I Care Leavers: giovani su cui scommettere


A cura di Tortuga | 24 Luglio 2020

Chi sono i Care Leavers?

Sono anni che in Italia si parla di ricominciare a investire sui giovani. La crisi Covid-19 sta mettendo a dura prova l’occupazione giovanile, e colpirà più duramente coloro che hanno minori opportunità. In un sistema di welfare come quello italiano, caratterizzato dal presupposto che siano le famiglie a prendersi cura dei figli, a soffrire di più sono proprio quei giovani che non hanno una famiglia su cui poter contare. I care leavers rientrano in questa categoria a pieno titolo, eppure restano per lo più “invisibili” agli occhi del sistema di welfare attuale. Sono giovani che al compimento della maggiore età vivono fuori dalla famiglia di origine sulla base di un procedimento dell’autorità giudiziaria (Art. 1, comma 250, L. 27/12/2017, n. 205). Si tratta di ragazzi e ragazze che vengono allontanati dalle loro famiglie di origine in età minore, per lo più a causa di gravi problemi di sicurezza e tutela (violenza domestica, abusi e dipendenze dei genitori). Lo Stato tutela i minori che vivono in questi contesti di grave disagio attraverso l’affidamento familiare e l’accoglienza presso strutture residenziali che garantiscono supporto economico, educativo ed affettivo. Questa tutela cessa una volta compiuti i 18 anni di età, lasciando questi giovani in un limbo che li pone in una condizione di svantaggio ulteriore rispetto ai propri coetanei.

 

Secondo i dati Eurostat del 2018, in media un giovane in Italia lascia la casa dei propri genitori a 30.1 anni, contro una media europea di 26 anni. Questo è dovuto non solo a fattori culturali, ma anche socio-economici: un mercato del lavoro di difficile accesso, che offre ai giovani contratti di breve durata. A ciò si aggiunge un’economia della conoscenza che richiede ai giovani di investire in formazione, universitaria o professionale, facendo sì che un giovane a 18 anni oggi non possieda gli strumenti necessari per avviarsi verso una vita autonoma. In particolare i care leavers devono fare i conti anche con traumi vissuti nel passato e necessiterebbero di continuità nella relazione con i servizi sociali, che li hanno supportati quando ancora minori. Se da un lato i problemi riscontrati nella famiglia di origine restano irrisolti, impedendo il rientro a casa, dall’altro la possibilità di rimanere nella famiglia affidataria non è sempre garantita, lasciando questi ragazzi e ragazze senza punti di riferimento. Invisibili tra gli invisibili sono poi i Minori Stranieri Non Accompagnati (Msna), che una volta diventati maggiorenni non possono più contare sulla protezione offerta dai servizi sociali. Devono scontrarsi non solo con la difficoltà di non avere una famiglia alle spalle, ma anche con le complicazioni legate alla richiesta del permesso di soggiorno.

 

L’istituto del Prosieguo Amministrativo offre la possibilità di estendere la tutela riservata ai minorenni fino ai 21 anni di età, consentendo che possano rimanere o in famiglia affidataria o in comunità fino a quell’età. Tuttavia, essendo i costi a carico delle regioni, esso viene utilizzato con grande disparità sul territorio. A oggi il nostro sistema non offre un percorso sistematico graduale verso l’autonomia per questi ragazzi e ragazze, che devono affrontare fin da subito la sfida di diventare adulti con poche risorse sia affettive che economiche a disposizione.

 

