Il nido per tutti: si può e si deve fare

Il rapporto dell’Alleanza per l’Infanzia “Investire nell’infanzia, ragioni e proposte”


Stefania Sabatinelli | 17 Dicembre 2020

Il rapporto

Diritto soggettivo a frequentare gratuitamente non solo la scuola dell’infanzia ma anche l’asilo nido. È l’obiettivo da realizzare in Italia entro dieci anni, come proposto e argomentato dall’Alleanza per l’Infanzia e dalla rete EducAzioni nel rapporto “Investire nell’infanzia: prendersi cura del futuro a partire dal presente. Ragioni e proposte per l’ampliamento e il rafforzamento dei servizi educativi e scolastici per i bambini tra 0 e 6 anni e degli interventi a sostegno della genitorialità”.

Non a caso il documento viene reso pubblico contestualmente alla discussione in Parlamento della Legge di Bilancio per il 2021 e delle finalità alle quali saranno destinate le risorse provenienti dal fondo Next Generation Europe che, peraltro, dichiara sin dalla propria denominazione l’esplicita intenzione di investire nelle future generazioni.

L’Alleanza per l’Infanzia e la rete EducAzioni reputano, infatti, imprescindibile, considerare l’investimento nei servizi educativi alla prima infanzia e negli interventi di sostegno alla genitorialità come un asse strategico per fermare il declino e orientare le direzioni di sviluppo del paese che verrà, contrastando in modo diretto le diseguaglianze e le disparità di opportunità che riguardano i bambini e le bambine.

 

È, appunto, in particolare sul diritto di ogni bambina e bambino a poter frequentare servizi di elevata qualità che verte il rapporto, quale “base solida su cui bambine e bambini trovano garantita l’opportunità di sviluppare appieno le proprie capacità, contrastando le disuguaglianze e la povertà educativa”, dimostrando attraverso una accurata ed articolata analisi di dati, quante e quali linee di disuguaglianza segnino il sistema dei servizi all’infanzia italiano.

 

È ormai dimostrato da una consolidata letteratura internazionale che l’accesso ai servizi educativi e di istruzione di qualità fin dalla prima infanzia ha ricadute positive su tre dimensioni:

  • il benessere e le competenze dei bambini, con effetti di lungo periodo su tutto il percorso di crescita personale;
  • il benessere delle famiglie, favorendo le scelte riproduttive da parte di chi lavora, come anche la partecipazione lavorativa da parte di chi è genitore – è noto come in particolare la partecipazione femminile al mercato del lavoro sia comparativamente bassa nel nostro paese – con implicazioni in termini di prevenzione/riduzione della povertà dei bambini;
  • la coesione sociale e lo sviluppo economico del paese, grazie al rafforzamento delle conoscenze e competenze delle nuove generazioni; le prospettive di maggiore occupazione e di minore incidenza e/o gravità della vulnerabilità implicano, poi, rispettivamente, maggiori risorse disponibili anche a livello sociale, oltre che individuale, e minori costi sociali ed anche economici.

 

Il rapporto dedica molta attenzione alla ricostruzione della situazione italiana (che su Welforum è stata trattata per esempio qui). Viene puntualmente illustrato come l’offerta presente nel nostro paese sia comparativamente limitata per il segmento dedicato ai bambini al di sotto dei tre anni d’età, e come questa offerta vada – per molte ragioni – ad intercettare la domanda delle famiglie in modo diseguale, tanto dal punto di vista del profilo socio-economico delle famiglie stesse, quanto da quello della distribuzione territoriale dei servizi. Il costo dei servizi stessi contribuisce a limitare l’accesso ai servizi, sia sul versante dei costi sopportati dalle amministrazioni comunali che direttamente o indirettamente li erogano, sia sul versante dei costi sopportati dalle famiglie che nei servizi pubblici compartecipano attraverso la corresponsione di rette (al netto dei meccanismi di abbattimento sino all’esenzione per i redditi molto bassi) e nei servizi privati pagano (al netto dei bonus nazionali e locali) out of their pocket.

A fronte di una situazione che presenta dunque ampi margini di miglioramento, vediamo nel dettaglio i contenuti della proposta dell’Alleanza per l’Infanzia.

