La coprogettazione dopo il parere del Consiglio di Stato


Gianfranco Marocchi | 10 Settembre 2018

Cosa dire ad un amministratore locale che si chiede se la coprogettazione sia ancora possibile

Nei giorni scorsi sia su Welforum.it (Ugo De Ambrogio e io) sia su altri siti (si veda ad esempio Santuari sul sito Aiccon) è stato segnalato e commentato – nei casi citati, in termini esplicitamente critici – il parere del Consiglio di Stato in materia coprogettazione e più in generale sull’utilizzo degli strumenti, derivanti dall’art. 55 del d.lgs. 117/2017 (il Codice del Terzo settore).

 

Ma al di là di deprecare quanto scritto dal Consiglio di Stato, la domanda che emerge in questi giorni da parte dagli amministratori locali è molto diretta: stante questa situazione, possiamo continuare a coprogettare o deve fermarsi tutto? Rischiamo qualcosa?

La risposta non è semplice e la questione va affrontata con trasparenza e consapevolezza, in modo da operare scelte avendo chiare tutte le implicazioni.

 

Non va in primo luogo nascosto come la pubblicazione di questo sciagurato parere complichi oggettivamente le cose ai migliori amministratori locali del nostro Paese, per due motivi.

Il primo non è di ordine strettamente giuridico, ma discende dall’autorevolezza istituzionale dell’ente che ha redatto il documento e che tende a determinare un effetto sia diretto – sul singolo funzionario che deve decidere quale procedura utilizzare – sia indiretto – su enti quali ad esempio una Regione, che potrebbe nei propri atti ispirarsi a tale parere e porre in essere a sua volta deliberazioni in senso conservativo e contrario alla coprogettazione – con la conseguenza che l’ente certamente avvertirà su più fronti una pressione a conformarsi al parere.

Il secondo fattore critico riguarda la prospettiva di un possibile contenzioso; nel caso una procedura di coprogettazione fosse impugnata innanzi a un TAR e, in prospettiva di secondo grado, al Consiglio di Stato, è ragionevole pensare che possa essere censurata. Ciò ovviamente non è automatico, ogni giudizio è storia a sé e dipende da circostanze specifiche, dalle motivazioni addotte per il provvedimento, dai giudici incaricati di seguire il contenzioso, ecc. Certo, va a questo proposito richiamato come, per loro natura, le procedure di coprogettazione siano meno soggette a liti, in quanto non sono pensate per vedere un vincitore su altri soccombenti (e quindi alla ricerca di rivincite nei tribunali), ma una pluralità di soggetti che – magari con fatica – lavorano per giungere ad una soluzione condivisa. Di fatto – non è solo teoria, quella qui esposta – gli enti che hanno dato vita a coprogettazioni non hanno visto conseguire contenziosi, a differenza della litigiosità diffusa che caratterizza il regime degli appalti. Ma, nel caso in cui un contenzioso ci fosse, non si fatica ad immaginare l’imbarazzo del funzionario che abbia perseguito comunque la scelta di coprogettare, vedendosi quindi addebitare – nell’imbarbarimento generale del dibattito politico – il fatto di aver voluto testardamente continuare su una strada già avversata dal Consiglio di Stato.

 

Detto questo, esistono anche ragionamenti di segno opposto.

In primo luogo, si sta parlando di un parere reso entro un dialogo tra istituzioni. Non di una legge, non di un decreto, non di una sentenza. Legalmente non è successo nulla. La 328/2000 e il conseguente art. 7 del dpcm 30/3/2001 sono vigenti, così come l’articolo 55 del d.lgs. 117/2017, così come la deliberazione dell’ANAC numero 32 del 20 gennaio 2016, che legittima pienamente l’utilizzo della coprogettazione – quantomeno di quella derivante dagli istituti della 328/2000. Insomma, chi coprogetta non viola nessuna legge.

