I confini dei concetti di “gratuità” e “non onerosità” nei rapporti di collaborazione tra PA ed ETS


Alceste Santuari | 25 Marzo 2022

È noto come alla luce degli artt. 55-57 del Codice del Terzo settore i rapporti giuridici che si instaurano tra le pubbliche amministrazioni e gli Enti del Terzo settore si considerino alternativi rispetto alle tradizionali procedure ad evidenza pubblica ad impronta competitiva1. Queste ultime si caratterizzano per essere l’esito dell’azione di un’amministrazione aggiudicatrice, che svolge la propria funzione di committenza rispetto ad un mercato di operatori economici, con i quali, all’esito della procedura, deve sottoscrivere un contratto di appalto, definito dalla presenza di prestazioni corrispettive (sinallagma). E proprio l’assenza di prestazioni corrispettive risulta essere interpretata alla stregua del principale discrimen, che differenzierebbe tra modalità di approvvigionamento di beni e servizi sul mercato concorrenziale e gli istituti giuridici di natura cooperativa di cui al d. lgs. n. 117/2017. 

Alla luce di quanto sopra richiamato, quando, concretamente, è possibile ritenere assente il sinallagma e, quindi, è possibile ritenere indiscutibile l’utilizzo di strumenti di amministrazione condivisa? La risposta a questa domanda sottende diversi aspetti, in parte affrontati in altri articoli di Welforum e che si riferiscono principalmente alla “qualità” del rapporto tra pubblica amministrazione e terzo settore e del procedimento che definisce tale rapporto. In altri termini, occorre verificare se la sostanza dell’interazione tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore sia da rintracciare nella gestione di un servizio dato o nella “convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale”, per usare le parole della sentenza 131/2020 della Corte costituzionale.

Accanto a questo tema, tuttavia, si affaccia, talvolta, nella giurisprudenza amministrativa un secondo e più controverso tema, che ruota intorno a concetti quali “gratuità”, “assenza di onerosità”, “assenza di lucro” o espressioni analoghe. Si tratta di concetti e locuzioni che nei diversi pronunciamenti sono evocati come elementi che devono caratterizzare l’assenza del rapporto sinallagmatico nei rapporti intercorrenti tra enti pubblici ed organizzazioni non profit. Ecco allora che riemergono i dubbi: quando una co-progettazione ex art. 55 del Codice del Terzo settore può dirsi legittima? Quando, ad esito di essa, non vi è flusso alcuno di risorse dalla pubblica amministrazione al soggetto di Terzo settore, che realizza quindi le attività concordate senza onere alcuno per l’amministrazione? Quando il Terzo settore, oltre a non chiedere risorse alla pubblica amministrazione, non ne percepisce nemmeno da altri soggetti (es. cittadini)? Quando le risorse corrisposte non superano i costi effettivi sostenuti e puntualmente documentati? O in quali altri casi? A queste domande, va detto, non esiste oggi una risposta certa e univoca: è necessario, soprattutto in ragione della sperimentalità degli strumenti definiti nel Codice del terzo settore, procedere alla ricerca di soluzioni che siano sufficientemente solide per orientare le prassi quotidiane, ben pronti ad aggiornarle e a svilupparle ulteriormente quando dalla prassi emergano indicazioni ulteriori. Per completezza, va ricordato che i ragionamenti che verranno qui sviluppati non possono non tenere in debito conto quanto ribadito dalla giustizia amministrativa. In talune occasioni, ancorché in presenza di procedimenti di co-progettazione che sono apparsi fragili anche per altri motivi, i Tar hanno invero identificato il flusso di risorse tra pubblica amministrazione ed Enti del Terzo settore alla stregua di un indicatore della presenza di un sinallagma2. Si tratta di una posizione non condivisibile, che affonda le proprie radici interpretative nel noto parere consultivo reso dal Consiglio di Stato all’ANAC nel mese di luglio del 2018. In quell’occasione, l’Adunanza speciale evidenziava che ogni attività in grado di coprire i costi con i ricavi è, ai fini e per gli effetti della normativa eurounitaria, attività di impresa e, quindi, a rilevanza economica3. Da ciò deriverebbe l’impossibilità di escludere l’affidamento diretto anche in presenza di quelle attività orientate al semplice autosostentamento, tipiche dell’associazionismo di promozione sociale e di volontariato. Ne discenderebbe la legittimità dell’affidamento diretto soltanto in presenza di un servizio ovvero di un’attività in perdita per il prestatore. In quest’ottica, l’attivazione di un procedimento amministrativo collaborativo tra enti pubblici ed ETS richiederebbe la gratuità dell’attività svolta, intesa quale incapacità endemica del soggetto