Il diritto di invecchiare a casa propria: l’esperienza internazionale


Claudio Falasca | 20 Dicembre 2018

Dalla recente ricerca1 sul diritto di invecchiare a casa propria, promossa da AUSER e SPI Cgil, emerge l’indicazione che alla domiciliarità non c’è alternativa in quanto, pur realizzando quote consistenti di RSA (che in tutti i casi vanno realizzate), il divario con il fabbisogno rimarrà sempre enorme. In altri Paesi di questa semplice verità da tempo si è preso atto tant’è che il tema dell’abitare viene considerato il vero snodo delle politiche di sostegno alla vecchiaia.

 

In questi Paesi si è capito che non si tratta solo di progettare nuovi e più numerosi servizi per anziani: nessun paese è oggi in grado di affrontare una crescita costante e potenzialmente illimitata dei servizi sociali e sanitari. Si tratta invece di realizzare città e case in modo compatibile con le esigenze dell’intero arco di vita delle persone, non solo perché certamente più accoglienti per tutti, ma anche perché possono prevenire i rischi di fragilità in vecchiaia, generando una minore domanda sanitaria.

 

Nel rapporto «Anziani e casa nell’Unione Europea»2 l’orientamento suggerito è di ripensare le relazioni degli anziani con la casa e il contesto di quartiere, in particolare:

  • adeguando ai nuovi bisogni degli anziani le tipologie e i modelli abitativi creando le condizioni per una residenzialità leggera;
  • mettendo a punto un sistema continuo di assistenza sociosanitaria nel quadro di Piani di zona integrati con la dimensione urbanistica;
  • eliminando le infinite barriere che ostacolano la vita delle persone anziane e fragili;
  • rendendo sempre più disponibili i servizi di tecno-assistenza intelligente

 

Una panoramica

Dagli anni ‘90 il welfare europeo va sempre più orientandosi verso modelli abitativi le cui forme siano in grado di rispondere efficacemente alle necessità della vecchiaia. Case adatte, ben integrate nelle città e ben sostenute dai servizi domiciliari e di prossimità di nuova generazione. Si tratta di soluzioni gradite alle persone: non impongono separazioni, facilitano i percorsi di vita, propongono soluzioni ragionevoli e amichevoli. I confini fra vita indipendente e vita assistista si fanno più fluidi, i passaggi più tollerabili.

La riflessione che sostiene questa evoluzione privilegia l’ipotesi che sia più efficace ed efficiente spostare i servizi e facilitare la loro relazione con le persone che ne usufruiscono, piuttosto che costringere gli anziani a muoversi negli ultimi anni della loro esistenza fra servizi residenziali a crescente intensità sanitarie e assistenziale. L’esperienza ha dimostrato che un insediamento di abitazioni di buona qualità e con servizi dedicati è sinergico a quello della diffusione di servizi domiciliari ben governati, capillari e flessibili, in grado di rispondere ai bisogni più diffusi dei più anziani: consegne a domicilio, pasti, trasporti, servizi alla persona, servizi sanitari. La base abitativa garantisce solidità ai piani di cura migliorandone anche efficienza ed economicità, prevenendo in modo efficace l’utilizzo precoce e inappropriato di servizi più complessi e costosi (nonché meno graditi), fra i quali le RSA.

 

Nelle esperienze più recenti si presta attenzione, in particolare, alla localizzazione dello stabile, alla sua prossimità ai servizi primari (che devono essere raggiungibili anche a piedi), a modelli insediativi che facilitino la relazione fra i residenti e il giusto grado di contatto (ma anche di separazione) con eventuali altri residenti in età e fasi della vita diverse. Si risponde, cioè, ad alcune delle prime e più frequenti richieste delle persone: vivere con altri, trovare sicurezza e rassicurazione, ricevere alcuni servizi senza interferire eccessivamente con il proprio desiderio di indipendenza.

Negli Stati Uniti e in Canada questi nuovi modelli d’intervento sono sempre più diffusi. Si tratta spesso di abitazioni singole o raggruppate, dotate di alcuni servizi di base (in genere una portineria-reception, operatori con funzioni di primo contatto, servizi di allarme o telesoccorso, monitoraggio e servizi di rassicurazione) e altri fornibili a richiesta (ristorante o preparazione dei pasti, spesa, ritiro della posta, pulizie domestiche, assistenza alla persona). Sono quasi sempre presenti spazi comuni, iniziative di aggregazione e socializzazione, centri benessere e servizi di prevenzione o sostegno alle esigenze sanitarie di base.

In Francia l’azienda Nexiti, immobiliare leader in Europa, è particolarmente impegnata verso le cosiddette Residenze seniors (in Francia 20 sono già attive e 50 in realizzazione). Si tratta di abitazioni costruite e progettate in modo mirato per garantire qualità di vita, arricchite da spazi di ristoro, benessere, vita in comune, servizi accessori. Molte iniziative in favore degli anziani più fragili sono state intraprese nel corso degli anni anche dalle comunità locali e dagli stessi organismi di housing sociale, gli HLM territoriali, su impulso di indirizzi statali e dipartimentali.