E quindi, veniamo ad ANAC. La deliberazione 32/2016, si è detto è vigente. È ragionevole pensare che ANAC intenda procedere ad una futura revisione della deliberazione in questione; e d’altra parte ciò è del tutto normale, essendo tale deliberazione antecedente sia al d.lgs. 50/2016 (il Codice degli appalti), sia al d.lgs. 117/2017 (il Codice del Terzo settore). Il “teatro” inscenato con il Consiglio di Stato, la scelta di procedere in brevi tempi nel periodo estivo, evidenzia come, almeno in alcuni settori dell’ANAC, vi sia chi intende rafforzare le posizioni appaltiste – conservative (se ne è parlato in questo articolo), ma il procedimento che porterà alla nuova deliberazione è comunque complesso, comprenderà presumibilmente l’apertura di una consultazione pubblica, in cui diversi stakeholder avranno modo di evidenziare le proprie ragioni. Il fatto stesso che ANAC richiami – anche se in modo intellettualmente non onesto – tra i soggetti che sono entrati in campo a favore della coprogettazione un Ministero – il Ministero del Lavoro – evidenzia come il dibattito non potrà che essere ampio e articolato e conterà anche su parere diversi rispetto alle posizioni del Consiglio di Stato espressi da soggetti importanti e significativi; tanto più se si considera che, oltre al Ministero, una decina di Regioni italiane, che hanno approvato leggi sulla coprogettazione, hanno buon titolo ad intervenire a difesa dei propri atti, così come le associazioni che rappresentano i Comuni, principali protagonisti insieme al Terzo settore della coprogettazione. Il percorso che va da questo parere reso tra due istituzioni ad una sua precipitazione sul fronte normativo è quindi per nulla scontato e comunque da venire; nel mentre fanno fede gli atti oggi vigenti.

A ciò si aggiunga che il Governo ha più volte dichiarato di voler mettere mano al Codice degli appalti, che rappresenta, nel parere del Consiglio di Stato, la colata di cemento per brutalizzare il terreno che le altre leggi (vigenti!) riservano alla coprogettazione; e dunque anche questo fronte è in evoluzione, aspetto che rende l’esito finale della questione ulteriormente complesso.

 

Ancora, si consideri che, quando vi sarà occasione di entrare nel merito, non sarà difficile evidenziare – lo fa molto bene Santuari nell’articolo già citato – che il tentativo di fondare il parere su supposte preclusioni europee a soluzioni diverse dall’appalto e dal mercato, risultano pretestuose e assai debolmente fondate. Insomma, una cosa è un parere estivo, un’altra è portare a termine un percorso normativo che ribalti una pluralità di leggi vigenti, soprattutto se gli stakeholder avranno forza e voce nel farsi ascoltare.

 

Infine, un aspetto di cui si può essere certi già da oggi, essendo stato (e non poteva essere altrimenti) confermato anche dal parere del Consiglio di Stato: laddove ad esito di un percorso di coprogrammazione e coprogettazione vi sia un accreditamento entro un albo aperto, ove i cittadini possono individuare il prestatore di servizi a loro più confacente, sicuramente non si pongono problemi. Se quindi l’esito della coprogrammazione e coprogettazione – esemplificando, nel caso di servizi per anziani – non è l’attribuzione diretta di risorse pubbliche ad un ente di terzo settore, ma l’individuazione di soggetti (che, nell’ottica di coprogrammazione, si ipotizza abbiano scelto di rendersi complementari e di integrarsi, piuttosto che di competere) ai quali i cittadini possono liberamente rivolgersi, ciò può sicuramente essere realizzato senza timori di incorrere in violazioni.

 

Qual è la sintesi di questi elementi?

È evidente come non sia possibile dire in modo netto e definitivo cosa l’amministratore locale possa o non possa fare. È corretto evidenziare con trasparenza tutti gli aspetti, in modo che la scelta possa essere ponderata e consapevole.

Di lì in avanti vi sono le scelte delle singole amministrazioni. E se, anche da sostenitori degli strumenti amministrativi collaborativi, non ci spingeremmo mai a esporre un amministratore locale a rischi di cui non sia cosciente, evidenziamo anche l’importanza che, a fronte di un atto come quello del Consiglio di Stato, non vi sia un mero e burocratico adeguamento. Un’amministrazione consapevole valuta responsabilmente i rischi, ma considera al tempo stesso gli atti che è in suo potere svolgere per evitare di riportare il livello di rapporti tra enti pubblici e terzo settore indietro di più di vent’anni. Perché, lo sappiamo bene, la strada delle evoluzioni positive non sempre è comoda ed è fatta anche di battaglie vinte faticosamente.