1. Un nuovo paradigma per i servizi sanitari


Emanuele Ranci Ortigosa | 28 Luglio 2020

Welforum non si è occupato in passato specificamente di sanità, se non dove questa si intrecciava con problemi e servizi del campo sociale. Il sopravvenire del Coronavirus ci ha portati a superare questo limite, trattando insieme i diversi aspetti della pandemia, cui abbiamo dedicato molti articoli e segnalazioni, e due recenti Punto di Welforum (“Emergenza Coronavirus: tempi di precarietà” eDecreto Rilancio e welfare“). Il Punto di Welforum che ora presentiamo è dedicato ai servizi sanitati territoriali, al loro potenziamento, alla loro riqualificazione, che si intreccia con quella dei servizi sociosanitari, cui dedicheremo una prossima raccolta.

 

Una sanità ritenuta di eccellenza, come quella lombarda, ha rischiato di collassare a fronte del Coronavirus, e ha dovuto pagare ad esso altissimi prezzi, in termini di decessi e contagi di operatori e di cittadini, di lockdown, di conseguenze economiche e produttive, di immagine e reputazione. A tale sconfortante esito hanno concorso più fattori, dall’individuazione tardiva del virus quando già era presente e diffuso (le tante polmonite anomale non considerate nel loro insieme), alla incertezza e lentezza della prima reazione, ai ripetuti errori di gestione, alla indisponibilità di strutture, operatori, strumentazioni e materiali terapeutici e protettivi adeguati.

 

Questi fattori sono in parte frutto di una visione e gestione della sanità come settore produttivo impegnato soprattutto sullo sviluppo di eccellenze specialistiche per conseguire vantaggi competitivi in un mercato sanitario informato alla concorrenza sul trattamento di specifici problemi di salute individuale. Attori di tale mercato sono ospedali e aziende poliambulatoriali, in crescente misura privati, che assorbono via via maggiori quote di risorse anche pubbliche. Nell’approccio lombardo si è tentato di ridimensionare e parcellizzare per singole cronicità anche l’assistenza generale di base e di affidarla a percorsi assistenziali specifici gestiti da tali aziende. Tentativo arenatosi a fronte della resistenza dei medici di base e anche delle famiglie, diffidenti verso proposte di allontanamento dal proprio medico di famiglia.

Una sanità così focalizzata lascia ben poco spazio e attenzione all’imprevisto, né si attrezza prudenzialmente per monitorare sistematicamente la salute della popolazione, individuare tempestivamente e affrontare rischi e minacce che possono sopraggiungere.

 

L’esperienza concreta del Coronavirus ha mostrato a tutti sistemi ospedalieri anche di eccellenza sopraffatti da una massa di contagiati che si riversava su di essi, non trovando altri punti attendibili e attrezzati di riferimento e assistenza. Gli stessi medici di base spesso non potevano che concorrere ai rinvii al pronto soccorso. Da questa drammatica vicenda, da molti vissuta e da tutti visionata sugli schermi tv, è nata e si è generalizzata la ricorrente litania del “rafforziamo i servizi territoriali”.

Ottima litania, ma troppo generica e aperta a opzioni assai diverse. Una prima opzione concentra tutta l’attenzione su un rafforzamento dell’esistente: aumentiamo gli operatori e le dotazioni degli attuali servizi, tracciamo in modo più chiaro e definito linee guida e protocolli, e otterremo non solo di meglio gestire il carico assistenziale corrente, ma anche di fronteggiare con strutture e prestazioni assistenziali adeguate altre minacce impreviste.

Una diversa opzione concorda anch’essa nel vedere nella pandemia sperimentata, e tuttora in atto, una opportunità eccezionale per aumentare le dotazioni con nuove risorse e per migliorare la funzionalità, ma va però oltre. Ritiene infatti che le difficoltà e i limiti che l’attuale sistema sanitario ha ancor più evidenziato sotto lo stress del coronavirus vadano utilizzate anche per verificare l’adeguatezza della sua impostazione e organizzazione generale al mutato quadro epidemiologico, e per migliorarla tanto per l’assistenza ordinaria che per il fronteggiamento di minacce straordinarie. Questa seconda opzione comporta il superamento del paradigma attualmente dominante centrato sull’assistenza e la prestazione al singolo individuo e sull’ospedale di eccellenza, assumendo per l’intera sanità un diverso paradigma, che prende come riferimento per la promozione e tutela della salute, nelle sue varie componenti, non solo il singolo individuo o paziente, ma una popolazione nel suo insieme, e che programmi e quindi sviluppi un community based approach, una assistenza comunitaria, presente e forte sul territorio.

Nell’intervento che segue Bruno Dente scrive:

“L’epidemia è l’occasione per fare qualche cosa di importante, se non altro perché avrà potenzialmente l’effetto di far aumentare le risorse economiche a disposizione della sanità in maniera molto significativa (…) usare bene questi soldi significa scegliere una strategia, definire delle priorità e mettere in campo le azioni adeguate a realizzare il progetto. Le trasformazioni, e quelle importanti soprattutto, non avvengono da sole”.

E prosegue:

“l’attuale pandemia rappresenta una finestra di opportunità. Essa attira l’attenzione sulla necessità di sviluppare un sistema sanitario territorializzato, anche ma non solo per combattere efficacemente le future emergenze sanitarie (…)”.

