I beneficiari di SIA e REI e il controverso costo del Reddito di cittadinanza


Massimo Baldini | 4 Aprile 2018

Il 28 marzo il Ministero del lavoro e l’Inps hanno presentato i primi dati sull’applicazione del Reddito di inclusione (REI). Se consideriamo anche il SIA, ancora in vigore ma in corso di sostituzione da parte del REI, e i sussidi che alcune regioni aggiungono al REI stesso, nei primi mesi di vita queste misure hanno già raggiunto circa 250mila nuclei (con quasi 900mila persone), cioè la metà della platea potenziale stimata dal governo, 500mila famiglie, che saliranno a 700mila quando, da luglio, il REI diventerà davvero universale e si rivolgerà a tutte le famiglie sotto la soglia di Isee, senza restrizioni categoriali (ora ne sono escluse le famiglie di maggiorenni prive di invalidi e disoccupati). Il 70% dei beneficiari risiede finora nelle regioni meridionali, dove sicuramente più diffusa è la povertà. Non si dispone ancora di dati molto disaggregati, ma alcune considerazioni si possono proporre sull’efficacia della misura e sulle sue prospettive.

 

Per quanto riguarda le caratteristiche dei beneficiari, il fatto che il 70% delle domande accolte provenga dal Sud ci dice che buona parte delle famiglie coinvolte ha cittadinanza italiana. Gli stranieri infatti risiedono in gran parte nelle regioni centro-settentrionali, mentre al Sud la povertà è un fenomeno soprattutto italiano. È ragionevole quindi che nelle regioni settentrionali la maggioranza dei richiedenti sia di origine straniera, e questo potrebbe essere fonte di polemica da parte di forze politiche che hanno un atteggiamento critico verso l’immigrazione. Ma questa reazione sulla cittadinanza dei beneficiari nel Nord sarebbe non solo sbagliata, perché la povertà va contrastata comunque, ma anche mal posta, perché il dato nazionale complessivo dice che il REI va soprattutto a famiglie di italiani.

Colpisce inoltre una significativa presenza, tra i nuclei beneficiari, di quelli composti da una sola persona. È ormai un risultato acquisito che la recessione degli ultimi dieci anni abbia colpito soprattutto i giovani, a causa della crisi del mercato del lavoro, mentre i tassi di povertà non sono cresciuti per gli anziani. Ma se si va a vedere oltre il dato medio, evidentemente c’è una fascia di adulti non più giovani che sono stati anch’essi spiazzati dalla crisi, e forse hanno età avanzata e capitale umano limitato, caratteristiche che li rendono difficilmente reimpiegabili. Il REI permette di far emergere questi aspetti inediti della povertà, un aspetto sicuramente molto importante.

Le prime evidenze sul REI si incrociano ovviamente con il dibattito in corso sul reddito di cittadinanza, la misura contro la povertà proposta dal M5S. Il REI costa, nella sua versione attuale, poco meno di 3 miliardi all’anno. Il Reddito di cittadinanza costerebbe secondo i proponenti circa 15 miliardi all’anno, più 2 di investimenti il primo anno per riformare i centri per l’impiego. L’Inps ha stimato pochi anni fa una spesa annuale molto superiore, 30 miliardi, e due giorni fa il suo presidente Boeri ha aggiornato questa stima, alzandola a 35-38 miliardi. Come mai questo incremento? Chi scrive, assieme a F. Daveri, aveva stimato la spesa per il reddito di cittadinanza attorno a 29 miliardi all’anno, cioè un valore molto vicino a quello inizialmente stimato all’Inps. Queste stime sono state effettuate su un campione di dati relativo al 2014. E’ probabile che l’Inps abbia aggiornato le proprie stime su una base dati più recente. Negli ultimi anni la quota di famiglie in povertà relativa è cresciuta, e con essa la diseguaglianza. Il reddito di cittadinanza dei 5S ha proprio l’obiettivo di coprire la distanza che separa la soglia di povertà relativa dai redditi delle famiglie che sono ad essa inferiori. Se il numero delle famiglie sotto la soglia cresce, aumenta anche la spesa totale.