non lucrativo di realizzare il pareggio di bilancio.4 Trattasi di una soluzione che non soltanto risulta contraddittoria rispetto alla realtà dei fatti, ma appare smentita dallo stesso parere citato. Invero, i giudici di Palazzo Spada riconoscono che le attività, gli interventi e i progetti radicalmente estranei alla disciplina del d. lgs. n. 50/2016 esulano dalle dinamiche concorrenziali, in virtù della loro natura non imprenditoriale. E tale condizione si realizza quando la procedura non rivesta carattere selettivo e quando il soggetto affidatario svolga la relativa attività a titolo integralmente gratuito.5 A quanto sopra richiamato è utile aggiungere che, in altre occasioni, il problema non si pone e, conseguentemente, i giudici amministrativi approvano o censurano le prassi amministrative senza avvertire come problematico il flusso di risorse tra pubbliche amministrazioni ed Enti del Terzo settore.6   In generale, appare del tutto evidente che il legislatore abbia concepito l’art. 55 come rivolto alla generalità degli Enti di Terzo settore, diversamente dagli articoli 56 e 57 specificamente indirizzati invece alle tipologie di Enti di Terzo settore fondati sulla gratuità. Da ciò discende che non può risultare sorprendente se gli ETS, che, coerentemente con la ratio iuris della Riforma, perseguono senza finalità di lucro finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale attraverso forme di azioni imprenditoriale, abbiano la necessità di remunerare i diversi fattori produttivi, in primo luogo il lavoro degli operatori. In quest’ottica, occorre richiamare che la cooperazione che si instaura tra pubbliche amministrazioni ed ETS non deve trarre in inganno circa le attività che gli enti non profit realizzano per conseguire le proprie finalità statutarie. Le organizzazioni non profit invero possono finanche porre in essere attività a rilevanza economico-imprenditoriale per realizzare le finalità di pubblica utilità individuate nel Codice del Terzo settore, rimanendo nell’ambito della non lucratività. Siano attività prive di rilevanza economica ovvero aventi rilevanza imprenditoriale, le attività svolte dagli ETS rimangono comunque caratterizzate da un facere che richiede l’organizzazione di risorse, umane e finanziarie, le quali, seppure minime, implicano la ricerca di un tendenziale pareggio di bilancio.   Ma quanto sopra descritto rinvia nuovamente alla domanda di partenza: quali elementi e quali forme di remunerazione dei fattori produttivi possiamo ritenere estranei al rapporto sinallagmatico? In ragione della “filosofia” che sottende i rapporti giuridici collaborativi di cui all’art. 55 del Codice del terzo settore, anche considerando la loro complessità e impegno di natura economica, appare ragionevole ritenere che in primis si tratta di rapporti che escludono qualsiasi forma di controprestazione. Al riguardo, è opportuno ribadire che la cooperazione che si instaura tra enti pubblici ed enti non lucrativi deve essere caratterizzata dall’assenza di onerosità delle prestazioni o delle attività rese, da intendersi quale assenza di remunerazione commisurata al valore delle prestazioni commissionate e, dunque, erogate dagli enti del Terzo settore. I rapporti economici che intercorrono tra pubbliche amministrazioni ed ETS, infatti, non derivando da un preciso calcolo ex ante che permetta di individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa, non possono che essere parametrati su voci di spesa e di intervento che si reputano (almeno) sufficienti a sostenere gli interventi e le attività oggetto della co-progettazione. I rapporti economici in parola, pertanto, si fondano, da un lato, sulla previsione da parte degli enti pubblici di un budget complessivo a disposizione e, dall’altro, sulla condivisione da parte degli ETS di quel budget. Quest’ultimo può essere, a sua volta, incrementato dalle risorse che gli ETS possono (o devono, se lo prevede il bando) integrare con risorse proprie. In quest’ottica, spesso, i bandi che avviano i processi di co-progettazione contengono il quadro economico di riferimento per le azioni, i progetti e gli interventi oggetto della co-progettazione medesima, per i quali agli ETS è richiesto di formulare il loro impegno economico-finanziario. Ne discende che l’elemento economico caratterizza anche i rapporti giuridici di natura cooperativa tra P.A. ed ETS, ancorché si sia in presenza di rapporti giuridici in cui le parti non intendono conseguire utilità o vantaggi reciproci. In questa prospettiva, invero, una prestazione (= vantaggio o utilità) affinché possa considerarsi corrispettiva rispetto da un’altra, deve essere, unitamente all’altra, preposta alla soddisfazione degli interessi in cui si concreta la causa del contratto.