Quanti sono i Care Leavers e quali difficoltà incontrano

Il fenomeno dei care leavers è stato oggetto di pochi studi quantitativi, anche a causa della complessità di seguire questi giovani dopo il termine del loro percorso nelle strutture residenziali o presso le famiglie affidatarie. In Italia il monitoraggio dei minori in accoglienza è delegato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali all’Istituto degli Innocenti, che rappresenta la più affidabile fonte di dati su questo tema. L’Istituto degli Innocenti stima che nel 2018 i care leavers neo-maggiorenni siano stati 2,400, al netto dei Msna. Se si considera la fascia di età dai 18 ai 21 anni, risultano quasi 7 mila. Purtroppo informazioni più dettagliate riguardo le attività di questi giovani esistono solo per coloro che continuano ad essere inseriti nel percorso di affido anche dopo i 18 anni attraverso il Prosieguo Amministrativo. Secondo i dati raccolti nel 2016, tra i care leavers di età 18-21 anni in affido familiare il 56% è impegnato a concludere la scuola superiore o è iscritto a corsi professionali, mentre questa percentuale sale al 74.1% per coloro che sono accolti presso strutture residenziali per minori.  Solo l’8% dei care leavers in affido familiare dichiara di essere iscritto all’università, mentre non ci sono ragazzi o ragazze che continuano a studiare dopo le superiori nelle strutture residenziali. Questi dati ci portano a riflettere sul ritardo che questi giovani accumulano anche nel loro percorso di studi, impiegando più tempo rispetto ai loro coetanei a diplomarsi e rendendoli poco motivati a proseguire con gli studi universitari. Coloro che continuano sono infatti quelli in affido familiare, che possono contare sul sostegno economico e morale della famiglia affidataria. Inoltre un’indagine campionaria su 373 care leavers svolta tra il 2017 e il 2019 dall’associazione Agevolando, mostra che circa la metà dei ragazzi usciti dai percorsi di accoglienza avrebbe avuto bisogno di un supporto per continuare gli studi, ma la maggior parte di loro dichiara di non averlo ricevuto. La difficoltà nell’accesso all’università non è solo legata al fatto di dover conciliare lavoro e studio, ma anche alla questione abitativa. Infatti ad oggi le università prevedono la possibilità di offrire l’alloggio solo ai fuorisede, senza considerare che esistono anche categorie di giovani che sebbene siano “locali”, non sono più in condizione di abitare con i propri genitori.

 

Oltre alla difficoltà nel proseguire gli studi i care leavers si scontrano con i pregiudizi legati alla loro condizione. Un’indagine qualitativa svolta nel 2017 mette in luce la difficoltà di trovare un appartamento in affitto autonomamente a causa della mancanza di una famiglia alle spalle che faccia da garante. A ciò si aggiunge la complessità di accedere alle prestazioni di welfare come nucleo familiare autonomo, separato dalla famiglia di origine, sebbene quest’ultima non contribuisca in alcun modo al sostentamento economico del ragazzo/a. Questo rappresenta un problema rilevante soprattutto se il giovane lavora per mantenersi e il suo reddito viene cumulato con quello dei propri genitori ai fini Isee. Il rischio è di venire tagliati fuori da benefici importanti come l’esonero delle tasse universitarie o il Reddito di Cittadinanza.

 

Cosa è stato fatto fino ad oggi?

Il Prosieguo Amministrativo resta una delle modalità più importanti per dare continuità all’assistenza offerta ai minori in affido una volta maggiorenni. Tuttavia si tratta di uno strumento usato troppo saltuariamente, che estende la protezione fino ai 21 anni senza risolvere il problema della mancanza di un percorso di accompagnamento verso l’autonomia. A questo possono a volte sopperire le realtà locali, in particolare le strutture residenziali per minori, che organizzano attività volte a migliorare l’occupabilità dei care leavers offrendo la possibilità di lavorare presso le loro strutture. Tuttavia si tratta di iniziative volontarie portate avanti dalle singole realtà sul territorio, senza che vi sia un programma nazionale di supporto in tal senso. Per la maggior parte dei care leavers con i 18 anni si apre una vita piena di incertezze e rischi.

 

Un grande supporto per far comprendere alle istituzioni la situazione di questi giovani sono stati loro stessi, i care leavers che, nel 2010 si sono organizzati in una associazione, Agevolando, fondata da Federico Zullo, care leaver senior. Anno dopo anno l’associazione è riuscita ad aprire una sede in ogni regione creando una sorta di famiglia per i ragazzi, che si aiutano a vicenda. Ma soprattutto hanno iniziato a parlare con le Istituzioni, aiutati dai servizi sociali, da Villaggio SOS Italia, dai progetti dell’Unione Europea.

 

Alcune regioni si sono attrezzate autonomamente per venire incontro ai bisogni di questa fascia di giovani. La Regione Sardegna è l’unica ad oggi a prevedere un percorso integrato. Tale percorso permette al care leaver di continuare ad essere seguito dai servizi sociali e allo stesso tempo di ricevere la formazione necessaria per proseguire gli studi o entrare nel mondo del lavoro, includendo nel “pacchetto” anche la possibilità di ricevere supporto abitativo. Su questa linea si è mossa anche la Regione Veneto, che a Verona con il progetto “Fidati” offre ai care leavers un sistema di tutoraggio e supporto per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e la formazione professionale. L’Università di Catania ha previsto esplicitamente nel suo bando per il diritto allo studio l’inclusione dei care leavers come categoria meritevole di tutela. In Trentino è molto utilizzato il Prosieguo Amministrativo fino ai 21 anni, con percorsi di accompagnamento al lavoro e alloggi in autonomia.