 

Resta da spiegare la forte differenza tra la stima del costo del reddito di cittadinanza secondo i 5S e le altre. Sintetizziamo quanto già contenuto nel precedente articolo su welforum. Il reddito di cittadinanza copre la differenza tra la soglia di povertà relativa Eurostat e il reddito monetario della famiglia. La soglia Eurostat è il 60 per cento del reddito equivalente mediano, che non contiene gli affitti figurativi delle famiglie che possiedono la casa (l’affitto figurativo, o imputato, è una misura del beneficio di possedere la casa, pari al canone che si riceverebbe dandola in affitto). La stima a cui fanno riferimento i 5S invece include nel reddito famigliare l’affitto imputato, quindi la distanza media tra la soglia e il reddito si riduce. Poiché molte famiglie povere relative vivono in proprietà, questa differenza metodologica riduce molto la spesa prevista. E’ sensato differenziare l’intervento tra chi vive in proprietà e chi vive in affitto, perché a parità di reddito monetario il tenore di vita di chi possiede l’abitazione di residenza è superiore, ma il disegno di legge del reddito di cittadinanza, prendendo alla lettera il metodo Eurostat di calcolo della povertà, non tiene conto di questa differenza.

Va tenuto anche conto che il numero effettivo di beneficiari di solito è inferiore a quello potenziale, perché non tutte le famiglie povere presenterebbero domanda, per vari motivi (vergogna, lavoro nero, ecc.). D’altra parte, visto che il reddito di cittadinanza è molto generoso, il suo livello potrebbe attirare molte domande, anche a seguito dell’importanza che il tema ha assunto nel dibattito politico.

La disputa sulla spesa necessaria, comunque, rischia di rimanere solo al livello di pure ipotesi, per la semplice ragione che i conti pubblici italiani non si possono permettere di aumentare la spesa di 15 miliardi all’anno, tanto meno di 30. Considerato che l’anno prossimo sarà difficile trovare 12 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva, altri 15 miliardi di spesa porterebbero il deficit a sfiorare il limite del 3%.

C’è però una semplice soluzione al problema della sostenibilità della spesa: puntare a potenziare ciò che c’è già, cioè il REI, incrementandone la dotazione in modo graduale come richiesto anche dall’Alleanza contro la povertà. Un aumento a tappe successive delle soglie del REI realizzerebbe una maggiore copertura delle famiglie in povertà assoluta, e darebbe alle istituzioni interessate il tempo necessario per valutare l’efficacia della misura ed i suoi effetti.

 

Per ulteriori approfondimenti in merito ti consigliamo di leggere gli articoli di Chiara Saraceno, di Massimo Baldini e Leonzio Rizzo, e di Tommaso Monacelli pubblicati di recente su LaVoce.


Commenti

Il ReI ha, finora, un take up inferiore a quello implicito nelle stime del governo, che si aspettava 500mila fam. beneficiarie. Perché il Reddito di cittadinanza dovrebbe invece avere un take up del 100%?… Quanto alla questione dei fitti imputati, l’intenzione dei firmatari della proposta dei 5 stelle era di includerli nel reddito dei richiedenti, come ha chiarito Tridico pochi giorni fa e come era chiaro durante i lavori della Commissione Lavoro del Senato dell’ottobre 2015, quando Istat ha presentato la stima di 14,9 mld. precisando il dettaglio sui fitti imputati (nb: alla presenza dei firmatari della proposta). I 780 euro dei 5 stelle coincidono grosso modo con la linea di povertà assoluta, oltre che con la linea relativa Eurostat. Il ReI toglie le spese di affitto dal reddito dei richiedenti e fissa una soglia molto inferiore alla linea di povertà assoluta. Confrontiamo i pro e i contro a parità di ipotesi sul take up, alzando la soglia ReI alla linea di povertà assoluta senza la componente affitto (circa 400-450 euro) se davvero vogliamo trovare una soluzione migliore. Il ReI e il reddito dei 5 stelle sono varianti della stessa formula.

al di la dei costi… per far sì che il REI o il Reddito di cittadinanza funzioni, bisogna puntare urgentemente sulla riforma del CPI. senza questa riforma e senza il coinvolgimento attivo del CPI, il rischio che si corre è quello di continuare ad erogare contributi “a pioggia” e, di conseguenza,tali misure resterebbero solo “misure puramente assistenziali”.

