Coprogettazione e non solo. L’intervento di Confcooperative Liguria


Valerio Balzini | 26 Novembre 2018

In Liguria una decina di anni fa è stato avviato un importante percorso – con il coinvolgimento del terzo settore, degli enti locali e dell’Università – mirato a disegnare strumenti normativi utili a sviluppare un rapporto collaborativo tra pubblica amministrazione e terzo settore valorizzando le specificità e i punti di forza di entrambi.

Questo ha significato, per quanto riguarda le fonti normative, l’approvazione di alcuni atti regionali come la DGR 846/2011 (Linee di indirizzo in materia di disciplina dei rapporti tra pubbliche amministrazioni locali e soggetti privati senza finalità di profitto), la LR 42/2012 (Testo Unico delle norme sul Terzo Settore) e la DGR 525/2015 (Linee guida) che hanno portato a definire uno strumento specifico che dà forma alla collaborazione tra Enti pubblici e Terzo settore in Liguria, denominato Patti di sussidiarietà.

 

Il punto di partenza che mi pare giusto condividere è che all’interno dell’esperienza dei patti di sussidiarietà il terzo settore è chiamato ad agire come protagonista, in funzione del perseguimento di un interesse generale.

Come nasce un patto di sussidiarietà? Generalmente il punto di partenza è un’iniziativa di un gruppo di organizzazioni di Terzo settore che la Pubblica amministrazione riconosce come protagoniste nel perseguire una funzione di interesse generale. Questo gruppo di Enti di terzo settore individua dei bisogni e propone un progetto concreto per rispondervi; se l’amministrazione riconosce l’interesse pubblico di tale proposta, si apre una fase di evidenza pubblica per chiamare, a contribuire a tale azione, tutti i soggetti eventualmente interessati; si avvia inoltre una richiesta di validazione della proposta da parte dell’organismo associativo unitario maggiormente rappresentativo (tale funzione in Liguria è oggi svolta dal Forum del Terzo settore) la cui valutazione assume quindi anche una valenza pubblicistica.

Valutazione dell’amministrazione, evidenza pubblica e valutazione autonoma da parte di un soggetto rappresentativo del Terzo settore garantiscono quindi insieme che l’intervento rappresenti una valida azione per perseguire un interesse generale; Il patto di sussidiarietà può quindi essere attivato solo se c’è un consenso complessivo di tutti i potenziali stakeholder e in questo senso si rende matura la capacità del terzo settore di fare davvero rete e di collaborare, non solo competere. A questo punto è possibile giungere all’approvazione del progetto di dettaglio, che prevede un sostegno finanziario e/o di risorse da parte della pubblica amministrazione. Ovviamente, nel caso la pubblica amministrazione sia persuasa della bontà dell’intervento, ma non riesca a cementarsi un consenso esteso sul progetto e sulle modalità di realizzazione da parte del Terzo settore, nulla vieta, una volta messa a fuoco l’esigenza, di perseguire lo stesso intento con strumenti non collaborativi come una gara d’appalto.

 

Il procedimento del Patto di sussidiarietà impegna quindi sia il Terzo settore che le pubbliche amministrazioni.

Il soggetto di Terzo settore ha in prima istanza il compito di presentare un progetto preliminare che abbia già al proprio interno alcune caratteristiche analitiche per cui possa essere messo a conoscenza anche di altri soggetti sul territorio: obiettivi chiari, azioni concrete, soggetti coinvolti e da coinvolgere, risultati attesi, tempi di realizzazione e azioni correttive. Inoltre, il patto deve avere un carattere di flessibilità e soprattutto deve essere facilitante per l’aggregazione di più soggetti. In secondo luogo il soggetto di Terzo settore deve assicurare, attraverso la redazione di un piano complessivo sulle risorse finanziarie necessarie, il fatto che sia in grado di realizzare il progetto con almeno il 30% di risorse proprie. Vale a dire valorizzare l’insieme di strumentazioni, attività e reti, ovvero tutto ciò che serve per realizzare il progetto, oltre a indicare quali sono le risorse richieste alla pubblica amministrazione.

 

È necessario inoltre evidenziare i criteri di rendicontazione e di valutazione dei risultati raggiunti.

Infine, il Terzo settore ha il  compito di predisporre un’associazione temporanea di scopo, vale dire un soggetto formale che preveda tra l’altro anche le modalità con cui gli altri soggetti terzi possono entrare nella collaborazione. La modalità inclusiva di attuazione del patto di sussidiarietà fa sì che dalla fase preliminare del progetto a quella di progettazione esecutiva ci possano essere ingressi di nuovi soggetti.

I compiti della pubblica amministrazione consistono nel verificare che il patto di sussidiarietà rientri nella sua programmazione complessiva, verificare e validare la procedura di evidenza pubblica, valutare la sostenibilità del progetto e le modalità di rendicontazione, e verificare la congruenza e gli indicatori di impatto sul bisogno sociale.

Questo strumento prevede, da un lato, la presenza di un terzo settore estremamente maturo e, dall’altro, la capacità dello stesso di porsi come interlocutore di progettazione sociale – e non semplicemente di lavoro – con la pubblica amministrazione. È importante, in altre parole, che il Terzo settore sia in grado di sviluppare la capacità di stare all’interno delle collaborazioni non solo perché si aspetta di poter eseguire un lavoro, ma perché si pensa che quello che viene fatto costituisca un valore dal punto di vista dell’interesse generale e quindi sia degno di essere sostenuto.

 
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