In Spagna sono stati avviati interventi simili con programmi di edilizia residenziale pubblica. Il programma delle Vivienda dotacionales di Barcellona, ad esempio, ha permesso la diffusione nella provincia catalana di migliaia di alloggi progettati con logiche innovative. In questo caso il committente è il Comune, che affida a privati la costruzione di residenze per giovani e per anziani con determinate specifiche progettuali: localizzazione, riconoscibilità, integrazione nel contesto urbano, raggiungibilità dei servizi primari, tutela della privacy ma anche facilitazione alla socializzazione. Il Comune affida la gestione di ogni complesso a una cooperativa sociale che mette a disposizione un coordinatore, un educatore e un operatore di base che garantiscono agli anziani residenti interventi di prossimità, rassicurazione e mediazione di rete.

Nei paesi scandinavi, soprattutto in Danimarca e in Olanda, questa nuova offerta abitativa risponde a logiche ancora più avanzate. Le politiche governative favoriscono la diffusione di alloggi per anziani, singoli o raggruppati, privi di barriere architettoniche, ben localizzati e arricchiti da servizi ma, soprattutto, ben integrati nella normale rete dei servizi di comunità.

 

L’esperienza danese

In questo panorama la Danimarca rappresenta sicuramente un riferimento di eccellenza. Sinteticamente, nel 1976 il governo danese decise di assegnare la responsabilità di tutti i servizi di comunità – domiciliari e residenziali, sanitari e sociali – alle 275 Municipalità. Nel 1986, il Danish Act on Housing for the Elderly (Ældreboligloven) ha sancito l’impossibilità di costruire nuove Nursing Homes e definito le linee di sviluppo di un sistema di welfare basato su soluzioni abitative adatte o adattabili alla vecchiaia, ben localizzate e ben integrate nel tessuto urbano. Nel 1996, la Danish Care Home Reform (Plejeboligreformen) ha rappresentato un ulteriore impulso per gli interventi di housing sociale e la definitiva revisione delle nursing homes.

Nel modello danese, abitare e servizi sono strettamente collegati. Tutte le persone possono ricevere interventi di pari qualità e quantità, indipendentemente dal luogo in cui essi dovranno essere garantiti: dimora naturale, housing sociale pubblico o privato, strutture specializzate a minore o maggiore protezione, nursing homes. L’unica variabile è rappresentata dalle necessità delle persone, non dal luogo di erogazione. Il nuovo paradigma è nel complesso semplice.  Se le case sono adatte, è più efficace spostare i servizi che costringere le persone a ripetuti cambiamenti nelle fasi più delicate della loro esistenza.

Questa impostazione, sostenuta da robusti interventi normativi, ha cambiato in pochi anni la struttura del sistema danese. La tavola qui di seguito descrive la contrazione dei posti letto più tradizionali, rispetto alla crescita costante delle soluzioni abitative.

 

Tavola 1 – L’evoluzione del sistema residenziale danese

Anno Case di cura Case popolari

Abitazioni sociali per anziani

e case di assistenza sociale

 Totale
1996 36.444 5.122 22.791 64.357
2001 27.635 3.973 37.899 69.507
2009 9.436 1.824 67.703 78.963
2010 8.761 1.804 71.494 82.059

Fonte: Danish Ministry of Housing, Urban and Rural Affairs, 2014

 

E l’Italia?

Pur se in un quadro di generale ritardo nel far fronte ai problemi che pone l’invecchiamento della popolazione, come documentato nella ricerca AUSER e SPI Cgil, anche in Italia da alcuni anni sono in corso esperienze interessanti.

 

Due esempi innovativi in fase di realizzazione sono i “villaggi” per le persone con demenza: “Il Paese Ritrovato” e il “Villaggio A”, rispettivamente a Monza e a Cardano al Campo a Varese.

I due progetti si ispirano alla esperienza olandese del “villaggio Hogewyek” a Weesp assumendone gli stessi principi. L’obiettivo è di garantire alla popolazione Anziana (ma non solo) di abitare in autonomia in una cornice di tutela e assistenza leggera. È rivolta alla popolazione anziana che non soffre di compromissioni sociosanitarie gravi e tale da richiedere assistenza continua. Assicura una serie di servizi a supporto della gestione della quotidianità finalizzati al mantenimento della autonomia e delle capacità residue degli anziani

Si ricorda anche l’esperienza Civitas Vitae realizzato alle porte di Padova. Un laboratorio sociale intergenerazionale a disposizione del territorio dove allenarsi, a partire dalle più giovani generazioni, a vivere e crescere in armonia ed inclusione, sussidiarietà e solidarietà. Il Civitas Vitae è la prima infrastruttura di coesione sociale (ICS) in Italia (altre sono in fase di realizzazione in centro e sud Italia), costruita nella convinzione che la risorsa longevità possa essere un asset fondante per realizzare progetti di vita nella prima e terza età, cioè al servizio delle fasce di popolazione oggi più fragili e meno tutelate.

  1. Claudio Falasca, Il diritto di invecchiare a casa propria: problemi e prospettive della domiciliarità, Ed. Liberetà 2018
  2. Osservatorio Europeo del Social Housing, Anziani e casa nell’Unione Europea, Aprile 2008