 

All’articolo di Bruno Dente segue quello di Stefano Neri, che traccia un quadro sintetico dell’evoluzione epidemiologica in atto e afferma a sua volta, in piena sintonia, la necessaria conseguente ridefinizione del sistema assistenziale:

“Se la prevalenza delle patologie cardiovascolari e tumorali non sembra messa in discussione, nuove epidemie rendono possibile una ripresa non episodica dell’incidenza delle patologie infettive, cui è necessario essere preparati. Questo vuol dire certamente riorganizzare gli ospedali, aumentando stabilmente le risorse strutturali con la valorizzazione di reparti, come quelli delle malattie infettive, finiti in secondo piano negli ultimi anni, (…). Ma, soprattutto, ciò significa procedere speditamente alla costruzione di quel sistema di cure primarie e assistenza territoriale che, nella sua duttilità, rappresenta il punto di primo contatto con il paziente e di governo delle patologie, siano esse croniche o infettive, con ricadute straordinarie su tutto il sistema sanitario. A nostro avviso, sulla scorta delle migliori esperienze regionali, tale sistema deve puntare con decisione sui Medici di medicina generale (MMG), associati in vario modo tra loro e con altri professionisti sanitari, nonché dotati stabilmente di supporti specialistici.”

 

Bruno Dente, esperto di politiche pubbliche, ci offre una serie di preziose indicazioni sugli ingredienti necessari per sviluppare un’iniziativa efficace di cambiamento, che voglio richiamare:

“Se si crede nella necessità di riequilibrare l’organizzazione della sanità per renderla più efficiente, più efficace e più equa attraverso la costruzione di forti reti territoriali, il momento di agire è qui ed ora, perché altrimenti le dinamiche politiche e organizzative inerziali determineranno con ogni probabilità un aggravamento degli squilibri, dirottando una quota sproporzionata degli investimenti pubblici aggiuntivi e comunque della spesa sanitaria verso il sistema ospedaliero (…). Il mutamento del baricentro della politica sanitaria (…) in realtà sarà difficilissimo come del resto tutti i mutamenti di paradigma. Dei vari elementi necessari – secondo la letteratura e il buon senso – al momento ce n’è solo uno: lo shock esogeno che lo rende possibile. Per avere qualche chance bisogna metterne in campo almeno altri tre: un soggetto individuale o collettivo capace di attivare una coalizione ampia (anche di interessi!) capace di rovesciare le scelte inerziali e il mantenimento dello status quo; (…) l’assoluta necessità di sviluppare e imporre una narrativa alternativa rispetto a quella dominante (… ) per restituire glamour alla medicina pubblica e all’assistenza di base; (…) un progetto che specifichi quali sono i vantaggi di una maggiore territorializzazione del servizio sanitario, che porti in periferia, ma anche a casa dei pazienti, una serie di competenze che oggi sono accentrate negli ospedali.”

 

Da ultimo, conclude Dente, occorre inventare una governance sanitaria territoriale: forse un utile slogan potrebbe essere quello di “tornare al medico condotto”, ovviamente non con le stesse caratteristiche del passato, ma come “primario territoriale” con compiti di supporto, orientamento e valutazione alla rete dei medici e dei pediatri di famiglia oltre che degli altri presidi territoriali. Perchè il modificare radicalmente le modalità di lavoro di un vasto numero di professionisti è un’operazione molto difficile, che richiede chiarezza di visione, grande determinazione e un orizzonte temporale adeguato.

 

Stanno purtroppo passando settimane e mesi senza che lo slogan dello sviluppo dei sevizi territoriali venga declinato, discusso, strutturato, senza quindi cogliere l’opportunità per costruire e discutere impostazioni, progetti, avviare anche esperienze concrete. Le limitate capacità di scelta e di progettazione del governo e del nostro sistema pubblico nel suo complesso si ripropongono anche sulla sanità, che nell’attuale contingenza potrebbe e dovrebbe essere il primo terreno su cui cominciare effettivamente a progettare e muoversi. Anche perché sarebbe ben diverso e più efficace presentarsi ai partner europei, o discutere sull’utilizzo o meno del MES, avendo elaborato un progetto chiaro, articolato e operabile, su cui attivare da subito iniziativa politica e organizzativa e su cui stimare e investire le risorse necessarie.

 

L’interrogativo che si pone allora è su chi, come e quando, potrebbe assumersi la titolarità di questa iniziativa, far proprie le indicazioni di lavoro offerte da Dente, attivarsi quindi per promuovere con successo una coalizione di soggetti in grado di vincere le inerzie, di formulare e diffondere una narrativa alternativa all’attuale, di elaborare un progetto che specifichi i vantaggi del nuovo sistema di assistenza territoriale, che disegni una governance adeguata a gestirlo, e che tutto questo si impegni a progressivamente realizzare.

In questa prima parte del Punto di Welforum viene quindi espressa, con i contributi di Dente e di Neri, l’esigenza di mutare il paradigma finora dominante per rafforzare i servizi territoriali sanitari modificandone però profondamente l’attuale impostazione e organizzazione, in termini e con contenuti che vengono ripresi e approfonditi nella parte conclusiva di questa raccolta, che viene preceduta però dalla trattazione delle risorse finanziarie necessarie per un progetto di sviluppo e cambiamento, della loro disponibilità, della loro adeguatezza e della loro destinazione.


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