Alla luce di quanto sopra descritto, è forse più opportuno riferirsi ad un concetto di “onerosità” sganciato dalla sua dimensione sinallagmatica, per ricomprendervi gli atti in cui i soggetti del rapporto giuridico instaurato dall’atto (rectius: la co-progettazione) sopportano sacrifici funzionali alla realizzazione del risultato/dei risultati condiviso/i, cui l’atto medesimo tende. Sembra questa un’accezione più confacente con la ratio degli istituti cooperativi di cui all’art. 55 CTS, i quali sembrano invece sfuggire ad una interpretazione logico-sistematica quali rapporti gratuiti, in quanto non è possibile rinvenire nei soli ETS che partecipano alla co-progettazione le parti che sopportano il sacrificio per realizzare il risultato (o i risultati) cui tende l’atto stesso. Contestualmente, occorre superare un’accezione di gratuità intesa quale assenza di qualsivoglia riconoscimento economico, al fine di valorizzarla, invece, quale motivazione, scelta e ragione che caratterizza una delle modalità di azione degli ETS. Mentre, infatti, la gratuità attiene alla dimensione personale di partecipazione dei volontari negli ETS ovvero all’assenza di lucro degli stessi, l’assenza di onerosità identifica non soltanto la possibilità per OdV e APS di vedersi riconosciuto il rimborso delle spese sostenute (art. 56 CTS), ma anche una modalità di azione e di intervento che può legittimare il riconoscimento di un’erogazione economica (art. 55 CTS). Rimane esclusa, dunque, ab origine, la dimensione sinallagmatica del rapporto: non è rintracciabile una dinamica di do ut des, tipica dei contratti, anche pubblici. Al contrario, ci si trova in presenza di iniziative, progetti e attività che, risultando quali esito di una condivisione di obiettivi e di finalità tra enti non lucrativi e pubbliche amministrazioni, impegna queste ultime a prevedere un sostegno, anche finanziario, a favore dei primi7. Da quanto sopra discende che è il concetto di onerosità a costituire “la linea di faglia fra i servizi economici di interesse generale, soggetti al Codice [dei contratti pubblici), ed i servizi non economici di interesse generale, viceversa in radice ad esso estranei”8. L’assenza di onerosità supera – per così dire – il concetto di gratuità, in quanto identifica sia la ratio sia l’azione degli ETS in generale. Nella disciplina giuridica contemplata nella Riforma del Terzo settore agli ETS, infatti, è finanche riconosciuta la legittimità ad operare con “metodo” imprenditoriale, condizione che sottende una dimensione economica dell’agire degli ETS medesimi, che non risulta esclusa dalle previsioni contenute nell’art. 55 del Codice del Terzo settore. Al riguardo, è opportuno ricordare che anche l’attività economico-imprenditoriale deve comunque essere finalizzata alla realizzazione delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che la Riforma del Terzo settore ha inteso individuare quale “DNA” dell’azione degli enti non profit. Da ciò consegue che tutte le attività di interesse generale, ivi comprese quelle svolte con “metodo” economico-imprenditoriale devono sempre dimostrare un nesso con la realizzazione dell’interesse generale e con il dovere di solidarietà9. Le entrate degli ETS che derivano dallo svolgimento di una o più delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del Codice del Terzo settore devono, pertanto, risultare sempre funzionalizzate al perseguimento delle finalità indicate nell’art. 1 del medesimo CTS10. Da quanto sopra emerge con una certa evidenza che è l’assenza di corrispettivo e non l’assenza di attività economica ad escludere che si debba ricorrere alle procedure di natura concorrenziale di cui al Codice dei contratti pubblici. In quest’ottica, devono leggersi anche lo schema di linee guida elaborate da ANAC recanti “Indicazioni in materia di affidamento dei servizi sociali”11. Lo schema in parola evidenzia che tra le fattispecie estranee al codice dei contratti pubblici rientrano le forme di co-programmazione, di co-progettazione e le convenzioni, anche se affidate a titolo oneroso, confermando l’interpretazione della Corte costituzionale, secondo cui il discrimen tra procedure competitive ed istituti giuridici cooperativi deve essere ricondotto alla presenza o meno di un sinallagma. Le riflessioni condotte permettono di comprendere come sia opportuno superare una concezione eccessivamente ristretta di gratuità per approdare ad una sistematizzazione dei rapporti giuridici intercorrenti tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore che possa anche prevedere profili di economicità dell’azione delle organizzazioni non profit compatibili con l’impianto complessivo di cui all’art. 55 del d. lgs. n. 117/2017.