 

Un primo passo avanti concreto a livello nazionale lo si è avuto nel 2017 quando il parlamento ha istituito in via sperimentale il “Fondo care leavers”, che ammonta a 5 milioni di euro per il triennio 2018-2020. Tale fondo è stato usato per finanziare progetti di sostegno ai care leavers e per offrire loro un contributo economico detto “Borsa per l’Autonomia”, che copre i casi in cui il giovane non sia idoneo a ricevere il “Reddito di Cittadinanza” (fermi restando i requisiti reddituali). Questa misura è senz’altro un passo nella direzione giusta ma ad oggi resta ancora nell’ambito della sperimentazione e tocca una piccola percentuale di care leavers (circa 220 su 2,300 che escono ogni anno).

 

A questo è seguita una proposta di prolungamento fino a 25 anni dello stesso Fondo, con un emendamento dell’On. Emanuela Rossini alla PDL 1524 approvato alla Camera ed ora all’esame in seconda lettura al Senato. Questo prolungamento, in linea con altri paesi europei, favorirebbe l’accesso al diritto allo studio universitario e ai percorsi di avvio all’autonomia lavorativa che i care leavers stanno chiedendo alle istituzioni.

 

Proposte per una vita autonoma

I care leavers continuano ad incontrare molti ostacoli nel passaggio dall’affido alla vita autonoma, e spesso manca una comprensione della loro condizione. Sarebbe auspicabile poter inserire nella nostra normativa alcune facilitazioni permanenti e strutturali che offrano loro un supporto concreto. Sono emerse alcune proposte in questi quattro ambiti:

  1. Norma Sblocca Autonomia. Una priorità è sicuramente quella di agire sulle norme che regolamentano la determinazione del nucleo familiare ai fini Isee, attraverso una norma “sblocca autonomia”. Inserendo in modo esplicito i care leavers come categoria che merita di essere considerata nucleo familiare indipendente si potrà mettere fine alle ambiguità legate al legame tra questi giovani e la famiglia di origine dal punto di vista fiscale. Questo sicuramente rappresenta un primo tassello per semplificare l’accesso alle prestazioni di welfare per questi giovani.
  2. Diritto allo studio. E’ importante azzerare il costo di frequentare l’università per i care leavers, viste le difficoltà che incontrano rispetto ai propri coetanei. L’ampliamento dell’esonero dalle tasse universitarie che sta avvenendo a causa della crisi Covid-19 rappresenta un’opportunità importante per includere esplicitamente i care leavers tra le categorie meritevoli di tutela. Oltre a ciò sarebbe importante agire anche sulla parte di diritto allo studio che riguarda gli alloggi universitari, permettendo loro di accedervi anche se non sono fuori sede, in considerazione dell’impossibilità di vivere con i propri familiari.
  3. Questione abitativa. Tuttavia la questione abitativa si pone anche per coloro che non proseguono con gli studi universitari. I privati tendono a discriminare i care leavers nel mercato degli affitti poiché non sono in grado di offrire sufficienti garanzie. Una possibile soluzione potrebbe essere l’inclusione di questi giovani tra le categorie ammesse alla fruizione dell’edilizia residenziale pubblica.
  4. Inserimento lavorativo. Tra le vie perseguibili per migliorare l’orientamento al lavoro dei care leavers si potrebbe prevedere un accesso privilegiato al Servizio Civile, assegnando punti aggiuntivi ai progetti che prevedono di assumere ragazzi e ragazze appartenenti a questa categoria. Infine, si potrebbe prevedere un collocamento mirato di questi giovani quali soggetti socialmente vulnerabili, proprio per l’assenza di una famiglia che li supporti nel percorso di orientamento al lavoro.

 

In questi mesi l’On. Emanuela Rossini, supportata dal think tank Tortuga, si sta muovendo, attraverso il lavoro parlamentare e l’interlocuzione con il governo, al fine di introdurre al più presto queste proposte all’interno del nostro ordinamento. Siamo aperti ad ogni contributo, commento o critica da parte di tutti coloro che siano interessati a cambiare in meglio il destino di questi ragazzi.

Potete scriverci all’indirizzo info@tortugaecon.com.

 

Ha curato la scrittura dell’articolo la senior fellow del think tank Tortuga Arianna Gatta


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