Il Codice degli appalti ora legittima l’art. 55


Gianfranco Marocchi | 22 Ottobre 2020

In sede di conversione in legge del “DL semplificazioni” (DL 76/2000) sono stati inseriti nel Codice degli appalti (d.lgs. 50/2016) alcuni importanti riferimenti alla coprogrammazione e coprogettazione previste dal Codice del Terzo settore. Si tratta di modifiche solo in apparenza secondarie, che potrebbero contribuire in modo significativo a rasserenare gli amministratori pubblici circa la praticabilità giuridica della coprogrammazione e della coprogettazione e quindi a diffondere questi strumenti.

Ecco di seguito, evidenziate in grassetto, le modifiche apportate.

Art. 30 – Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni
[…] 8. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del Codice civile.

Art. 59 – Scelta delle procedure e oggetto del contratto
1. Fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, Nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara. […]

Art. 140 – Norme applicabili ai servizi sociali e ad altri servizi specifici dei settori speciali
 1. Gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici di cui all’allegato IX sono aggiudicati in applicazione degli articoli 142, 143, 144, salvo quanto disposto nel presente articolo e fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117. […]

 

Da un certo punto di vista queste disposizioni costituiscono un elemento di coordinamento tra codice degli appalti e codice del Terzo settore, ponendo fine ad una possibile mancanza che era stata addotta, a suo tempo, da Anac per sollecitare l’intervento con cui Consiglio di Stato aveva avanzato perplessità sul Codice del Terzo settore, poi dissolte con l’intervento della Corte costituzionale. Ora queste norme contribuiscono a chiarire la relazione tra le due discipline, che è chiaramente ispirata, come confermano le modifiche al Codice degli appalti ora introdotte, ad un principio di pari dignità e indipendenza tra le due fonti.

Viene cioè definitivamente accantonata – se ancora avesse ragion d’essere, soprattutto dopo la Sentenza 131/2020 della Corte costituzionale – una convinzione ancora presente in talune pubbliche amministrazioni: che la via maestra per rapportarsi con soggetti di Terzo settore sia costituita dall’acquisto di prestazioni di servizi tramite appalti e che soluzioni diverse quali la coprogrammazione e la coprogettazione siano, qualora ammissibili, relegate in un ruolo eccezionale e residuale.

 

Oggi è lo stesso Codice degli appalti a dare atto di come tale visione sia superata. La scelta di strumenti basati sulla competizione o di strumenti basati sulla collaborazione è pertanto conseguente al tipo di bisogno che un’amministrazione rileva: per approvvigionarsi di servizi alle migliori condizioni di prezzo-qualità utilizzerà strumenti competitivi; per promuovere sinergie allargate e integrazione tra più soggetti per una finalità comune utilizzerà strumenti collaborativi. Non vi è a monte una strategia o un intento “ordinario”, ma la responsabilità (politica, prima ancora che amministrativa) dell’ente di individuare le strategie più adeguate ad affrontare un bisogno in una concreta situazione. A fronte di uno stesso problema – esemplificando, la presenza di anziani soli sul territorio – si può legittimamente rispondere con strategie diverse: acquistando alle migliori condizioni prezzo – qualità delle prestazioni di assistenza domiciliare (e allora gli interlocutori vengono individuati con strumenti a carattere competitivo come gli appalti) o sostenendo e integrando una pluralità di risorse professionali e volontarie, formali e informali, presenti sul territorio di cui si auspica una corresponsabilizzazione e un coinvolgimento attivo nell’elaborare, insieme all’ente locale, le migliori soluzioni; e in questa seconda situazione diventa normale adottare strumenti di matrice collaborativa come la coprogettazione.

Il diritto diventa oggi del tutto neutro rispetto alla scelta e si limita a evidenziare la presenza di due sottosistemi giuridici di pari legittimità, con punti di contatto ma anche con un corpus normativo di riferimento indipendente, per gestire l’una e l’altra situazione. Semmai – ma si tratta di questione inerente alle politiche sociali, e non al diritto – la sempre maggiore attenzione verso gli strumenti collaborativi diventa un esito di un orientamento consolidato delle strategie di intervento sociale che – per utilizzare il linguaggio della 328/2000 – mirano a costruire “sistemi integrati di interventi e servizi” e dunque a costruire sinergie e collaborazioni, più che meccanismi tipici della competizione di mercato; senza però per questo escludere che in molte situazioni questi ultimi risultino funzionali alla realizzazione di buoni servizi per i cittadini.

 

Questa circostanza riconsegna un ruolo di maggior rilievo al momento delle politiche, dal momento che viene a cadere in modo più netto la possibile resistenza dei soggetti tecnici circa la legittimità degli strumenti collaborativi: si tratterà sempre di meno di confrontarsi con l’obiezione che “non si può fare”, sempre di più di riflettere, avendo di fronte una pluralità di opzioni su cosa si vuole fare e su quali siano gli strumenti coerenti per realizzarlo, nella consapevolezza delle implicazioni di ciascuna ipotesi.

E, laddove la scelta sia di indirizzarsi verso processi collaborativi, con gli emendamenti approvati il Codice degli appalti dichiara il limite della propria influenza: essi vanno gestiti, come richiamato anche dalla Sentenza 131 della Corte costituzionale, in coerenza con le previsioni della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo; questo è importante non tanto perché esse rappresentino un regime più o meno alleggerito rispetto al Codice degli appalti (e non lo è: semplicemente è diverso!), ma perché competizione e collaborazione necessitano – al di là di comuni esigenze di trasparenza, parità di trattamento, ecc. – di essere ciascuna governata da norme che consentano procedimenti coerenti con gli intenti perseguiti. Laddove si tratti di processi collaborativi, il primo riferimento è quindi il Codice del Terzo settore e quindi, circa gli aspetti procedurali, la legge 241/1990; il Codice degli appalti assume invece un valore residuale.

 

Insomma, dopo la Sentenza 131, dopo la L.R. 65/2020 della Regione Toscana che può aprire la strada ad una nuova generazione di normative regionali, questa modifica al Codice degli appalti risulta un passaggio coerente e ulteriore di grande rilievo nel senso della piena legittimazione degli strumenti collaborativi, che interroga tanto gli Enti pubblici quanto il Terzo settore sui passaggi culturali e organizzativi necessari a fare della collaborazione non più una soluzione di nicchia, ma un opzione presumibilmente sempre più frequente e rilevante.