che offriranno ospitalità. Quanto ai servizi integrativi, 2.000 studenti risultano già inseriti nelle scuole, mentre le università stanno attivando progetti dedicati. Immediata l’ammissione ai servizi sanitari, anche perché uno dei problemi della popolazione ucraina è il basso tasso di vaccinazione, intorno al 40%. Sul versante opposto, medici e operatori sanitari potranno subito esercitare la loro professione in Italia, per un anno: una novità importante, se paragonata con una lunga storia di impedimenti e resistenze del settore nei confronti dei professionisti stranieri. Insomma, le istituzioni pubbliche di fronte all’emergenza si stanno dimostrando tutt’altro che reticenti o lente nelle risposte: la guerra ha dato una spinta decisiva per accantonare prudenze e pastoie burocratiche.

Attivissima in parallelo la società civile, con una miriade di iniziative in tutto il paese. Collette, raccolte di generi alimentari e di vestiario, pulmini che fanno la spola stanno coinvolgendo migliaia di volontari, organizzati in associazioni e spontanei. Molte famiglie si sono dichiarate disponibili ad accogliere i rifugiati in casa propria: 1.300 nella sola provincia di Milano.

 

L’Italia sta dunque dando il meglio di sé. Il problema è però quello di incanalare questo fiume di generosità spontanea entro logiche che ne valorizzino le virtù e ne contengano le possibili derive. Ecco qualche suggerimento, sulla base anche delle indicazioni istituzionali.

Primo, evitare iniziative estemporanee. Portare viveri e vestiti alla rinfusa, senza un coordinamento con chi deve stoccarli e distribuirli, mette sotto pressione servizi di accoglienza già in difficoltà. Prelevare profughi al confine e portarli in Italia senza coordinamento con le istituzioni e senza prevedere forme durature di ospitalità, come ha ricordato il prefetto di Milano Renato Saccone, non è consigliabile: manda il sistema di protezione in affanno. Il protagonismo, il desiderio di fare e di esserci, i video e le foto con mamme e bambini, sono forse inevitabili in queste prime caotiche settimane dell’emergenza, ma andrebbero progressivamente ridimensionati: l’accoglienza deve servire a loro, non a noi. L’accoglienza deregolata non è una buona accoglienza.

 

Secondo, bisogna misurare le forze e predisporre forme di aiuto sostenibili nel tempo. L’accoglienza spontanea entro le mura domestiche è un bel gesto, ma per quanto può durare? Oltre a chiedersi se si è pronti ad accogliere, bisogna anche domandarsi per quanto tempo si è in grado di farlo. Stanno già arrivando a Comuni e Prefetture, di rimbalzo, le famiglie di assistenti familiari ucraine che hanno dato alloggio a loro parenti, nei primi giorni, in casa loro o presso i datori di lavoro italiani: magari famiglie di quattro persone in un piccolo-medio appartamento di città. Dopo qualche giorno la situazione si è rivelata insostenibile. Il bisogno abitativo non andrebbe sottovalutato.

 

Terzo, occorre lavorare in collaborazione con le istituzioni pubbliche e le reti associative. Per esempio, i minori non accompagnati registrati sono appena 176. Il dubbio è che ce ne siano altri accolti spontaneamente e non registrati. Anche nei rapporti tra soggetti collettivi e gruppi di cittadini, l’accoglienza funziona se ognuno contribuisce sul segmento di attività che gli compete o gli è congeniale, evitando sovrapposizioni, competizioni, dispersioni di risorse. La collaborazione tra i diversi attori sociali è la strada più efficace per dare risposta a bisogni multidimensionali come quelli dei profughi, improvvisamente sbalzati in un contesto sconosciuto, senza alcuna preparazione. Vorrei citare a titolo di esempio la risposta al problema abitativo dei rifugiati ucraini nel piccolo centro lombardo di Cerro al Lambro: il parroco ha messo a disposizione una struttura parrocchiale adeguata, l’ente locale ha provveduto alle esigenze istituzionali ed economiche, i cittadini hanno offerto arredi e accompagnamento.

Quarto, è importante coinvolgere gli immigrati ucraini già insediati, come interpreti, mediatori, accompagnatori dei nuovi arrivati. È la prima volta, almeno in queste proporzioni, che l’arrivo di un flusso consistente di persone dall’estero può contare sulla collaborazione di una numerosa base di connazionali pronti a condividere il compito di accogliere. Realizzare iniziative di sostegno insieme agli immigrati ucraini, spesso in verità donne anch’esse, come molte delle nuove arrivate, non solo facilita la comprensione reciproca, ma riconosce protagonismo, responsabilità e dignità alle persone immigrate. Se quanto abbiamo visto in queste prime settimane si consolidasse, scriverebbe una pagina nuova nelle politiche d’integrazione italiane.

 

Quinto, le necessità di chi arriva sono molte e non si limitano ai bisogni primari di alloggio, cibo, vestiti. D’altro canto, l’aiuto può assumere forme diverse, magari discrete e poco appariscenti, ma non meno preziose. Per esempio, far giocare i bambini e aiutarli a superare i traumi della guerra e dell’esilio. Nei prossimi mesi, aiutarli a inserirsi a scuola. Intrattenendo i bambini, dare anche alle madri un tempo di respiro, d’incontro e di condivisione. Pensiamo a come circoli, società sportive, oratori, potrebbero contribuire ad animare il tempo libero dei nuovi arrivati, aiutandoli a superare spaesamento e solitudine.

 

Sesto, imparare qualcosa da questa esperienza. Lo slancio di solidarietà verso i profughi ucraini è encomiabile, ma non possiamo evitare di domandarci se anche altri profughi, di altre guerre, non abbiano sofferto drammi analoghi, e non meritino un’analoga accoglienza. Anche dalle tragedie può nascere qualcosa di buono. Dalla crisi ucraina, se sapremo coglierne la lezione, potrebbe scaturire una svolta nella visione, nel linguaggio e nelle politiche dell’asilo.