Coprogettazione e non solo. L’intervento della Regione Piemonte


Augusto Ferrari | 22 Novembre 2018

Perché ci interessiamo alla coprogettazione? Non sarebbe più semplice e rassicurante favorire una tecnocrazia illuminata, efficiente e in grado di risolvere molti problemi? Chi di noi ha responsabilità istituzionali vive costantemente questa tentazione tecnocratica e neocentralista che finisce per concentrare tutti i poteri in capo a chi detiene il potere formale.

 

Tale tentazione è resa ancor più acuta nel momento in cui si è iniziata ad avvertire in modo più marcato la scarsità di risorse per il welfare; non potendo più infatti disporre dello spazio di indirizzo consistente nella destinazione della quota incrementale di spesa, si è spesso cercato di recuperare uno spazio di potere enfatizzando la cultura del controllo sulla spesa esistente. Questa scorciatoia tecnocratica e neocentralista, da una parte può risultare più efficiente ma, dall’altra, rappresenta una pura illusione quando si intende affrontare e risolvere problemi complessi. Si tratta di un’illusione, perché da almeno cinquant’anni nel nostro Paese si è raggiunta la consapevolezza della ricchezza di attori che compone il tessuto sociale, del fatto che la cosa pubblica non sia riconducibile al solo livello istituzionale e di come si intreccino una pluralità di poteri e di dimensioni dell’azione che agiscono anche in modo orizzontale tra istituzioni e società civile di un territorio. Tutto ciò fa sì che la capacità di definire relazioni sinergiche tra istituzioni e le espressioni della ricchezza del tessuto sociale sia un aspetto determinante per la definizione di politiche pubbliche in campo di welfare. Politiche che siano eque, universalistiche e sostenibili.

Attraverso quali percorsi, quindi, si possono costruire rapporti virtuosi, finalizzati alla costruzione di politiche pubbliche di interesse generale, tra le istituzioni e il tessuto plurale delle comunità?

 

La Regione Piemonte negli ultimi quattro anni ha messo in campo tre elementi: il Patto per il sociale 2015-2017, il Patto per lo sviluppo delle comunità solidali 2018-2019 e la Strategia per l’innovazione sociale (WeCaRe = welfare cantiere regionale). Tutti e tre gli strumenti hanno come filo conduttore la messa in campo dello strumento dei Patti di comunità come modalità per la costruzione di politiche di interesse pubblico.

Vi sono però alcuni aspetti critici: accanto a spinte che portano a favorire e facilitare la coprogettazione e l’innovazione sociale, vi sono resistenze culturali non indifferenti. Spesso infatti si confonde la coprogettazione con le forme di consultazione, molto più rassicuranti, ma che di fatto non intaccano l’impianto centralistico e tecnocratico già citato. La coprogettazione, al contrario, rappresenta un vero salto culturale, un nuovo paradigma che richiede l’abilità di navigare in mare aperto, raccogliendo e valorizzando i vari punti di vista, anche i più marginali. Questo processo dovrebbe tradursi in atti – normativi e di indirizzo politico – tali da far sì che questa modalità di azione si affermi in maniera definitiva, come una modalità ordinaria – e non eccezionale – con cui vengono definite e costruite le politiche pubbliche. A rinforzo di ciò, sarebbe molto interessante riuscire a darci, in forma coordinata a livello regionale, delle Linee guida comuni finalizzate ad evitare che si agisca a “macchia di leopardo” e in maniera disparata e discontinua.

Dal mio punto di vista è inoltre necessario rimettere in moto una riflessione sul regionalismo e sul tema delle autonomie regionali. Dentro questo campo, qual è il ruolo della regione? Siamo passati repentinamente da una fase di forte enfasi sul decentramento e l’autonomia delle Regioni ad un’altra in cui si ritiene invece auspicabile diminuire quanto più possibile le prerogative regionali a vantaggio dei poteri centrali. Nel parlare di politiche pubbliche e nello specifico dei temi della coprogettazione è quindi importante mettere bene a fuoco il ruolo delle regioni, come istituzioni cui è affidato il compito di coniugare l’unità dell’indirizzo di matrice europea e nazionale con la valorizzazione della pluralità dei sistemi locali. È necessario fare in modo che la programmazione regionale sia il luogo vitale e dinamico in cui l’unità e la pluralità riescano a coniugarsi e a trovare un punto di equilibrio virtuoso. È questo il compito specifico del regionalismo oggi: ricentrare la funzione della regione sulla capacità programmatoria significa dare alla regione il compito di facilitare i processi di valorizzazione dei sistemi territoriali locali.

Questo trova il punto di approdo, in Regione Piemonte, nei 30 Distretti della coesione sociale, che hanno il compito di integrare le politiche di coesione evitando la frammentazione e facendo in modo che le politiche di welfare – a partire dalle politiche contro la povertà, che sono già state implementate a livello di distretto – si coniughino con la programmazione delle politiche per la casa, delle politiche attive del lavoro, sociosanitarie ed educative. È quindi importante promuovere sia l’integrazione delle politiche sia quella degli attori in modo tale che nei territori lo strumento del Patto di comunità non sia soltanto un atto in cui si certifica quello che si fa, ma soprattutto un luogo in cui si elaborano gli obiettivi da raggiungere in modo condiviso.