  1. In questo senso, la Corte costituzionale (sentenza n. 131/2020) ha ribadito che tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, si instaura “un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.” (cfr. punto 4 del Considerato in diritto)
  2. Cfr. Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 7 settembre 2021, n. 6232.
  3. Così, Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale del 26 luglio 2018, numero affare 01382/2018, avente ad oggetto: Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC – Normativa applicabile agli affidamenti di servizi sociali alla luce del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 e del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117.
  4. Consiglio di Stato, parere n. 01382 del 2018: “Per questa linea, la effettiva gratuità si risolve contenutisticamente in non economicità del servizio poiché gestito, sotto un profilo di comparazione di costi e benefici, necessariamente in perdita per il prestatore. Di conseguenza, esso non è reso dal mercato, anzi è fuori del mercato. Viceversa, la gratuità si risolverebbe, addirittura, in concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori che in ipotesi dessero vita a un mercato di tali servizi.”
  5. “In tal caso la gratuità assume due significati: sotto un primo profilo, la creazione di ricchezza tramite il lavoro del prestatore di servizi non remunerato dal profitto; sotto un secondo profilo il sostenimento eventuale di costi senza rimborso né remunerazione, a puro scopo di solidarietà sociale (evenienza tipica delle associazioni di volontariato, (cfr. art. 17 del codice del terzo settore). In tali casi si realizza la corretta fattispecie della gratuità, vale a dire un aumento patrimoniale di un soggetto, in questo caso la collettività, cui corrisponde una sola e mera diminuzione patrimoniale di altro soggetto, cioè il depauperamento del capitale lavoro o del patrimonio del prestatore.” Consiglio di Stato, parere n. 01382 del 2018. In argomento, si veda anche Tar Piemonte, 3 marzo 2022, n. 171.
  6. Si vedano Tar Lombardia, sez. I, sentenza 3 aprile 2020, n. 593 e Tar Toscana, Sez. III, 4 ottobre 2021, n. 1260.
  7. Sul punto, si veda la nota di ANAC del 21 settembre 2020 trasmessa al Comune di Bologna con riferimento ad un caso di co-progettazione realizzato nell’ambito delle c.d. Case di Quartiere.
  8. Cfr. Consiglio di Stato, parere n. 01382 del 2018.
  9. Così, D. D’Alessandro, Funzione amministrativa e causa negoziale nei contratti pubblici non onerosi, Napoli, ES, 2018, p. 10.
  10. Tar della Campania, sez. staccata di Salerno, sez. I, 19 gennaio 2021, n. 158, con la quale i giudici amministrativi campani hanno evidenziano che un’attività svolta da un soggetto non lucrativo può considerarsi “gratuita” anche quando gli eventuali introiti derivanti dalla gestione dell’attività risultino “funzional[i] solo alla copertura dei costi”. Contra, Consiglio di Stato, sez. V, 7 settembre 2021, n. 6232, che ha, invece, ritenuto che qualora ad un soggetto non profit sia consentito produrre introiti di natura commerciale non si è più in presenza di un rapporto giuridico fondato sulla gratuità.
  11. Al momento in cui si scrive, le linee guida richiamate non state oggetto di apposita e formale deliberazione da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.