 

I contenuti della proposta

L’Alleanza per l’Infanzia sottolinea innanzitutto la necessità che siano definiti Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) anche nel campo dell’educazione per i bambini in età 0-6 anni, per poter introdurre l’esigibilità del diritto di ogni bambina e bambino a beneficiare di percorsi educativi e di istruzione da zero a sei anni, e garantire l’accesso al nido a tutti coloro che lo richiederanno entro 10 anni. Delinea poi proposte specifiche, con tempistiche certe, e in particolare di arrivare nell’arco di un triennio a:

  1. una copertura pubblica di almeno il 33% dei bambini sotto i tre anni, da raggiungersi non in media nazionale, ma in ciascuna regione. Tale copertura sarà da realizzarsi tramite servizi educativi gestiti da Pubbliche Amministrazioni o da altri Enti autorizzati al funzionamento e finanziati unicamente dalla fiscalità generale, assicurando dunque la gratuità dell’accesso per tutti gli utenti;
  2. una copertura della scuola dell’infanzia del 95% in tutte le regioni per i bambini in età 3-5 anni, assicurando il tempo pieno, la gratuità dell’accesso nonché la parziale gratuità anche per i costi delle mense scolastiche (come suggerito anche dall’Autorità Garante per l’Infanzia). Particolare attenzione si propone di porre all’integrazione in questo segmento scolastico dei bambini di cittadinanza non italiana;
  3. il mantenimento, e in alcuni contesti l’innalzamento, delle professionalità richieste a chi lavora in questo campo e la definizione di condizioni di lavoro adeguate, a partire dal livello dei salari, della configurazione dei contratti di lavoro e dall’organizzazione del lavoro stesso;
  4. la piena attuazione dei Poli per l’infanzia, previsti dal Dlg. 65/2017 come ambiti di coordinamento di tutti i servizi educativi per la fascia 0-6, nidi e scuole dell’infanzia, ma anche i servizi per il sostegno alla genitorialità, come i Centri per bambini e famiglie, al fine di perseguire la realizzazione di un vero Sistema Integrato 0-6.

 

Costi e finanziamenti

I costi stimati dal rapporto non sono affatto banali:

  • 4,8 miliardi di euro in conto capitale per la creazione di posti necessari a portare la copertura pubblica dei nidi al 33% in ciascuna regione (costo stimato sulla base del costo medio effettivo sostenuto dalle amministrazioni per la creazione di un posto nido, ovvero 16.000 euro);
  • circa 2,7 miliardi di spesa corrente annua (stimata sulla base della spesa media per posto in asilo nido, pari a 9,195 euro);
  • 1 miliardo e 325 milioni di euro l’anno per garantire la gratuità del servizio
  • circa 120 milioni di euro l’anno per raggiungere la piena generalizzazione del tempo pieno nella scuola per l’infanzia (oltre alla cifra necessaria per realizzare la parziale gratuità della mensa).

 

Una spesa ingente, dunque, che però l’eccezionale congiuntura attuale relativa alle risorse disponibili rende meno arduo affrontare. Le risorse di Next Generation UE consentono di sostenere le spese per gli investimenti infrastrutturali, mentre peserebbe sulla fiscalità generale la sola spesa corrente. Il rapporto sottolinea anche il ruolo che possono avere i Fondi strutturali per le politiche di coesione 2021-2027 (circa il 5% del FSE+ sarà dedicato alla Child Guarantee).

Inoltre, il rapporto insiste nell’evidenziare che questa spesa si configura in realtà come un vero e proprio investimento. Accanto ai cruciali ritorni positivi per la crescita individuale e collettiva dei bambini coinvolti, occorre considerare i vantaggi in termini di conciliazione famiglia-lavoro per i genitori con figli in età pre-scolare e, non ultimo, la creazione diretta di posti di lavoro qualificati nel settore dell’educazione e dell’istruzione, che il rapporto stima equivalente a 42.600 lavoratori a tempo pieno. L’impatto sarebbe anche maggiore se si riducesse il rapporto educatori/bambini, il che implicherebbe anche una maggiore qualità del servizio offerto. Ulteriori, ancorché minori ,impatti occupazionali sarebbero inoltre associati alla generalizzazione del tempo pieno.

 

In conclusione, il rapporto restituisce l’urgenza di un investimento significativo e organico su questo settore, con un’inversione di tendenza radicale nel ruolo proattivo dello stato centrale. Un ruolo analogo a quello che, a partire dalla legge del 1968, portò all’universalizzazione dell’allora scuola materna, riconoscendo la fondamentale importanza di un segmento pre-scolare per preparare adeguatamente la transizione alla scuola dell’obbligo. Nel quadro dei profondi mutamenti sociali, economici e demografici che interessano il nostro paese, il riconoscimento dei bisogni e dei diritti dei più piccoli rappresenta non solo un chiaro segnale ma soprattutto un concreto investimento nel futuro che non si può più rimandare.