Caro Marco, mettiti nei panni di un comune mortale che voglia simulare gli effetti di una proposta: se ha la fortuna che ci sia un dettagliato disegno di legge, tende a fidarsi di quello che c’è scritto (e di quello che non c’è). Concordo sul fatto che sia necessario differenziare tra i poveri che vivono in affitto e quelli che possiedono l’abitazione, a parità di reddito monetario. Nel testo del disegno di legge sul reddito di cittadinanza non è chiaro come introdurre questa differenza. L’articolo 13 dice che i beneficiari che non sono proprietari dell’abitazione riceveranno il fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione. Indicazioni sui fitti imputati non si trovano neanche nel testo completo dell’iter della misura in commissione (http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/FascicoloSchedeDDL/ebook/42593.pdf). Sarebbe stato importante precisarlo, anche perché i fitti imputati, per ora almeno, sono una misura statistica, non usata in pratica per definire sussidi. Bisognerebbe stabilire come l’amministrazione pubblica dovrebbe calcolarli, rendendoli anche coerenti con le rendite catastali. Un lavoro non semplice. E’ più facile dedurre l’affitto pagato dal reddito e definire soglie più basse, come fa il Rei. Mi fa comunque piacere che esponenti del M5S abbiano detto che nel calcolo del reddito si terrà conto dell’affitto imputato. A proposito del take-up, mi pare che anche Istat assuma 100%. Il Rei è appena nato, diamogli ancora un po’ di tempo per aumentare il suo take-up. Un saluto.
Massimo.

Caro Massimo,

naturalmente capisco perfettamente il tuo punto. Hai fatto bene a sollevare il dubbio interpretativo, che tuttavia adesso mi sembra chiarito, almeno per quello che riguarda il fitto imputato, in modo che si possa dire che il costo totale atteso sia dell’ordine dei 15 e non dei 30 miliardi (aspetto di capire come si arriva ai 35-38 dell’Inps).

L’Istat aveva già risolto questo dubbio nell’ottobre 2015, quando aveva prodotto delle stime di tutti i disegni di legge in materia di sostegno dei redditi per la 11ma Commissione del Senato. Uno dei documenti portati in audizione dall’Istat, che precisava le caratteristiche delle microsimulazioni, spiegava che il reddito dei richiedenti includeva gli affitti imputati (https://www.istat.it/it/archivio/162091): “il sussidio proposto è pari alla differenza fra una soglia di intervento di 9.360 euro annui (per le famiglie di una sola persona) e il 90 per cento del reddito familiare (che include i fitti imputati delle case abitate dai proprietari).”

Nessuno dei firmatari della proposta ha mai contestato quella interpretazione, anzi, hanno più volte citato la stima dell’Istat, che pertanto, salvo smentite dei 5 stelle, corrisponde all’interpretazione autentica del ddl 1148.

E’ per questo motivo che mi permetto di dire che possiamo eliminare un elemento di equivoco da un dibattito che è già abbastanza complicato e che deve ripartire, come ha riconosciuto anche Pasquale Tridico, dal ReI, che è la prima forma, almeno in progress, di Basic Income in Italia.

Il Reddito di cittadinanza, il Reis dell’Alleanza contro la povertà e il ReI di Poletti-Gentiloni sono in fondo casi particolari di una stessa formula lineare, che differiscono per l’importo, la scala di equivalenza e la definizione di reddito e patrimonio. Si tratta della formula sulla quale molti di noi hanno lavorato dal lontano 1995, quando si chiamava Minimo Vitale. Riflettiamo sui problemi aperti, a cominciare da quello del trattamento differenziale fra proprietari e inquilini. Non voglio polemizzare, ma provare a rimuovere un equivoco che pesa come un macigno sul dibattito e rischia di travolgere, secondo me, anche il Rei “aumentato” di cui ci sarebbe bisogno. saluti

Caro Marco,
sono d’accordo su quello che scrivi. Il dubbio era legittimo visto il continuo riferimento alla povertà relativa definita secondo il criterio europeo e la mancanza di informazioni nel disegno di legge. Adottando lo schema del REI non c’è bisogno di calcolare i fitti imputati quindi se si procederà a potenziare il Rei, come spero, il grosso problema del calcolo dei fitti imputati non si porrà.